Fabrizio Naldoni
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È uscito l’altroieri, e sarà in oltre 300 sale fino a questa sera, “Il caso Pantani”, film evento prodotto dalla Mr. Arkadin film e distribuito da Koch Media. Il racconto si snoda e si focalizza, tra frequenti salti temporali, su fatti realmente accaduti – seppur romanzati – e rivelazioni degli ultimi anni di vita di Marco Pantani. In particolar modo si va dal 5 giugno 1999, quando il Pirata viene allontanato a Madonna di Campiglio da un Giro fin lì dominato per un valore di ematocrito superiore al limite consentito, fino al 14 febbraio 2004, quel dannato San Valentino in cui la vita di Marco si spegne nella stanza D5 del residence “Le Rose” di Rimini.
Un film che viene alla luce dopo cinque anni di interminabili e faticose ricerche, letture attente degli atti processuali e studi meticolosi che hanno portato il regista e la troupe ad incontrare testimoni di allora (gregari e amici), riavvolgere nastri di interviste e intercettazioni, incrociare dati e riscrivere fatti. E il lavoro paga, perché la pellicola rivela coraggiosamente novità e verità, affermando una tesi ormai sempre più credibile: il Pirata è stato ucciso. Per ben due volte, quando a Campiglio venne fermato l’atleta e poi a Rimini, quando Marco è stato trovato solo, riverso a terra, in una pozza di sangue.
La pellicola si basa su una bibliografia critica che parte dagli aspetti controversi rivelati dal libro “Gli ultimi giorni di Marco Pantani” di Philippe Brunel – il giornalista francese che per primo analizzò nel dettaglio tutti i risvolti, più o meno conosciuti, che hanno scandito le ultime ore di vita del Pirata in quel di Rimini – per passare, poi, all’opera di Davide De Zan, figlio d’arte e giornalista sportivo di fama, che nell’opera “Pantani è tornato” sostiene con fermezza la tesi del complotto che si cela dietro l’esclusione di Marco dal Giro del ’99. E poi, ultime ma non meno importanti, le recenti scoperte che i giornalisti de Le Iene hanno portato a galla in una serie di speciali e servizi dedicati esclusivamente al ‘caso Pantani’.
Gli sceneggiatori hanno ricostruito con una precisione quasi ossessiva le date e gli accadimenti che hanno segnato maggiormente la carriera del campione e la vita privata del ragazzo di Cesenatico. Alcuni aspetti già conosciuti, altri più recenti o addirittura mai emersi prima.
Si parte dal contestato prelievo di sangue avvenuto nel ’99 a Madonna di Campiglio, con il Giro ormai al termine (da contestualizzare nella campagna antidoping del Coni “Io non rischio la salute”), durante il quale l’ematocrito di Pantani segna un valore intorno a 52, con il limite fissato a 50. Fin da subito, soprattutto considerando il fatto che fino a poche ore prima il campione aveva lo stesso valore intorno a 48, si inizia a parlare di fregatura e di complotto. Il Pirata vinceva, e vinceva spesso. Troppo spesso e con distacchi umilianti, secondo molti. Stava diventando scomodo e, forse, conveniva fermarlo, con le buone o con le cattive.
Come dimostra una dichiarazione del ‘bandito’ Vallanzasca, che qualche anno dopo ha confessato come in galera, proprio mentre andava in scena quel Giro, lo avrebbe avvicinato un personaggio molto vicino alla camorra assicurandogli:
“se hai un po’ di soldi da scommettere… è certo che Pantani non finisce il Giro, a Milano non ci arriverà mai!”.
È proprio questo aspetto che andrebbe a confermare l’incredibile mole di denaro che in quell’anno era stata puntata – tramite scommesse clandestine – su Pantani, vincitore certo e scontato. Un denaro che, in un modo o nell’altro, andava recuperato. Ecco, quindi, la corsa “truccata” tramite la deplasmazione del sangue e il valore fuori norma, con il campione allontanato e stroncato.
Il film indugia poi sulla quotidianità post Madonna di Campiglio. Marco è un campione ferito, deluso, arreso. Si rifugia in se stesso e della bici quasi non ne vuole più sapere, a parte qualche timido e infelice tentativo di riavvicinamento. Amicizie sempre più pericolose e l’incontro con la cocaina, che gli terrà compagnia fino all’ultimo. La storia d’amore con Christina che si accartoccia e naufraga, facendolo sprofondare ancora di più. Troppo peso, acuito dalla depressione, per un’anima pura e fragile come la sua.
Si giunge quindi alle parti più dense del film, nonché gli ultimi giorni di vita di Marco in cui, ancora oggi, resistono troppe incongruenze. Qui il regista va a scavare, con passione e curiosità. La permanenza al Residence e gli incontri che il Pirata avrebbe avuto in quei giorni determinanti e decisivi. Alcune telefonate sospette – durante il suo ultimo giorno di vita il campione lamenta più volte alla reception “la presenza di alcune persone che gli danno fastidio” rimanendo inascoltato – il ruolo degli spacciatori, e poi i tanti, troppi elementi che, analizzando la scena del crimine, portano ad una versione diversa da quella ufficiale: il corpo di Marco pare essere stato spostato e trascinato dopo la morte (ma da chi?), e presenta alcune ferite riconducibili ad una colluttazione.
Peraltro, la camera è devastata eppure le mani del campione non riportano alcuna ferita e sono ben curate. Ci sono anche importanti e gravi discordanze tra i periti e i primi intervenuti sulla scena, come alcuni elementi che compaiono e scompaiono, o addirittura vengono spostati a più riprese all’interno della stanza, andando a compromettere il quadro generale.
Una raccolta di informazioni modificherebbero la tesi ufficiale sulla morte di Pantani – suicidio raggiunto per overdose di cocaina e in preda al delirio – spingendola verso l’omicidio, ipotesi ormai sempre più credibile.
Cast di primissimo livello. Pantani nelle tre fasi in cui viene descritto (il campione, l’atleta ferito e poi l’uomo tormentato che incontrerà la morte) è interpretato, nell’ordine, da Brenno Placido, Marco Palvetti e Fabrizio Rongione. A Monica Camporesi il compito di vestire i panni di Christina Joennson, la compagna storica di Marco prima e poi dell’escort che egli frequenterà più volte negli ultimi anni della sua vita. Poi Libero de Rienzo, a rappresentare lo storico amico Jumbo e, infine, un monumentale Francesco Pannofino nella figura dell’avvocato di famiglia De Rensis. Tocca proprio a Pannofino, nei minuti finali del film, la narrazione accurata, dolorosa e sorprendente degli aspetti più oscuri che hanno segnato quel tremendo 14 febbraio del 2004.
Un film che rende omaggio, a 50 anni dalla nascita e a 16 dalla morte, a quel ragazzo venuto dal mare, da Cesenatico e dalla riviera romagnola che saranno per sempre i suoi punti fermi, imprescindibili, il suo rifugio ma pure la sua tentazione e la sua perdizione. Un ragazzo che poi si esaltava e trionfava sulle grandi montagne, demolendo avversari e record. Perché per dirla con Adriano De Zan «non c’è niente da fare… quando la strada si rizza sotto i pedali, Pantani è il più forte!».E il Pirata, il più forte, lo era per davvero. Fin da giovanissimo, quando abbandona il calcio per abbracciare la bicicletta dopo un allenamento improvvisato con altri ragazzini della sua età.
Un predestinato, che accompagnava i professionisti della zona agli allenamenti e in salita li staccava, puntualmente, in piedi sui pedali e mani bassi sul manubrio. L’approdo al professionismo in punta di piedi (si fa per dire) con la firma del contratto che lo lega alla Carrera del Diablo Chiappucci. “Marco, hai fatto un affare!” gli dice Boifava e lui, puntuale, “l’affare l’avete fatto voi”. Non ebbe torto. Da lì spiccò il volo, sulle montagne più leggendarie e nel grande ciclismo. I tronfi del ’94 quando al Giro, giovane e ancora teneramente spennacchiato, spiana il Mortirolo e inizia a monopolizzare le pagine dei giornali con i primi podi nei grandi giri. Poi ascese e cadute, successi leggendari e indelebili, e scivolate infauste, non solo sulla bicicletta, anche nella vita.
È del 1997 l’impresa, compiuta in terra di Francia, al ritorno dall’ennesimo, terribile incidente: Pantani attacca sull’Alpe d’Huez, stacca i rivali e arriva da solo, esplodendo in un urlo di rabbia e riscatto che riecheggia ancora oggi. Il Pirata c’è, è tornato, e da qui in avanti non ce ne sarà più per nessuno. Nel 1998 arriva la magica doppietta Giro e Tour – ultimo a centrarla – segnata dai successi, tra gli altri, di Plan di Montecampione, Plateau de Beille, e quello di Les Deux Alpes.
E poi il 1999, l’anno che si preannuncia come una replica trionfante del ‘98 ma che segna, invece, l’inizio della fine del Pantani corridore e del Marco uomo, tradito e ferito, offeso e vilipeso, abbandonato.
È proprio da qui, da quel 5 giugno ’99 e dai fatti che ci riportano all’Hotel Touring di Madonna di Campiglio, che parte il racconto girato magistralmente da Domenico Ciolfi. Quel giorno Marco viene escluso da un Giro già vinto. Grida subito al complotto e quello che afferma all’uscita dall’Hotel, circondato da carabinieri e una folla urlante e ferita, “sono caduto e mi sono rialzato tante volte, ma stavolta non so se ce la farò” suona come una tragica profezia, quasi una triste promessa. Il Pirata, in effetti, non si rialzerà più, consapevole di essere stato fregato, spremuto e abbandonato dal mondo del ciclismo e dello sport.
Un racconto che emoziona, sorprende, scuote e ci regala ulteriori, inquietanti scenari. Alla ricerca di una verità e di una giustizia che abbiamo il dovere di pretendere: per il Pantani campione ma, soprattutto, per Marco, il romagnolo tanto genuino quanto fragile venuto dal mare.