Intervista a Fabio Polese, reporter di guerra, dalla lontana Thailandia, dove la Muay Thai non è sport, ma vita.
Si va alla guerra armati di ciò che si ha, e nelle battaglie quotidiane della vita umana c’è chi porta con sé uno scudo, chi un fioretto, chi una rivoltella. E poi c’è chi va alla guerra armato della propria cultura, delle proprie tradizioni e degli “otto arti”. Intervista a Fabio Polese, reporter di guerra, dalla lontana Thailandia, dove la Muay Thai non è sport, ma vita. Buddhismo, animismo, amuleti, danze e tatuaggi raccontano una storia millenaria che si perde nella leggenda ma che, nel sudore e nei lividi dei corpi che si scontrano, nei muban popolari, tra bambini-guerrieri e maestri, torna ad essere viva, reale. Come canta Bruce Springsteen, “my only faith’s in the broken bones and bruises I display”.
La Muay Thai nasce come arte guerriera o popolare? E cosa l’ha resa cosi legata alla cultura prima del Siam e poi della Thailandia tutta?
Sicuramente un’arte guerriera che si usava in combattimento. La Muay thai, infatti, ha origine nell’antico Regno del Siam (l’attuale Thailandia) e, come per il resto delle altre arti marziali, le sue origini si perdono nel misterioso passato fatto di guerre e razzie. Le tradizioni della Muay Thai, tramandate oralmente per generazioni, risalgono a circa duemila anni fa, in un periodo in cui il popolo Thai lottava frequentemente per affermare e difendere la propria unità nazionale nell’area.
La disciplina è conosciuta come “l’arte delle otto armi” o “la scienza degli otto arti” perché consente di utilizzare combinazioni di pugni, calci, gomitate e ginocchiate. Il corpo umano, quindi, diventava la miglior arma a disposizione per combattere contro i nemici.
Combattere è un destino (behance.net/Anastas Tarpanov)
Le tradizioni contano molto per i popoli del sud-est asiatico, e anche le arti marziali fanno parte del loro patrimonio culturale. La Muay Thai agisce ancora come strumento educativo e di conformazione sociale?
Nonostante la Muay Thai sia attualmente diventata uno sport quasi consumistico, soprattutto in Occidente, la sua origine mistica qui in Thailandia non è andata persa. Questa arte marziale è una componente sicuramente importante di una società che vive di tradizioni e di leggende. Una di queste merita di essere raccontata. La più nota racconta che Nai Khanom Thom, principe ereditario del regno del Siam nell’attuale Thailandia, quando era stato fatto prigioniero dai birmani, si guadagnò la libertà impressionando il re, battendo a mani nude dieci tra i loro guerrieri più forti. Ancora oggi Nai Khanom Thom rappresenta per tutti i thai lo spirito stesso del combattente.
Ha fatto scalpore lo scorso anno la morte di un bambino, già veterano di numerosi combattimenti. Cosa ne pensi, e come vengono cresciuti questi piccoli combattenti? Combattono per poter sopravvivere e garantire un introito alle famiglie o per ambizione e passione?
Ha sicuramente fatto più scandalo in Occidente che qui. Nei muban, i quartieri popolari, i giovani iniziano a praticare la Muay Thai a 6/8 anni. Per molti qui, è un vero e proprio battesimo del fuoco, che permette di diventare uomini. Solitamente i più bravi lasciano le loro case (in particolare dal nord-est del Paese, quello più povero) e raggiungono le scuole di Bangkok, dove iniziano a combattere e a guadagnare soldi, per loro e per le loro famiglie. Le scuole della Muay Thai permettono anche di avere un’istruzione, quella che, molto probabilmente, non avrebbero mai avuto se fossero rimasti nelle loro case in campagna.
Esiste un filo rosso che lega l’arte del tatuaggio, la religione, gli amuleti, le danze e la mitologia guerriera alla Muay Thai?
Le origini dei rituali della Muay Thai mischiano tradizioni buddiste e animiste. Tra questi troviamo sicuramente i Sak Yant – i tatuaggi sacri (e magici) thai – gli amuleti e tutti i riti in onore del Kru – il Maestro -, della terra dei Padri e della scuola di appartenenza, che precedono ogni combattimento. Proprio per questo credo che praticare la Muay Thai significa anche sapere comprendere e onorare ciò che la cultura thai ci ha trasmesso nei secoli.
Cosa ti ha spinto personalmente ad iniziare a praticare questa arte dopo anni di reportage sui fronti di guerra?
Ho fatto Muay Thai anche in passato, in Italia. Ho ripreso dopo anni a farla qua, nel nord della Thailandia, dove vivo da un anno, quando per un lavoro che stavo facendo ho conosciuto un Kru che mi ha particolarmente affascinato. “Gli istruttori insegnano quello che sanno, i maestri quello che sono”, dice un antico detto. Non credo assolutamente che la Muay Thai sia uno sport. Al contrario, credo che questa arte marziale possa aiutarti ad elevarti spiritualmente, rendendoti una persona migliore di quella che la società moderna, spesso, ti fa essere.
La Muay Thai rappresenta colui che non si arrende davanti alle avversità e che con coraggio e forza d’animo riesce a cambiare gli eventi. Un collegamento concreto al mio lavoro di reporter, ma soprattutto alle storie di coraggio e determinazione che ho cercato di raccontare – e racconto – dai confini del mondo.