Intervista a Laura Strati, atleta fuori dagli schemi e dalle idee chiare.
Laura Strati, saltatrice in lungo classe ’90, è arrivata al termine di una stagione entusiasmante, forse quella della svolta per la sua carriera: due titoli italiani (uno indoor e uno outdoor, quest’ultimo da campionessa in carica), tre record personali, la partecipazione ai Mondiali di Londra. Si allena all’estero e non fa parte di un Gruppo Sportivo Militare, il che la rende un’atleta fuori dal comune, essendo arduo costruire e mantenere un profilo internazionale come il suo senza la struttura di supporto su cui può contare un atleta militare. Atleticamente si forma a Cassola, il paese alle porte di Bassano del Grappa (VI) dove nasce e vive con la famiglia, nel Gruppo Sportivo scolastico Marconi, fondato nel 2001 da un gruppo di genitori tra cui suo padre Claudio. Un’ottima carriera giovanile la porta poi a diventare una certezza del panorama italiano e della squadra nazionale, non solo nel salto in lungo ma anche nei 60m e 100m. Oggi gareggia per l’Atletica Vicentina – di cui il G.S. Marconi è partner – e vive a Madrid, dove lavora come traduttrice per una multinazionale dopo aver conseguito le lauree in Lingue e Relazioni Internazionali.
Un’annata importante per te, questa.
Sì, davvero. È proprio un anno ormai che mi sono trasferita qui a Madrid e le cose sono cambiate tanto: ho fatto una scelta per poter avere una prospettiva internazionale completa. Un processo che è iniziato a Cassola, con contatti e collaborazioni programmati dal mio staff con i vertici dei salti azzurri, e che a Madrid si è poi incrementato. Il bilancio è estremamente positivo: ho cambiato molte cose ma sento di aver preso la strada giusta. Sono emigrata, le mie misure sono aumentate, con quella minima sfiorata per le scorse Olimpiadi di Rio e la qualificazione ai Mondiali. Sono soddisfatta ma non appagata.
Anche perché il valore delle tue prestazioni è aumentato significativamente nell’ultimo anno: un chiaro segno di sicurezza.
È sicurezza certamente ma è anche la cura della mia performance. Daniele (Chiurato, n.d.A., è l’allenatore che seguiva Strati in Italia) e io abbiamo sempre saputo che, non essendo io un’atleta con quel talento che ti permette di scendere in pedana e fare una sola ottima misura, il nostro obiettivo dev’essere quello di alzare la misura media. Certo, la prestazione di picco deve arrivare e deve arrivare nella gara che conta, ma il mio punto di forza è sempre stato costruire la mia carriera mattone su mattone, e così sto continuando a fare.
Infatti se guardiamo ai salti di qualificazione agli ultimi Mondiali di Londra, dove un meteo inclemente ha incrinato la gara, tutte le atlete hanno saltato meno ma in modo proporzionale, e tu sei riuscita a mantenerti sulla stessa proporzione.
Vero. Chi aveva 7m di picco ha saltato 6,50m, e anch’io ho fatto mezzo metro in meno del mio 6,72, con un secondo salto comunque buono. Poi le gare a tre salti sono particolarmente difficili e devo abituarmi a farne il più possibile, non solo perché in tre salti bisogna mettere tutto l’allenamento, ma perché in questi eventi ci sono fattori esterni che rischiano di distrarre con cui si deve familiarizzare. Soprattutto quando rappresenti l’Italia: lì vuoi sempre dare il massimo.
Adesso che gareggi lontano dal tuo allenatore, riesci a gestirti da sola in allenamento e in gara?
Sono sempre in contatto, anche se a distanza, con Daniele Chiurato, il mio allenatore che mi ha seguito anche a Londra, ma lì con lui c’era anche Juan Carlos Alvarez Ortiz, che invece mi segue giornalmente qui a Madrid. Prima di Juan Carlos però ho avuto la fortuna di fare anche degli stage tecnici a Gorizia con Paolo Camossi (Campione del Mondo di salto triplo indoor nel 2001), e devo a lui dei preziosi consigli dal punto di vista della carica mentale, consigli che cerco e seguo ancora oggi. La collaborazione con Paolo è nata sì sua mia inizativa, ma con il pieno appoggio di Daniele che, come gli altri tecnici di Cassola, ha sempre saputo interfacciarsi con “consulenze” esterne, che possono darti una marcia in più. Dalla mia esperienza è utile uscire dallo schema dell’unico allenatore che ti risolve tutti i problemi: è più positivo sapere far squadra a livello tecnico.
Obiettivi tecnici nel prossimo anno?
Ovviamente migliorare le prestazioni, e riuscire a saltare 6,80-6,90m. E questo allo scopo di entrare nella finale degli Europei di Berlino 2018; quest’anno l’ho già sfiorata agli Europei indoor di Belgrado, per 2cm, quindi penso di potercela fare. La misura per accedere alle finali di Rio e di Londra è stata la stessa: 6,46m, e non è impossibile. La difficoltà è raggiungere quella misura in una gara secca, e sto lavorando per riuscirci.
Capitolo Londra: débacle pressoché totale se si escludono i risultati di Meucci, 6° nella maratona, Lingua, finalista nel lancio del martello, e Palmisano terza nella marcia. Cosa pensi di questa involuzione che ormai dura da qualche anno?
Il problema è federale: manca totalmente il lungo termine, la visione a 10 anni. Gli investimenti che vengono fatti – e non solo in termini di sovvenzioni – hanno un orizzonte troppo breve, di uno o due anni, alla ricerca della medaglia. E non è che siamo migliori di Paesi che non hanno vinto medaglie se abbiamo un bronzo in medagliere, perché altre Nazioni non avranno medaglie ma hanno messo un atleta in ogni finale. Poi c’è una carenza nella preparazione dei tecnici. E infine manca l’apertura di alcuni centri importanti dove gli atleti giovani possano allenarsi senza perdere il contatto con il mondo. Polonia, Germania, Inghilterra non sono Nazioni irraggiungibili: il nostro livello di talenti è adeguato a competere con loro. Solo che se, mentre nel nuoto o nella ginnastica esistono centri di preparazione in città strategiche come Milano o Verona, in cui gli atleti vengono sì portati per allenarsi ma allo stesso tempo continuano a studiare e ad avere una città attiva a disposizione, per noi i centri di preparazione olimpica sono a Formia e Tirrenia, dove non c’è niente. Dove puoi studiare a Formia? Si toglie un atleta dai suoi amici e lo si isola in un centro dove lo si riempie di allenamenti: a un certo punto non ce la fa più. Il campione esce comunque, se non lo si perde prima, ma è più facile che esca in un centro dove si può anche vivere. Tutto questo però senza dimenticare le società di base, dove i veri talenti crescono. Non tutti gli atleti meritevoli infatti possono accedere ai centri federali: serve un aiuto della Federazione per dare una mano a loro nell’ambiente dove sono cresciuti, e anche ai loro tecnici. A Cassola è accaduto così e questo ha portato all’emergere di diverse eccellenze giovanili.
In una situazione di questo tipo, che margine di azione hanno allora le società?
Purtroppo le società di base sono sovraccaricate di responsabilità, e il problema si amplifica: con il sistema dei Gruppi Sportivi Militari, gli atleti migliori se ne vanno, la società perde di lustro e quindi vengono meno le sovvenzioni dalla Federazione che sono legate alle prestazioni degli atleti. Nei GSM poi tante volte l’atleta si perde, perché quei gruppi sono appunto di militari, non di tecnici o dirigenti esperti di atletica.
E dire che se si guarda al tuo caso, si vede non solo un’atleta di alto profilo ma anche una persona formata, con una sua personalità e una preparazione universitaria…
Sì ma io mi sono formata da sola. La Federazione mi ha aiutato molto poco. Tutte le scelte fatte, come riferirmi a Paolo Camossi o se e come insistere dopo l’infortunio che mi ha bloccata qualche stagione fa, sono state tutte prese da me sola in accordo col mio tecnico, senza il supporto di nessuno: dal 2015 in poi sì, ma prima ero lasciata a me stessa. Se gli atleti più giovani arrivano a ottenere grandi exploit ma poi si perdono, di chi è la colpa? Di una Federazione che non sa tenerseli.
Purtroppo si concentrano solo su alcune persone e seguono solo quelle: come per esempio il programma Atletica Élite Club, i 33 atleti selezionati per programmi speciali dalla FIDAL, costituito col secondo quadriennio di presidenza Giomi. Solo poco più della metà è andato a Londra, e di quel gruppo per esempio io non ne faccio parte. Le fasce federali individuate dal CT Locatelli sono: giovanile, under 25 e questi 33. Se hai più di 25 anni e non sei nei 33, non vieni preso in considerazione.
Atleti d’élite che sono quasi esclusivamente militari.
La politica federale è quella di aiutare soprattutto e quasi esclusivamente gli atleti militari. I civili come me non sono molto considerati, ecco. Va detto che ci sono dei micro progetti studiati ad hoc per le singole situazioni, come è successo a me e Martina Lorenzetto (la vice-campionessa italiana, N.d.A) per cui se io fossi in Italia avremmo diritto di andare a Gorizia da Camossi a spese della FIDAL, ma è tutto pensato e gestito in fieri. Ora non abbiamo nemmeno un responsabile dei salti…
Quindi la tua programmazione della stagione, la preparazione agli eventi clou è indipendente dalla Federazione…
Totalmente indipendente, come lo è sempre stata. Prima di trasferirmi ho ricevuto una promessa di sostegno dal CT Locatelli: con la FIDAL io ho un contratto che prevede che io tenga informati i vertici e che i vertici si informino su di me per compiere un cammino condiviso. Infatti quest’anno che è arrivata la partecipazione ai Mondiali i miei contatti in Federazione sono tati più serrati e il sostegno è aumentato, ma prima…
Nonostante tutto, la tua carriera è a un momento di svolta chiave.
Stanno ancora cambiando molte cose, e sto ancora cercando di capire dove posso arrivare. Sento di avere ancora margine di miglioramento: già quest’anno ho ottenuto prestazioni significative che mi danno sicurezza, ma oggi vedo davanti a me prospettive di risultato che prima non vedevo così a portata di mano. Per ogni atleta prima o poi viene il momento in cui si deve fare la differenza, in cui si deve fare ciò che non si è mai fatto per arrivare dove non si è mai stati, il momento in cui si deve compiere lo slancio che segna la differenza tra chi ci prova e chi ci riesce. È arrivato, è il momento di Laura.
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