L’incredibile favola del Mantova che, con quattro promozioni in cinque anni, raggiunge la serie A nel 1961.
A metà degli anni Cinquanta, l’Italia è un Paese che deve ancora superare il dramma della Guerra e proteggere i primi vagiti della Repubblica. La ricostruzione è sostenuta dai prodromi del “miracolo economico” che verrà, tuttavia le devastazioni interiori e fisiche segnano ancora il territorio e le menti della popolazione. In questo clima di incertezza, le domeniche ed i relativi appuntamenti sportivi rappresentano una salvifica fonte di distrazione. In particolare il pallone, divenuto ormai parte integrante della cultura popolare, raccoglie attorno a sé migliaia di appassionati tutte le settimane. Pertanto, ogni centro dello Stivale ha il suo undici da sostenere e la città di Mantova non fa eccezione.
Da Todeschini a Fabbri
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Infatti, benché l’Associazione Calcio Mantova, fondata nel 1911, abbia vissuto più ombre che luci fino a quel momento, i tifosi seguono da sempre la squadra con orgoglioso attaccamento. Nel campionato 54/55’, in quarta serie, i Virgiliani sono guidati da Paolo Todeschini, ex Milan e Napoli, che si divide tra campo e panchina. Egli è un capace scultore e realizza un blocco di giovanissimi, sorretto da una colonna di veterani: l’annata è senza dubbio positiva, ma il secondo posto finale nel girone C non vale la promozione. Durante l’estate un avvicendamento alla guida tecnica porta sulle rive del Mincio Edmondo Fabbri, ala con diversi trascorsi in serie A, tra Atalanta, Inter e Sampdoria, detto Topolino per la combinazione tra statura minuta e velocità. Anche in questa stagione, al mister è richiesto di essere pronto ad allacciarsi gli scarpini per dare man forte al nucleo di giovani speranze, tra cui spiccano il portiere William “Carburo” Negri, l’insostituibile mediano autoctono Renzo Longhi ed il talentuoso Russo, che sarà autore di diciotto marcature. Nuovamente però, dopo un avvio difficile, il Mantova si deve accontentare dei complimenti e del gradino più basso del podio, dietro a Ravenna e Reggiana. Tuttavia, dopo una lunga notte, l’alba virgiliana è ormai pronta a risplendere ed i mesi estivi risultano fondamentali per i radiosi campionati futuri. Innanzitutto, entra in società l’azienda petrolifera Ozo, foriera di vitale liquidità per le casse del club, mentre alla scrivania della società si insedia Italo Allodi, nelle vesti di segretario, al termine di una breve carriera da calciatore in serie C. Inoltre, l’avvento dello sponsor comporta una nuova denominazione sociale e soprattutto una modifica dei colori: dal biancoceleste al biancorosso.
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“ll Piccolo Brasile”
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Finalmente la stagione 56/57’ è coronata da una promozione, poiché il secondo piazzamento consente di partecipare al successivo girone di quarta serie d’eccellenza, detto Interregionale Prima Categoria. Così, per l’annata seguente, la rosa viene rinnovata ed Allodi – che compone con Fabbri un affiatato tandem umano e tecnico – si dimostra abilissimo a cogliere le migliori opportunità offerte dal mercato, come la mezzala Giagnoni, l’ala Recagni ed il centravanti Fantini. La squadra è così sensibilmente rafforzata e conclude il campionato alla testa del girone, disputando le finali nazionali. Ai tempi però il merito sportivo non è sufficiente per accedere al salto di categoria, perciò soltanto dopo l’espletamento delle pratiche burocratiche l’Associazione Calcio Ozo Mantova è iscritta al girone A delle Serie C, in compagnia di altre venti squadre. Il campionato 58/59’ vede immediatamente il duello tra i virgiliani ed il Siena, testa a testa che non si risolve nemmeno dopo quaranta giornate. Pertanto, all’epilogo della stagione, le due compagini si trovano appaiate a 58 punti ed è necessario uno spareggio per assegnare la promozione in B. Il cammino del Mantova è stato particolarmente tortuoso ma il granitico spirito di gruppo – difeso dalle paterne premure dell’allenatore – ha permesso di superare le difficoltà, acuite dai numerosi infortuni. Intanto il gioco offensivo, basato su un modulo ammiccante al “sistema”, combinato al temperamento profuso in ogni contrasto, è valso ai biancorossi la nomea di Piccolo Brasile. Addirittura è un giornale di Lucca ad annunciare così l’arrivo della squadra in città, riprendendo il motivetto di un gruppo di fedelissimi mantovani, che già cantavano “Noi siamo i biancorossi del piccolo Brasile…”. Infatti, la Selecao ha appena conquistato i Mondiali di Svezia ed il suo 4-2-4, che porterà al trionfo anche a Cile 62’, è interpretato da autentici assi come Garrincha, Didi, Vava ed il giovane Pelè; un soprannome così importante non rappresenta però un onere sulle spalle dei virgiliani, che dimostrano di meritare, almeno in parte, l’entusiastico accostamento ai fenomeni verdeoro.
Così, il 28 giugno 1959, sul campo neutro del Marassi di Genova, Mantova e Siena disputano l’atto conclusivo della stagione. La strada si mette subito in salita per i lombardi che rimangono in dieci, non potendo sostituire il mediano infortunato Cadè, e sono costretti a difendersi strenuamente dagli arrembaggi dei toscani. A spezzare l’equilibrio ci pensa Fantini che, a dieci minuti dal 90’, fa esplodere di gioia i numerosissimi Mantovani accorsi in Liguria. Il triplice fischio dell’arbitro Liverani dà il via alla festa, che si esaurirà soltanto in Piazza delle Erbe. Smaltita l’euforia, si passa velocemente agli addii: mentre in società al dimissionario Bellini, presidente della rinascita, subentra Giuseppe Nuvolari, anche Allodi si prepara a fare le valigie. Infatti Angelo Moratti lo vuole a Milano, dove il dirigente si cimenterà nella costruzione della “Grande Inter” del decennio successivo. Così, un Mantova rinnovato in campo e fuori affronta la serie cadetta, pagando il dazio iniziale del salto di categoria. Superate le tempestose acque dell’inizio, la ciurma biancorossa veleggia serenamente, chiudendo al quinto posto, sempre votata al connubio tra grinta e bel gioco.
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Una favola A lieto fine
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La stagione successiva è una cavalcata trionfale, coronata dal 2-0 casalingo al Brescia, che sancisce l’incredibile promozione in serie A, frutto del secondo posto tra Venezia e Palermo. Come la famiglia Gonzaga si rivolgeva ai celeberrimi maestri del 500’ per realizzare le sue dimore, così occorre rivolgersi ad un artista del pallone per rinforzare la squadra in vista della nuova sfida. Dopo un’estenuante trattativa ecco giungere allo Stadio Martelli, proprio a due passi dal meraviglioso Palazzo Te, Angelo Benedicto Sormani, ormai ex attaccante del Santos di “O’ Rei”. Sarà per l’investimento, sarà per l’importanza nello scacchiere tattico, ad ogni modo Fabbri riserva alla Perla Bianca le stesse attenzioni rivolte al resto della squadra, più un accorgimento speciale: oltre al divieto di recarsi al campo con mezzi a motore e mille lire di multa per ogni sigaretta, al brasiliano viene temporaneamente imposto un ritiro ad personam, per limitarne l’esuberanza di novello sposo alla vigilia delle partite. Quindi, ai nastri di partenza della Serie A, l’organico assemblato dal ds Manfredini presenta i portieri Negri e Francalancia, i terzini Corradi, Cancian, Morganti e Gerin, i mediani Pini, Longhi, Castellazzi e Tarabbia, le mezzali Giagnoni, Mazzero e Del Negro, le ali Recagni, Alleman, Simoni e Sormani, i centravanti Uzecchini e Cella, con Nelsinho, secondo brasiliano, che rimarrà però un oggetto misterioso. Il calendario impone subito al Mantova, che ha lasciato la denominazione “Ozo”, un battesimo di fuoco: l’esordio è al Comunale di Torino, salotto della Vecchia Signora, campione d’Italia in carica. I bianconeri dopo mezz’ora passano grazie al gallese Charles, poi il diabolico Omar Sivori non riesce a sferrare il colpo di grazia agli ospiti che, superato il trauma iniziale, prendono coraggio. Al settimo della ripresa, una magia dello svizzero Tony Alleman riporta l’incredibile parità, che inaugura un secondo tempo giocato all’attacco dai biancorossi. Il giorno seguente, la grande prova dei virgiliani spinge addirittura la Gazzetta di Mantova ad interrogarsi sull’effettivo valore del pareggio ottenuto: un punto perso o guadagnato? Lasciata ai posteri l’ardua sentenza, il Mantova rende il Martelli un fortino quasi inespugnabile e chiude il campionato 61/62’ nono in graduatoria, spinto dai sedici centri di Sormani. Prima dell’epilogo della stagione, c’è anche la soddisfazione del terzo posto in Coppa Italia, conquistato superando proprio la Juventus nella finalina.
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Come si era già verificato dopo la promozione in B, un grande risultato è seguito da una separazione: questa volta è Fabbri a lasciare la panchina biancorossa dopo un addio particolarmente travagliato. Quindi, mentre la guida tecnica viene affidata a Nandor Hidegkuti – già centravanti di manovra dell’Ungheria di Puskas – il tecnico romagnolo, vicinissimo prima all’Inter dell’amico Allodi, poi al Verona, finisce invece in Nazionale, dove non si dimentica dei suoi trascorsi in riva al Mincio. In particolare, a beneficiarne saranno Sormani, Gigi Simoni e Negri, passato dalla quarta serie al vittorioso esordio azzurro del Prater di Vienna, nel novembre 1962. Infine, si può affermare che il club virgiliano volti pagina e chiuda per sempre il capitolo del Piccolo Brasile con la partenza di Fabbri, insignito del premio “Seminatore d’Oro 1961/62”, proprio per i risultati ottenuti in biancorosso. L’eredità tecnica ed umana di quella incredibile squadra e del suo allenatore saranno raccolte dai tanti ragazzi come Giagnoni, Cadè, Simoni e Recagni che continueranno la loro carriera dalla panchina, una volta appesi gli scarpini al chiodo.