L'opera di Nichil indaga l'evoluzione degli sport con palla verso una prospettiva poco esplorata. Per una storia del linguaggio sportivo.
Lo sport è un tintinnio di linguaggi che riesce a raccontare la storia, la cultura e le debolezze di un popolo. I codici cesellati negli ultimi centocinquanta anni sono celati dentro riti sacri che stimolano perfettamente i due emisferi del cervello – il destro, sede della creatività, e il sinistro, tempio dell’analisi –. Non a caso Pier Paolo Pasolini, in un articolo apparso su «Il Giorno» il 3 gennaio 1971, raccontava il football con tale visione: «Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori […] Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato».
Oggi, un’impresa filologico-emozionale italo-franco-tedesca, composta da un docente di lettere e ricercatore salentino, Rocco Luigi Nichil, ci offre la possibilità di individuare una struttura cronologica, pragmatica e semantica della lingua degli sport con la palla: Il secolo dei palloni – Storia linguistica del calcio, del rugby e degli altri sport con la palla nella prima metà del Novecento, lavoro avallato dal Travaux de Linguistique Romane Lexicologie, onomastique, lexicographie, e pubblicato da Eliphi editions de linguistique et philologie nel 2019, in una collana diretta dagli autorevoli docenti Marcello Aprile, Thomas Städtler e André Thibault.
WolfgangSchweickard, linguista e filologo tedesco dell’Università del Saarland, curatore della prefazione del testo, rimarca le difficoltà riscontrate nel recente passato per chi ha provato a decodificare i linguaggi sportivi: «Per indagare in modo appropriato le fasi più antiche dello sviluppo del linguaggio sportivo, è indispensabile spogliare giornali e riviste d’epoca. Tuttavia, l’accesso a fonti del genere, fino a tempi molto recenti, è stato possibile solo con grande difficoltà. Solo verso la fine del ventesimo secolo si sono create le premesse tecniche e bibliotecarie che oggi ci permettono di consultare in versione digitale».
Rocco Luigi Nichil divide la storia dello sport italiano in una fase antica – che si estende fino all’Ottocento e comprende sport e giochi come il calcio fiorentino, la scherma, l’equitazione e la lotta – e una fase moderna, che abbraccia un Novecento nel quale spadroneggiano le discipline di massa. Risale al 1870 la prima gara ciclistica, la Firenze-Pistoia, organizzata dal Veloce Club di Milano, mentre la prima società di tennis è datata 1878: la Bordighera Lawn Tennis Club. Il club calcistico antesignano arriva nel 1893, il Genoa Cricket & Athletic Club.
I lavori pionieristici nel settore del linguaggio sportivo sono il Linguaggio sportivo contemporaneo (Sansoni, 1962) e Guerinsportivo – Una lingua per lo sport di Fabio Marri (all’interno di Il Resto del Carlino in un secolo di storia, Pàtron, 1985). La monografia di Nichil non solo si affianca ai suddetti, ma colma alcune delle lacune più rilevanti della ricerca filologica del settore. L’opera ricostruisce lo sviluppo dei giochi col pallone in Italia – baseball, pallacanestro, pallavolo, rugby, calcio –, indagando, con occhio brillante, l’evoluzione della terminologia, immersa in un ampio e puntuale glossario. La documentazione (che offre un focus sul rugby e sul calcio) si serve di tutti gli studi sul linguaggio sportivo esistenti e sui più rilevanti repertori lessicografici.
Le fonti spogliate in originale sono: Il Littoriale, Il Calcio Illustrato, Corriere della Sera, La Stampa / La Stampa Sportiva, La Capitale Sportiva, Guerin sportivo. La struttura dei singoli articoli è guidata dagli orientamenti metodologici della lessicografia moderna, con una cronologia delle attestazioni che evidenzia minuziosamente le peculiarità formali e semantiche. L’autore offre al lettore, inoltre, nuove certificazioni, retrodatazioni e in generale informazioni di altissima freschezza e qualità rispetto alle ricerche precedenti.
Mi soffermo su alcune analisi storico-sociologiche costruite da Nichil sul Rugby, inaugurando il passaggio con un pensiero di Gianni Brera per il nobile sport: «Se il panorama le sembra eccessivo, s’informi del rugby: è stato inventato dai gentlemen per reagire alla moda fin troppo plebea e stradaiola della pedata: però per non restare troppo delusi, converrebbe meglio nascere in Nuova Zelanda». L’autore affresca la nascita delle palpitazioni veraci e gentili della palla ovale:
«Secondo la leggenda, si deve a William Webb Ellis, uno studente della città di Rugby (nella contea di Warwickshire), l’invenzione del gioco che prese il nome da questa città: nel 1823, durante una partita di calcio, quando ancora le regole del gioco non erano state uniformate e riconosciute, Ellis raccolse la palla con le mani, e dopo aver corso in avanti verso l’area avversaria (cosa vietata dal regolamento) la schiacciò oltre la linea di fondo campo. Da quel momento molte persone iniziarono a praticare il nuovo sport. Tuttavia, sebbene nei pressi della Rugby School siano ancora presenti una statua bronzea di William Webb Ellis e una lapide commemorativa che fissa al 1823 la nascita del nuovo sport, Ellis non rivendicò mai tale invenzione: «[l]a questione dell’origine del rugby resta dunque controversa e sostanzialmente legata a testimonianze locali» (Mazzocchi/Pisani 2006). Il calcio e il rugby si separarono definitivamente dopo il 1863, quando alcuni club inglesi decisero di adottare per il gioco le “Regole di Cambridge” e fondarono la Football Association (ossia il primo nucleo di quella che diventerà la Federazione calcistica inglese), mentre altri club mantennero le “Regole di Rugby” e nel 1871 diedero vita alla Rugby Football Union. Quest’ultimo sodalizio, però, si divise ancora nel 1895, quando alcuni club del nord dell’Inghilterra si scissero e formarono la Northern Rugby Football Union, divenuta in seguito Rugby Football League. Le due associazioni iniziarono ad apportare significativi cambiamenti alle regole di gioco, fino ad arrivare a varianti decisamente diverse. Così, le due varianti del gioco cominciarono a distinguersi anche nel nome: la Rugby Football Union gestiva il rugby union (ancor oggi la variante più diffusa al mondo, che si gioca con squadre di 15 uomini), mentre la Rugby Football League disciplinava il rugby league (con squadre formate da 13 giocatori)».
La chicca che Nichil regala al lettore in merito al Rugby nostrano narra del rapporto che ebbe con l’organismo del fascismo, determinante per l’orientamento delle passioni degli italiani: «E anche se il regime, come vedremo ampiamente più avanti, mostrava una certa preferenza per la palla ovale («Il Rugby è il nostro sport», afferma il segretario del PNF, Achille Starace: Nichil 2012, 91), assecondò volentieri le masse degli sportivi, le quali si spostarono rapidamente verso «Le cronache del calcio», come Giacomo Devoto intitolò un breve articolo che, crediamo non per caso, comparve nel 1939 sul primo numero della più antica rivista italiana di studi storico-linguistici, Lingua nostra».
Mi soffermo sulla nascita di alcuni termini che perseguitano i tifosi di ogni parte dello Stivale per ventiquattro ore al giorno, esponendo altresì un’altra chicca offerta dall’autore sempre in relazione al duce.
La massima divisione calcistica tricolore cambia nomea nel 1937:
La Stampa (18 maggio 1937, p. 4): Vengono su Livorno ed Atalanta. Speranze, propositi, evviva. Benvenute. Attenzione, però, al salto. Il clima della Serie A soffoca chi non ha polmoni capaci. Il difficile comincia adesso per le neo promosse. • Victor, Il Calcio Illustrato (31 agosto 1938, p. 2): Se domenica 21 agosto, riapertura ufficiale della stagione, solo due undici di Serie A, il Napoli ed il Livorno, avevano giocato regolari partite, e sia pure secondarie, domenica scorsa ben undici incontri hanno veduto impegnati, più o meno seriamente, gli squadroni.
La seconda divisione calcistica, definita talvolta “purgatorio”, adotta il marchio che la contraddistinguerà:
Torneo dei Cadetti, loc.m. “il campionato di calcio di serie B”.
Il massimo titolo riservato da Eupalla agli epici eroi della gipsoteca mondiale, la Coppa del Mondo di Gazzaniga, ieri Coppa Rimet, in occasione dei Mondiali italiani del 1934 ebbe un altro trofeo a tallonargli il fianco dorato:
Coppa monumentale, loc.f. “altro trofeo da attribuire alla vincitrice, oltre alla Coppa Jules Rimet, per la vittoria del campionato del mondo del 1934 (ed è concessa dallo stesso Mussolini)”.
L’opera di ricerca di Rocco Luigi Nichil rappresenta un manuale necessario per la biblioteca del viscerale amante dello sport e del suo tintinnio di linguaggi legati a doppio nodo – con un file rouge – alla cultura, all’arte e ai valori della società. Il calcio ha fatto cultura, l’arte si è ispirata al calcio, giusto per dare un esempio pratico. Maradona, Cruijff, Platini, Van Basten, Pirlo, Iniesta, Zidane; Sacchi, Guardiola, Gianni Agnelli, Helenio Herrera; Brera, Ciotti, Viola: chi può sostenere il contrario? Oltre quattrocento pagine di storia linguistica di fenomeni popolari che se seguiti con parsimonia possono addirittura chiarire differenti passaggi chiave della storia contemporanea d’Italia. A proposito di palla, mi piace ricordare quella tanto agognata dall’umorista supremo del giornalismo europeo, Beppe Viola, sferrata in sterminate lande del mondo da un tennista che gli americani volevano alla Casa Bianca: «Sarei disposto ad avere 37 e 2 tutta la vita in cambio della seconda palla di servizio di McEnroe».