Alle radici di un legame indissolubile.
È il 20 ottobre del 2021. San Pietroburgo si prepara ad accogliere i tifosi della Juventus per la terza partita del girone di qualificazione della Champions League. È la Juventus del secondo Allegri, il cui predominio italiano si è ormai eclissato, contro l’ultimo Zenit in formato europeo prima dell’esclusione dei club russi da tutte le competizioni UEFA.
Sembra passato un secolo. Allora erano la presenza più che il ricordo del Covid ad animare il dibattito globale. Prima che la storia facesse il suo ingresso dalla porta principale.
Eppure il sentore di un’inquietudine crescente sembrava già allora proliferare tra i palazzi pietroburghesi. La capitale più europea e più occidentale, sede di uno tra i più prestigiosi e vincenti club calcistici russi, nella notte del 20 ottobre si anima per accogliere i tifosi italiani, ribadendo un concetto allora (tragicamente) sottovalutato: l’afflato imperiale russo è vivo e vegeto, attende solamente il momento giusto per riemergere.
Tutto sembra convergere fatalmente verso una nuova era. Il concetto stesso di tempo, per i russi, si traduce con vremya, termine che indica più una ciclicità costante rispetto allo scorrere verso il futuro che è tipico del tempo occidentale.
Così, mentre le squadre si schierano, la tifoseria organizzata dello Zenit propone agli ospiti occidentali un gigantesco telo ritraente Pietro il Grande, riconosciuto fondatore dell’impero russo, nonché della sua capitale più “europea”: San Pietroburgo. A quasi trecento anni da quel 22 ottobre del 1721 in cui, dopo la conclusione del trattato di Nystad tra la Russia e la Svezia, fu sancita l’affermazione dell’impero zarista nel concerto delle grandi potenze europee. […]