Calcio
18 Ottobre 2023

Ricomporre le macerie

Spalletti non dovrà solo allenare, ma combattere.

Il 4-0 contro Malta – l’Italia non vinceva con oltre due reti di scarto dal 1993 – non ci aveva di certo illusi per l’esito del big match a Wembley contro l’Inghilterra. D’altra parte le stesse dichiarazioni di Spalletti da una Coverciano immersa in una lugubre atmosfera da italianissima serie televisiva di bassa lega erano state nette: «Io non voglio allenare gli alibi. Io non chiedo nulla più di quel che ho a disposizione. Quando si allena una Nazionale si può pescare tutto quel che si vuole, e l’Italia mette sempre a disposizione elementi che consentono il confronto con chiunque».

Ha aggiunto poi che dopo la vittoria di Bari Wembley avrebbe chiarito le prospettive della Nazionale.

Che non escono, ad avviso di chi scrive, troppo ridimensionate. Avrebbe meritato di chiudere il primo tempo in vantaggio, ed è da lì che l’Italia deve ripartire. Lo spegnimento generale nella seconda frazione è stato grave, ma certamente evidenziato dall’immensa qualità tecnica dell’attacco dell’Inghilterra, non a caso la Nazionale più preziosa al mondo. Forse l’inquietudine nasce da qui: contro una squadra forte ma che a livello storico ha molto da invidiarci, il confronto a tratti è parso impietoso.

Considerate età (bassa) ed esperienza internazionale (risibile) di molti elementi, nemmeno una serata troppo avvilente. L’Italia a Londra ha schierato un undici con quattro under 25, Donnarumma escluso. Siamo ancora alle fasi sperimentali, è solo la quarta partita di Spalletti sulla panchina azzurra, ma la formazione di Wembley per l’importanza della posta in palio e del palcoscenico ha visto in campo Udogie, Scalvini, Frattesi, Scamacca, quella che si presume sarà parte dell’ossatura delle convocazioni future.


Italia: promossi, bocciati, rimandati


Scamacca era il più atteso. La cronica assenza di un numero nove italiano di rilievo internazionale è cosa nota, e dal centravanti romano ci si attende una stagione svolta. È ancora a corto di minuti e dopo un ottimo inizio condito dal gol si è spento, abbastanza prevedibile dato che era alla seconda da titolare dopo l’infortunio, ma la sensazione è che per età e caratteristiche fisico-tecniche sia destinato a essere il futuro centravanti azzurro. Spalletti ha sempre lavorato maniacalmente sui numeri nove, e se la squadra velocizzerà certi automatismi e una certa pulizia nei passaggi, non ci stupiremmo in futuro di vedere Scamacca fare movimenti simili a quelli di Osimhen, ci auguriamo con simili fortune.

Un gol a Wembley dà fiducia, se infortuni permettendo il minutaggio di Scamacca da qui a un mese sarà costante non è da escludere la sua titolarità anche contro Macedonia e Ucraina a Novembre. Interessante la proposta di Udogie, preferito a Dimarco. Il laterale del Tottenham, seppur talvolta impreciso come tutti i colleghi di reparto, ha mostrato un passo differente rispetto ai compagni di squadra – forse, non a caso, Udogie gioca in Premier come gran parte dei suoi avversari di ieri sera. Il suo dinamismo tornerà utile.

La difesa è stata la nota meno lieta della serata. Certi automatismi sono difficili da trovare con così poco tempo a disposizione, specie per un ct come Spalletti che ha rimarcato di essere un allenatore che trae il meglio dalle sue squadre con un ossessivo lavoro sul campo: «non concordo con chi dice che il ct deve gestire. Deve gestire come tutti, se il ct vuole fare qualcosa di differente deve saper anche allenare, e noi proviamo a farlo». Scalvini, incappato in una serata horror, dovrà lavorare. Gente del calibro di Bellingham e Kane però non gira per i campi della Serie A, ed è assolutamente comprensibile che per mancanza di esperienza il giovane difensore atalantino non sia ancora abituato a contrastare con la dovuta qualità un calciatore di quel calibro.

Il più giovane italiano in campo però ha già quattro partite da titolare in maglia azzurra a 19 anni. Non è ancora in grado di offrire la sicurezza che nelle partite di primaria importanza si pretende da un centrale della Nazionale italiana, ma non c’è altro modo per diventarlo che mettersi alla prova in tali contesti. Molto delle fortune della Nazionale passerà dalla sua crescita e dall’intesa tra lui e Bastoni. Sia Atalanta che Inter però giocano a 3, e come alternanza in una difesa a 4 Romagnoli o Casale potrebbero tornare più che utili (se solo venissero convocati). Del resto, se non prendi gol non perdi, e l’Italia ha costruito la maggior parte dei suoi successi su questo dogma. Centrocampo e esterni d’attacco tutti ampiamente rivedibili, ma a questi livelli le assenze pesano.


Una generazione deboluccia


Da una parte Bellingham, Rashford, Foden. Dall’altra Cristante, Berardi, El Shaarawy. 68 anni in tre con assidue presenze in Champions da protagonisti gli inglesi, 87 anni e carriere  a dir poco stiracchiate gli azzurri. Sarebbe stato interessante poter opporre loro Tonali, Zaniolo, Chiesa. E qua il discorso si fa grottesco. Del circo degli ultimi giorni si è parlato sino alla nausea, e non è il caso di rincarare la dose proprio da queste colonne. Avevamo però già parlato della fragilità mentale estrema, organica, contagiosa di questa generazione di calciatori. Contrariamente alla vulgata non è certo necessario essere mentalmente forti per essere buoni o persino ottimi giocatori.



Il talento può sopperire, almeno fino a un certo punto. Maradona e George Best potrebbero confermare. Ma a certe vette, prima di mandare più o meno prematuramente tutto in vacca, ci devi arrivare. La prospettiva di perdere anche solo la convocazione per una partita di questo calibro dovrebbe atterrire un professionista, specie se giovane. Figuriamoci una squalifica di mesi, se non di anni. Gli ultimi sei schizofrenici anni della Nazionale hanno certificato una crisi inaudita di stabilità, chiarezza, moralità, decisione, abnegazione, orgoglio e rispetto verso se stessi.

Se i livelli tecnici dei primi anni dieci erano squallidi, la più talentuosa generazione successiva, quella dagli odierni 27/30 anni in giù, è drammaticamente priva di punti di riferimento, preda di uno spaesamento che cerca di combattere come può, destreggiandosi tra mondi virtuali e approfittatori di ogni sorta. Essendo un tema sociale non è certo un discorso limitato solo al calcio, ma se di calcio parliamo questa pochezza interiore è costata alla Nazionale la partecipazione a due mondiali e gravi ombre sulle carriere di alcuni dei migliori prospetti italiani, sempre che prossimamente il solerte Corona, papabile Pulitzer per il giornalismo investigativo, non snoccioli i nomi di altri ludopatici, veri o presunti che siano.

Non vorremmo essere in Spalletti. Il bivio è tra la Roulettenburg di dostoevskiana memoria e l’Europeo del prossimo giugno, meglio se da protagonisti, unica redenzione possibile per questa maglia azzurro tenebra. Sul lavoro di campo c’è sicuramente da lavorare molto ma la rotta c’è e si vede. Sul lato mentale e morale, c’è da fare qualcosa di straordinario.

«È stato un trauma, ci siamo rimasti male. Ma li abbiamo abbracciati. I ragazzi coinvolti erano distrutti. Quando un gruppo sta insieme e vive le partite così si creano sempre relazioni importanti. Esiste il calcio relazionale, fondato sui rapporti umani, a volte coppie di calciatori con caratteristiche che non si sposerebbero bene invece fanno ottime cose perché si intendono sul lato umano».

Un buon artigiano si riconosce anche dalla conoscenza degli strumenti che possiede. Spalletti oltre a questo ha anche il compito di riparare aggeggi molto belli e molto difettosi. Un doppio lavoro, che fortunatamente sembra entusiasta di fare. Se saprà toccare le corde giuste, in campo come nelle menti e nei cuori degli azzurri, torneremo ad avere anche noi, come Nazionale, un sogno nel cuore.

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