Uno scudetto a perdere, quello italiano.
L’Inter ha perso perché non ha saputo reggere la pressione. Qualcuno la chiama paura di vincere; altri, più semplicemente, mancanza di carattere o di attributi. La prodezza di Perisic sembrava aver tracciato il sentiero verso la cima maestra; poi è stato Arnautovic, su una marcatura molle e distratta da parte della difesa interista, a fare da preludio al dramma di Ionut Radu, l’eroe tragico che nessuno si aspettava.
L’asterisco che simboleggiava la partita in meno rispetto ai cugini ha giocato un brutto scherzo ai nerazzurri, catapultati – tra Covid, rinvii e ricorsi rigettati – in una partita carica di tensione e pressione. Trascinare il recupero di Bologna fino al punto cruciale della stagione, quando sono i dettagli a scavare le ultime differenze, non si è rivelata una grande idea da parte della società. E nemmeno la storia è stata dalla parte di Inzaghi: l’unico scudetto assegnato con uno spareggio risale al lontano 1964, in campo proprio Bologna e Inter. Immaginate bene, vinsero proprio i felsinei.
Sbaglieremmo inoltre, per trovare una spiegazione all’harakiri nerazzurro, a gettare la croce sulle spalle di Radu, autore della pavona (copyright dello Slalom) che ha cucito mezzo tricolore sul petto rossonero.
Non è questione di singoli né di episodi. È la paura che allunga i tentacoli e fa scalpi illustri. La Serie A, mediocre, incerta e persino avvincente, si è scoperta facile preda del terrore di vincere. Lo si è visto nei momenti chiave della stagione, quando il carattere, insieme alla lotta, alla concentrazione e alla lucidità, avrebbe dovuto prevalere su schemi, moduli e strategie. Così non è stato e quello che ricorderemo sarà il campionato della paura costante, dello scudetto deciso dagli errori dei portieri (con i piedi e non con le mani) e delle masochiste uscite dal basso.
L’Inter era già caduta nella trappola della paura nei quattro minuti del derby, in cui Giroud si era svegliato dal torpore e aveva dato la spallata al campionato. Autolesionismo da pazza Inter, a cui non è bastato sostituire un inno – pazza Inter amala – per modificare il proprio dna; ma un autolesionismo conosciuto anche da Napoli e a tratti Milan, in crisi a fine girone di andata dopo un grande avvio. Il Napoli soprattutto è l’eterno recidivo, ostaggio perenne della paura: i partenopei, che avrebbero potuto quantomeno lottare fino alla fine, hanno sperperato invece le residue speranze di scudetto con un punto nelle ultime tre partite tra Fiorentina, Roma ed Empoli (quest’ultimo non vinceva in campionato dalla partita del girone d’andata con lo stesso Napoli, e basterebbe questo per rendere la portata del suicidio partenopeo, da 0-2 a 3-2).
E poi c’è un elemento in comune alle sconfitte delle grandi, vale a dire la drammaticità delle cadute e la teatralità degli errori.
In un calcio assetato di bellezza, la Serie A si presta agli occhi del mondo come il torneo segnato da crolli rovinosi e gesti tecnici sconsiderati: tutt’altra pasta rispetto alle fragilità di Manchester City e Real Madrid, sminuite dalla magnificenza degli interpreti di attacco e centrocampo. Mentre il mondo chiude un occhio sugli errori di Alaba o sulle sbracciate di Laporte, l’Italia si divide su Meret e Radu, paria ideali in una narrazione sempre pronta a puntare il dito contro sulla sconfitta dell’individuo più che del gruppo o delle idee. Ma accendere i riflettori sugli errori singoli rischierebbe, a nostro giudizio, di raccontare i fatti in maniera distorta: la realtà è che abbiamo a che fare con squadre immature, fragili e incomplete. Sta proprio qui, nei limiti e nella mediocrità degli interpreti, il fascino oscuro della Serie A. Una “decrescita felice”, come l’avevamo chiamata qualche tempo fa.
Il gol in extremis di Tonali pare dunque l’ennesima chiave di volta della Serie A più incerta dell’ultimo decennio. Scatto rossonero arrivato dopo la sconfitta nel derby di Coppa Italia, altro momento topico della narrazione. E invece il calcio italiano ha partorito l’ennesimo ribaltone: ora comanda il Milan e insegue l’Inter. Il destino, e la pressione che ne deriva, sta tutto nelle mani dei ragazzi di Pioli. Chi vincerà allora lo scudetto? Chi non avrà paura di farlo. A meno che non sia la stessa paura, citando il “De Rerum Natura” di Lucrezio, a creare gli dei. Di elementi a supporto della tesi ne abbiamo avuti a sufficienza.