C'era una volta un campionato combattuto.
Campione d’inverno è un’espressione fastidiosa e semplicistica, forse quest’anno associata all’Inter di Simone Inzaghi un po’ meno. Ci eravamo lasciati parlando di un’Atalanta pronta a lottare per il vertice e lo crediamo ancora – ma Gasp vincerà quando alla gioia del gioco totale saprà aggiungere un pizzico di buon senso in fase di non possesso. Avevamo elogiato il lavoro di Spalletti, che ha già dato al suo Napoli un’impronta indelebile (Zielinski: «essere capitano di questa squadra mi rende orgoglioso. Per lo scudetto ci siamo e lotteremo fino alla fine») al di là degli interpreti – ma alcune assenze pesano più di altre e i numeri delle ultime settimane parlano chiaro. Infine, avevamo elogiato il Milan probabilmente sopravvalutandolo. Pioli, un po’ come Gasperini, non accetta compromessi, ma l’orizzonte dei rossoneri assomiglia al momento più al mare cartonato del Truman Show che ad un oceano vero e proprio.
E poi c’è l’Inter di Inzaghino. Inutile tornare sul gioco dei nerazzurri, che – come ha giustamente fatto notare Paolo Di Canio ieri sera al Club – è caratterizzato proprio da quell’equilibrio che sembra mancare alle altre per la lotta al vertice: l’Inter ha segnato gli stessi gol (48) in casa (24) e in trasferta (24), subendone appena 6 a San Siro e 9 lontano da Milano. Soprattutto, laddove le altre ricercano ossessivamente i tre punti, l’Inter preferisce non perdere (4 pareggi e 1 sconfitta). Il contrario di quanto facciano sia l’Atalanta di Gasperini (lo ha ammesso lui stesso ieri sera al Club) che il Milan di Pioli (che di partite ne ha perse tre).
L’Inter non solo gioca bene, dunque, ma conosce il proprio corpo. Sa quando deve accelerare e quando deve rifiatare stancando la pressione avversaria, sempre sapientemente elusa grazie ad un palleggio che già caratterizzava l’Inter di Conte. Con una differenza: che Inzaghi ha trasmesso ai suoi un concetto sconosciuto all’Inter scudettata, il divertimento. Quando Lautaro entra sullo 0-3, vuole segnare a tutti i costi e infatti segna. Quando Perisic segna, non esulta di rabbia ma sorride.
Per carità, l’avversario fa la sua parte, ma l’allenatore anche. Non torniamo nuovamente su Inzaghi, che abbiamo elogiato tanto come allenatore della Lazio che come allenatore dell’Inter, ma dovremo riparlarne a fine campionato. L’Inter, già forte come rosa e mentalità grazie al lavoro coordinato di Marotta e Conte negli ultimi due anni, con Inzaghi ha aggiunto il divertimento. E quindi il bel gioco. Perché, citando l’unico allenatore in grado di battere l’Inter quest’anno, «se l’allenatore si diverte i giocatori si divertono. Se i giocatori si divertono anche i tifosi si divertono, e in campo si vede» (Maurizio Sarri). Si divertono un po’ meno le altre, ma occhio al calendario asimmetrico: tra gennaio e febbraio l’Inter affronterà quasi esclusivamente squadre di vertice.
Infine un commento su quelle “appena” dietro. Con la solita impareggiabile ironia, Mourinho nel post-partita ha detto che «la Roma non vince con una big da 25 minuti». Scherzi a parte, la vittoria della Roma sul campo dell’Atalanta potrebbe aver riaperto i giochi per la corsa alla Champions, dove ora l’ultimo posto occupato dall’Atalanta con 37 punti dista appena sei punti per Roma, Juventus e Fiorentina. Usiamo il condizionale perché una partita non fa primavera, ma è anche vero che siamo ancora in inverno.
A proposito di sorprese, la partita tra Fiorentina e Sassuolo è stata un manifesto per il nostro calcio. Vi risparmiamo retoriche confabulazioni sul cambiamento climatico del calcio italiano, perché quando andiamo in Europa le pizze continuiamo a prenderle. Se c’è però una cosa che Italiano, Dionisi ma anche Andreazzoli, Tudor, Zanetti e Juric hanno compreso è che il divario con le grandi puoi ridurlo solo così: provando a vincere. Il nostro campionato ha perso dei campioni ma sta trovando una sua identità grazie ad allenatori giovani, preparati e coraggiosi. In attesa che tornino soldi e quindi campioni, forse dovremmo puntare sul potenziale che abbiamo in casa: «il talento va aspettato», ha detto ieri sera Beppe Bergomi con leggero disappunto. Gasp l’ha guardato storto: quando prese l’Atalanta c’erano quasi solo italiani. Oggi allena quasi solo stranieri. Un po’ come l’Inter di Inzaghi.