Nulla di nuovo alla Scala del calcio.
Tra lo scorso turno, partita casalinga con l’Empoli per la Juventus, trasferta tra le ostiche mura fiorentine per l’Inter, e questo – scontro diretto – avremmo capito molto della Serie A 2023/2024. Fino a dieci giorni fa, complice la partita da recuperare per i nerazzurri causa Supercoppa saudita, la Vecchia signora comandava infatti la classifica con un punto di vantaggio e addirittura sperava, vincendo con l’Empoli e approfittando di un passo falso toscano dei rivali, di arrivare a +3 al Derby d’Italia. Risultato? L’Inter già prima della partita si trovava a +1 (con asterisco), e quello è stato il problema principale. Perché ieri sera si può rimproverare poco, ma veramente pochissimo, alla Juventus.
Semplicemente, come ha evidenziato il campo, c’erano due squadre con una caratura e una consapevolezza differente. L’Inter, lo andiamo ripetendo da anni, fin dai tempi di Conte, è l’unica grande squadra italiana. E questa stagione lo sta dimostrando più che mai, grazie alla crescita di alcuni singoli, al lavoro di Inzaghi e all’ennesimo chirurgico mercato della coppia Marotta-Ausilio (la bilancia nerazzurra cessioni-acquisti nel mercato trasferimenti 2023/2024 segna peraltro un notevole +58,2 milioni – 130 milioni derivati dalle cessioni, 71.75 spesi per gli acquisti).
L’Inter è una squadra ormai estremamente consapevole dei propri mezzi, in ogni zona del campo e in ogni fase della partita: lo si nota dalla qualità (quantomai tranquilla) con cui esce dal basso anche se pressata, da quella espressa nelle trame di gioco, da quella evidenziata dai suoi calciatori che in molti casi hanno fatto un salto di qualità tecnico, tattico e caratteriale decisivo: Calhanoglu, Lautaro Martinez, Dimarco, Acerbi, Bastoni, Barella, Mkhitaryan. Parliamo di giocatori di altissimo livello, diventati leader nel campo e ancor prima nella testa. Il tutto con l’aiuto di innesti fondamentali, Thuram in primis ma lo stesso Pavard, che ieri ha disputato una partita strepitosa, quasi con nochalance, con la calma virtù dei forti.
Poi c’è il merito e la guida di Simone Inzaghi che quei calciatori, requisito più importante per un mister, li ha messi nelle migliori condizioni per esprimersi: se oggi parliamo di Calhanoglu come uno dei migliori se non il migliore interprete in Europa del suo ruolo, gran parte del merito va anche a chi gli ha disegnato quella collocazione tattica e affidato quei compiti, capendo che le qualità del turco (come fece Mazzone ai tempi con Pirlo) avrebbero potuto e dovuto esprimersi venti metri più indietro, nel fulcro del campo, nella gestione di tanti palloni. Ma al di là dei cambi di ruolo e compiti, è tutta l’Inter a girare. Al tempo stesso solida, efficace ma anche estremanente qualitativa nelle trame di gioco.
Dall’altra parte una Juventus che, fino all’inciampo di settimana scorsa, aveva fatto i salti mortali, i miracoli sportivi per tenere in vita un campionato – nelle rose – già scritto.
Allegri quest’anno ha fatto un lavoro eccellente, riuscendo finalmente a quadrare una rosa difficile da maneggiare e, soprattutto, riuscendo a plasmare l’anima di questa Juventus: ai suoi il tecnico ha trasferito concentrazione, cattiveria, sicurezza dei propri (limitati, a confronto di altre) mezzi. Per larghissimi tratti di questa stagione la Juventus è tornata, dal punto di vista mentale, la vera Juventus; quella che sapevi che prima o poi, in un mondo o nell’altro, avrebbe vinto la partita. Poi non si confrontino le squadre, questa e quelle allenate in passato dallo stesso Max, soprattutto non si confrontino per decoro le mediane; eppure la mentalità, il cinismo, la solidità si sono riavvicinate a quelle di un tempo – motivo e obiettivo per cui lo stesso Allegri era stato richiamato.
Questa Juventus è cresciuta prima nei singoli e nella tenuta mentale, poi nell’organizzazione collettiva e nel gioco. Ieri sera, da parte sua, ha disputato una buona partita nello stadio di una tra le 3-4-5 squadre più forti al mondo, restando sempre in partita e rendendosi anche estremamente pericolosa in almeno un paio di occasioni, nelle quali tra il gol e il non gol è passato uno stop (quello di Vlahovic), qualche centimetro dal palo (il tiro di Gatti), un tocco provvidenziale in aria della difesa nerazzurra (sul tiro-cross rasoiato di Kostic in mezzo a mille gambe). Poi certo l’Inter ha strameritato di vincere, e avrebbe vinto con un punteggio più rotondo se non fosse stato per Szczesny, ma che la Beneamata porti a casa una partita del genere, a San Siro, con le attuali Inter e Juventus, deve essere la normalità.
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Anche perché a proposito di mediane, di cui si parlava prima, è da qui che è passato il risultato ed è qui che si riassume plasticamente la differenza di peso specifico tra le due rose. “L’Inter l’ha vinta in mezzo al campo”, dice oggi Capello (ma non solo lui) intervistato dalla Gazzetta dello Sport. E pure qui, ci mancherebbe altro. Basta confrontare i reparti, nel complesso e anche individualmente, con quel superficiale – ma efficace – gioco di figurine a cui siamo abituati. Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan vs Locatelli, McKennie e Rabiot.
Ovvero una mezz’ala, Barella, di qualità e quantità, colonna della Nazionale e tra i miglior centrocampisti ‘box to box’ (diremmo con una formula semplificativa) che ci siano; un regista, Calhanoglu, che al monento ha pochi o nessun eguale nel suo ruolo; un’altro interno, Mkhitaryan, che è un calciatore di un’intelligenza calcistica, di una visione e di una tecnica superiori. Parliamo di un reparto che si permette, e senza neanche troppi patemi, di tenere Frattesi stabilmente in panchina – uno che sarebbe titolare inamovibile in tutte le altre squadre di A. Senza contare le fasce, Dimarco e Darmian sostituiti da Carlos Augusto, co-titolare del Brasile, e Dumfries.
Ma è in generale lo squilibrio degli undici e delle rose ad essere drammaticante, per i bianconeri, evidente. Questo è frutto e merito del lavoro, di chi da una parte ha prelevato e valorizzato determinati giocatori (molti addirittura a zero, da Calhanoglu a Mkhitaryan passando per Thuram) e dall’altra ha dilapidato patrimoni per calciatori che invece, al contrario, hanno reso al di sotto delle aspettative e, probabilmente, non erano neanche funzionali al modulo e allo stile di gioco bianconeri. Da un lato l’Inter, costruita in modo tanto armonioso quanto efficace, dall’altro la Juve, tanto disordinata quanto (fino a quest’anno) sterile.
Comunque oggi il refrain è ovunque lo stesso, l’unico che ripetono sempre dopo queste partite i giornali: ieri l’Inter ha messo le mani sul campionato.
Ha prenotato lo Scudetto, come scrive oggi in prima pagina il Corriere dello Sport: 4 punti di vantaggio, scontri diretti a favore e una partita da recuperare; virtualmente 7 punti di vantaggio che la Juventus dovrebbe recuperare. Poi sappiamo tutto, l’indole pazza e masochista dell’Inter, il non mollare mai della Juventus, i momenti caldi della stagione, la presenza della coppa europea da una parte e l’assenza dall’altra. E però quest’anno la sicurezza dell’Inter è soverchiante, la fragilità della Juventus, fisiologicamente, sempre dietro l’angolo: è come se per questo duello la prima stesse andando comodamente in quinta con una Ferrari, la seconda in sesta tirando una Panda ben al di sopra dei giri del suo motore. La velocità è stata la stessa, le macchine assai differenti.
Questo forse manca, a parere di chi scrive, in tante analisi fin troppo tattiche o sensazionalistiche, che hanno dovuto creare e alimentare uno scontro al vertice riempiendolo di contenuti e confronti che probabilmente non aveva; come e ancor di più di quando la disputa ci fu tra Inter e Milan, laddove alla fine a trionfare fu il Milan ma in un campionato, possiamo ribadirlo (e riprenderci le solite critiche del caso), buttato via dalla squadra di Inzaghi. Oggi l’Inter è ancora più forte di allora, e la distanza nettissima archiviati i due scontri diretti. Poi tutto può succedere, ma la certezza rimane una: l’Inter è molto più forte della Juventus e delle altre. E sarà lei, esclusivamente lei, a decidere se e quando vincere questa Serie A 2023/2024.