Calcio
13 Dicembre 2023

L'inter ha peccato di hybris

Un secondo posto che Inzaghi ha sulla coscienza.

Si tende spesso a sottostimare, nella vita, il ruolo della fortuna (inteso in senso latino, ovvero come sorte in generale, sia buona che cattiva); con esso quello delle situazioni, dei contesti, nella volgare illusione che tutto dipenda da noi, dalla nostra forza e dalle nostre possibilità. Eppure la vita non funziona così. Il secondo posto dell’Inter nel girone di Champions, per arrivare al nostro punto, è di un’estrema gravità. Perché qui possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo.

Possiamo dire che l’Inter è al momento tra le migliori quattro squadre d’Europa (dopo il Manchester City, il Real Madrid, il Bayern Monaco); possiamo sottolineare quanto bene sia stata costruita, quanto il gruppo sia unito e i singoli siano cresciuti; quanto il lavoro di Inzaghi abbia dato i suoi frutti e quello di Marotta e Ausilio sia stato impeccabile; ancora quanto la squadra sia prima in Serie A – con 12 vittorie in 15 partite, 37 gol fatti e 7 subiti, +30 differenza reti, seconda è la Juve a +14 – e l’anno scorso sia arrivata in finale di Champions League.

E tuttavia, quella finale forse non l’avrebbe raggiunta se non fosse stato per dei sorteggi – possiamo dirlo – assai benevoli nelle fasi ad eliminazione diretta: Porto agli ottavi (un’ottima squadra ma di certo alla portata dell’Inter), Benfica ai quarti (in caduta libera o quasi, che dopo una prima grandissima parte di stagione aveva finito la benzina), Milan in semifinale (una rosa non certo da prime 4 d’Europa, ma neanche da prime 10), fino all’atto conclusivo contro la migliore squadra del mondo.

Poi sia chiaro, l’Inter è stata fantastica nel vincerle, quelle partite. Mica una cosa scontata.

Ma se avesse pescato prima lo stesso City, il Real, il Bayern o le varie Liverpool, PSG nella fase ad eliminazioni, probabilmente staremmo parlando di un esito diverso. Questo per dire cosa? Che certo nella vita e nello sport conta tanto la fortuna ma anche che, quando si può, la fortuna va aiutata. L’anno scorso l’Inter fece un ottimo girone, qualificandosi seconda a 10 punti dietro alla schiacciasassi Bayern Monaco a punteggio pieno (18 punti) e prima del Barcellona. Da lì l’urna favorevole che decretò Porto, forse la più abbordabile tra le prime classificate (insieme al Tottenham), e il cammino di cui sopra.



Quest’anno invece l’Inter poteva e doveva arrivare prima nel girone, approfittando di un Benfica in prima fascia non certo irresistibile (e che fino a ieri sera aveva accumulato un punto in cinque gare oltre a 10 gol subiti) e di un’ultima partita, decisiva, in casa con la Real Sociedad. Arriviamo così a ieri sera, laddove ai nerazzurri serviva una vittoria per evitare agli ottavi i mostri sacri di cui prima, dal City al Real, dal Bayern all’Arsenal, dal Barcellona a (forse) l’Atletico, per concludere con una tra PSG o Borussia Dortmund. Abbordabile forse solo quest’ultima, un Barcellona non irresistibile e un Atletico che può sempre perdere o vincere con tutti, sempre che non naufraghi con la Lazio.

L’Inter allora è arrivata alla partita decisiva, davanti al proprio pubblico, e questa volta non si è suicidata per il suo carattere pazzo e masochista, in quello che sarebbe stato l’ennesimo e in fondo neanche così sorprendente capitolo della storia da montagne russe nerazzurra. Questa volta la sconfitta, anzi il pareggio, è molto più grave perché l’Inter ha peccato di hybris, la tracotanza degli antichi greci, a partire dal suo allenatore che ha tenuto in panchina Lautaro Martinez, Barella, Bastoni, in un turnover francamente difficile da comprendere per una partita del genere.

Partita troppo importante che l’Inter, forse, non ha neppure approcciato nel modo giusto.

Neutralizzata dal possesso palla (sterile) della Real Sociedad – che comunque non ha portato ad occasioni grazie alla concentrazione e tenuta difensiva nerazzurra – e apparsa anche un po’ stanca, priva della necessaria rabbia agonistica. Una partita che Inzaghi pensava di poter gestire meglio, controllare, lasciando la palla agli avversari e non prendendo gol (come è stato), ma affondando poi offensivamente nei momenti giusti, un po’ come fece la Roma mourinhana l’anno scorso proprio contro i baschi (2-0). Partita quindi preparata così, e che all’occorrenza sarebbe potuta essere sbloccata anche con gli innesti dalla panchina, all’ora di gioco.


Eppure, andando avanti il match, l’Inter è stata avviluppata nella rete del tiqui-taka alla basca (62% di possesso palla), finendo per perdere energie come la celebre rana bollita di Chomsky. Paradossalmente il secondo tempo è andato anche peggio del primo, e i nerazzurri sembravano non avere proprio le forze per ribaltare il fronte e schiacciare gli avversari. Va certo dato merito a una squadra, la Real Sociedad, che è venuta a San Siro in fiducia, con certezze e personalità, ma stiamo pur sempre parlando di una squadra 6a in Liga, con dei limiti e decisamente inferiore alla nostra.

Non ci giriamo intorno allora: ieri sera l’Inter doveva vincere.

Doveva vincere e, per farlo, doveva approcciare meglio la partita: aggredirla con i titolarissimi, in quello che sarebbe stato anche un segnale di importanza e urgenza. Certo parlare a posteriori è sempre facile, ma sono stati i 90 minuti di ieri (e non solo il risultato) a dare torto ad Inzaghi, a evidenziare un errore di valutazione che potrebbe anche rivelarsi fatale per il cammino europeo – fatto come detto anche di incroci, di fortuna, leggasi di sorteggi. Un Inzaghi che quest’anno sta facendo un grande lavoro ma che si è fidato troppo dei suoi, della maturità e della forza della sua squadra, e cha finito per complicarsi terribilmente le cose perdendo il controllo della partita.

Insomma, senza voler cedere al disfattismo, oggi però la sensazione è che non ci si renda conto fino in fondo quanto sia stato grave per una squadra come l’Inter – finalista di Champions, che deve competere nell’Europa dei grandi – il secondo posto in questo girone. Tra chi pensa in fondo in fondo al campionato, al duello con l’odiata Juventus e allo Scudetto della ‘seconda stella’, e chi si consola di starci ancora dentro, alla Champions. Il tempo e soprattutto il campo (che è comunque il giudice ultimo, mica l’urna) ci daranno le nostre risposte. Basta che non abbiano ragione gli antichi, con il loro fortuna iuvat audaces: perché, in quel caso, l’Inter di Inzaghi rischia a febbraio di dover volare a Madrid, Monaco o Manchester.

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