Partite come Inter-Spezia di ieri sera impongono una riflessione. Anzi un’azione, che di riflessioni ne sono state fatte fin troppe. Con tutto il rispetto per i tifosi spezzini e per la squadra di mister Gotti, al quale auguriamo davvero le migliori fortune, ma un match di questo livello nel nostro campionato non dovrebbe più essere accettato. I liguri infatti non solo non hanno mai tirato in porta, ma non hanno nemmeno mai pensato di avvicinarsi all’area avversaria: la partita è stata una resa totale, un’esibizione per dei padroni di casa che avrebbero potuto tranquillamente dilagare con un punteggio tennistico. Per fortuna se ne è accorto anche il Corriere dello Sport, che con un editoriale dal titolo emblematico “Le piace vincere facile” ha abbandonato il solito sensazionalismo della stampa sportiva mainstream – e l’accondiscendenza apologetica verso le grandi – per descrivere la partita per ciò che realmente è stata:
«Intorno al 40′ del primo tempo, sull’1-0, Bergomi si è messo a descrivere in totale leggerezza i particolari di una battuta al volo di Dumfries. Altro non avrebbe potuto dire o fare: non s’era portato dietro un libro (…) Nonostante la buona volontà dello Spezia, è totalmente mancata l’opposizione: troppo evidente la distanza tra le due, una differenza quasi brutale». Così il direttore Zazzaroni, a cui bisogna riconoscere l’onestà e la volontà di non ammorbarci con la “Lu-la” (che due maroni) per un’esibizione estiva, più un’amichevole da metà agosto che una partita di campionato.
Perciò dicevamo, partite come queste non possono che farci tornare al punto di apertura: l’azione, e quindi la riforma della Serie A.
Sperata, invocata, promessa ma mai davvero perseguita. Una riforma che, soprattutto dopo la seconda eliminazione mondiale consecutiva, sembrava possibile se non doverosa, e di cui invece già non si parla più. Naufragata nelle pastoie burocratiche e nei conflitti d’interesse del nostro calcio, vittima di presidenti aggrappati al potere che (comprensibilmente) fanno i loro interessi ma soprattutto di un sistema-calcio che (incomprensibilmente) vive contro l’evidenza: strutturalmente incapace di agire il bene comune, schiavo degli interessi particolari. Ci vorrebbe poco, per rendere il campionato più competitivo e anche cogliere al balzo la palla delle troppe partite: 18 squadre minimo e non più 20, 34 partite anziché 38; quattro in meno che sembrano poche, ma sarebbero più del 10% del totale.
Insomma, è ora di agire: si gioca troppo e si gioca male, fino a peggiorare lo “spettacolo” stesso come ha dichiarato Carlo Ancelotti; soprattutto in Italia, stiamo accettando che il nostro campionato diventi anno dopo anno meno competitivo, costretto a mascherare dietro “lotte scudetto” o “lotte per l’Europa” un livello sempre più basso per non dire scadente. Certo la riforma della Serie A non è la panacea a tutti i mali, per carità, ma partire da qui, ridurre il numero delle squadre, ridistribuire gli introiti dei diritti tv (940 mln di cui il 50% va diviso equamente tra le partecipanti alla Serie A) e magari evitarci qualche partita come Inter-Spezia sarebbe già un passo avanti, e soprattutto un segnale incoraggiante. Poi già lo sappiamo che ora arriverà qualcuno a dirci che tanto lo Spezia non sarebbe retrocesso l’anno scorso, che questo discorso non lo riguarda etc. etc.. Il punto chiaramente non è lo Spezia ma se si vuole far finta di non vedere il problema, e di non capire il discorso, questo è senz’altro il metodo migliore.
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