Intervista ad Antonio Stelitano, tornato a Messina dopo aver giocato (quasi) ovunque.
«Non andare dove il sentiero ti può portare, vai invece dove il sentiero non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia». Questo aforisma dello scrittore, saggista e poeta americano Ralph Emerson calza perfettamente con la storia di Antonio Stelitano, terzino messinese classe ’87 che ha girato il mondo all’inseguimento di un pallone. La sua storia fatta di crocevia sportivi e culturali lo ha portato a vivere esperienze umane, ancora prima che calcistiche, fuori dal comune.
ARGENTINA
A 21 anni Stelitano lascia casa e la Serie C italiana, giocata a Barcellona P.G., per raggiungere l’Argentina, la provincia di Santa Fè, direzione Rosario, capitale del fùtbol mondiale: «Avevo cominciato bene in Serie C con l’Igea Virtus, già vantavo 20 presenze e un contratto della durata di 3 anni. Purtroppo la squadra, l’anno successivo, non si iscrisse al campionato e rimasi svincolato a pochi giorni dall’inizio dei campionati.
Uno scherzo del destino a pensarci oggi. In seguito alla notiziaccia mi ricordai, durante il primo anno in C, di aver conosciuto un procuratore che aveva portato diversi ragazzi argentini in prova proprio all’Igea e fu lui a propormi la Serie C argentina al Real Arroyo Seco. Il procuratore, di primo acchito, non ricordava neanche il mio nome, non ricordava nemmeno come avessi avuto il suo numero di telefono, ma per giocare nel professionismo, e inseguire il mio sogno, ero disposto a tutto.
Nel giro di 48 ore mi ritrovai dall’altra parte del mondo, in mano avevo solo un vocabolarietto per imparare lo spagnolo, può sembrare assurdo ma per me non lo era affatto».
per entrare nell’universo rosarino, indispensabile è confrontarsi con quella canaglia di Fontanarrosa
Certo è che, nonostante le grandi motivazioni, la passione argentina può facilmente trasformarsi in pressione e per un ragazzo giovane può essere un’arma a doppio taglio: «Il mio obiettivo chiaramente non era guadagnare ma vivere un’esperienza da professionista. Una volta ottenuto il transfer e giocato la prima partita, sentii il primo coro indirizzato a me dalle tribune. Wow. La pressione in Argentina è alle stelle in qualunque categoria.
Arrivai a Rosario la settimana prima di un derby Rosarino da giocare, e già il giovedì in strada c’erano fumogeni e tamburi. Pensavo si giocasse qualcosa ed invece mi spiegarono che i tifosi stavano caricando l’ambiente. Per strada mi dicevano ‘Tano – modo affettuoso di etichettare gli italiani -, sabato c’è la partita, dobbiamo vincere’. Il calcio è vissuto h24 anche quando vai a fare la spesa, devi essere bravo a trasformare la pressione in positività altrimenti vieni schiacciato».
REPUBBLICA DOMINICANA
Dall’Argentina per Stelitano inizia un tour mondiale da rockstar d’altri tempi. Chiusa l’esperienza a Rosario vola per una stagione in Romania per poi essere acquistato dal Parma che lo gira in prestito al Moca, squadra che milita nella Serie A dominicana. Altro giro altra corsa intorno al mondo:
«Al Moca è stato un anno particolarmente fortunato, abbiamo vinto lo scudetto 2014 e sono stato eletto miglior straniero dell’anno. I primi tempi però non sono stati tutti rosa e fiori. Moca non è un posto da cartolina, di quelli che cerchi su Google e trovi spiagge fantastiche, Moca è situata nell’entroterra, un luogo per certi versi difficile, dove non sono abituati a vedere calciatori stranieri. All’inizio mi guardavo intorno, c’è tanta criminalità, però poi ho capito che bastava poco per entrare nell’animo di persone buone, di un popolo molto religioso e dal sorriso stampato sulle labbra.
Per strada non prendevo più il taxi per muovermi, erano i tifosi stessi a darmi i passaggi per girare in città, o andare semplicemente a fare compere».
Anche l’adattamento fisico, oltre che umano, è stato difficile ma pieno di soddisfazioni: «Quando sono arrivato dal Parma al Moca, l’allenatore del tempo si sorprese che non fossi di colore, mi disse: ‘Avevamo chiesto al Parma un difensore strutturato per giocare qui, ci aspettavamo un aspetto fisico differente’. Questo per spiegare che il campionato dominicano è un campionato difficilissimo dal punto di vista fisico, molti europei hanno trovato molta difficoltà a causa del caldo e dell’erba molto alta con cui giocano spesso i sudamericani. Sono tornato a giocare in Rep Dominicana la scorsa stagione, a Jarabacoa sempre in Serie A, proprio per la capacità che ho di adattarmi ad un calcio che già sapevo essere molto fisico, un calcio in cui vedi solo giocatori sudamericani ben strutturati. Nel tempo, fieramente, mi sono conquistato l’appellativo di Nero Bianco, grazie alle mie capacità di giocarmela ad armi pari con tutti».
DAL NORD-AFRICA ALLA MONGOLIA
Chiusa la prima esperienza caraibica, l’ambasciatore del calcio italiano nel mondo ritorna in Romania giocando diverse stagioni da capitano nel CS Balotesti prima di approdare a Melilla. La città di Melilla è più volte tornata alla ribalta per le tristi cronache di migranti disperati in cerca di una vita migliore. La cittadina è una enclave spagnola nel Nord-Africa, al confine con il Marocco, un piccolo fazzoletto di terra misurante 12 km, circondato dal mare e da un muro in filo spinato alto 7 metri. Qui il calcio ha sfondato i muri dell’integrazione anche per Antonio a cui non è mai pesato essere lo straniero in ogni squadra:
«A Melilla è stato un periodo molto bello sia dal punto di vista sportivo, dove giocavamo il girone di Serie C andaluso, sia soprattutto dal punto di vista umano. A Melilla, ad esempio, ho imparato a fare la doccia vestito per rispettare le usanze musulmane degli altri compagni di squadra, anzi mi facevo portavoce delle usanze del luogo con i nuovi arrivati per facilitarne l’integrazione. Devi vivere le esperienze internazionali cercando di arricchire il tuo bagaglio culturale perché ti aiuta anche in campo. Io non ho mai imposto la mia visione delle cose, anche in campo non sono mai stato il classico italiano tattico che impone il suo modo di vedere le cose. Sono dettagli, magari piccoli, però tutto questo ti aiuta ad entrare in punta di piedi nel cuore delle persone».
Il pallone di Stelitano rotolando è arrivato a toccare anche Lituania e Mongolia, luogo calcisticamente e culturalmente lontanissimo dalle dinamiche europee: «Questa opportunità la devo a Mister Ragini che allenava, proprio in Mongolia, all’Anduud City l’anno precedente al mio arrivo. Grazie a lui sono rimasto in contatto con il DS dell’Anduud e ho intrapreso questo ennesimo viaggio. Il nuovo mister mi scelse per la mia capacità di adattarmi al freddo viste le esperienze precedenti in Romania e Lituania. Nonostante questo mai mi sarei immaginato i -32 gradi patiti in Mongolia che sono costati tempo e fatica. Per adattarmi andavo a passeggiare con delle maschere di allenamento in altura, una cosa strana ed impensabile da noi».
L’Asia è capitale universale dei contrasti paesaggistici, urbanistici e sociali e la Mongolia non fa eccezione dentro e fuori dal campo: «Della Mongolia mi porto dentro i grandi contrasti asiatici. Ulaanbaatar è una piccola Tokyo, modernissima, ma appena esci fuori dalla capitale vedi la vera Mongolia le distese immense della periferia e la gente a cavallo.
Quello che mi ha colpito di più è la gentilezza dei ragazzi, la propensione all’ascolto nonostante le difficoltà comunicative. Il calcio arriva dappertutto, i ragazzi asiatici in generale hanno grandi qualità fisiche, grande concentrazione ma poco tatticismo. La Mongolia è un paese di guerrieri e lo noti dalla determinazione a svolgere il proprio ruolo in campo e sicuramente il confronto con altre Nazionali li aiuterà tantissimo. Seguo sempre i miei ex compagni anche in Nazionale perché in queste Nazioni trovi sempre i tuoi compagni che giocano per il proprio Stato.
Confesso che non ho rimpianti per ciò che ho vissuto, ho sempre scelto di giocare in Serie A, magari in paesi lontani, piuttosto che una C o una B europea anche per capire il peso e l’importanza di una massima serie, in cui poi vedi crescere anche i movimenti nazionali».
RITORNO IN PATRIA
Dopo le importanti esperienze vissute anche a Malta tra Silema Wanders e Tre Fiori e il ritorno in Rep Dominicana nella compagine dello Jarabacoa, il 2021 è il ritorno di Ulisse ad Itaca, Stelitano rientra infatti all’FC Messina, in una squadra ambiziosa che punta alla promozione in Serie C: «Ho sentito grande entusiasmo da parte della tifoseria e grande vicinanza da squadra e società. Mi sono convinto a tornare principalmente per questo. Confermo e sottoscrivo quello che ha detto recentemente Mourinho del calcio italiano e cioè che finalmente si gioca di più a pallone con gioia e spirito di iniziativa. Citare Mancini e il trionfo azzurro sarebbe superfluo, ho notato molto più studio e cura negli allenamenti svolti tutti con il pallone. È sicuramente una rivoluzione positiva, e sono felice di poterne far parte».
Una storia atipica e affascinante quella di Antonio Stelitano, partito senza meta e tornato con la stessa voglia di girare il mondo: «Oggi parlo una moltitudine di lingue, ho visto luoghi fantastici e non smetterò di farlo. Il mio obiettivo, finita la carriera da atleta, è quella di diventare un procuratore calcistico. Ho la presunzione di pensare che posso essere utile a dei ragazzi che come me potrebbero avere la fortuna di cambiare il modo di vivere, il modo di pensare in contatto con altre culture». Come scrisse Roberto Bolano, il più grande scrittore latinoamericano della sua generazione, «ogni cento metri il mondo cambia», e non c’è nessuno meglio di Antonio Stelitano che possa raccontarlo.