Una nazionale in cui credere.
Fatima al-Maʿsūma, sorella dell’ottavo imam duodecimano sciita Ali al Reza, lo aveva profetizzato all’inizio dell’800 d.C.: dopo la morte del profeta Maometto, gli iraniani avrebbero raggiunto una posizione speciale tra i musulmani. E così è stato. Anche all’interno del rettangolo di gioco. La nazionale di calcio dell’Iran, il “Team Melli”, traducibile dal persiano semplicemente come squadra nazionale, rappresenta da anni una delle Selezioni più temibili del complesso e multiforme macrocosmo calcistico asiatico. Nonostante le enormi difficoltà interne e le condizioni di precarietà non indifferenti, l’Iran è riuscito a confermarsi con una certa continuità tra le migliori rose del panorama dell’Asian Football Confederations.
L’amatissimo Carlos Queiroz prima (tra il 2011 ed il 2019) e Dragan Skočić (attuale Commissario Tecnico della nazionale) poi, hanno avuto l’enorme merito di trarre linfa vitale da situazioni oggettivamente tragiche (e non solo a livello sportivo), riuscendo ad ottenere risultati straordinari. Le sanzioni internazionali, “inaugurate” nel novembre del 1979, nei mesi più intensi della Presidenza Carter, affliggono infatti, ormai da quasi mezzo secolo, la Repubblica Islamica dell’Iran, colpendo indistintamente diversi settori, produttivi e non, del paese. Inevitabilmente, tutto questo ha creato problematiche di ardua risoluzione, con strascichi negativi anche per la Persian Gulf Pro League (prima divisione).
La Federcalcio iraniana (F.F.I.R.I.) nel settembre scorso ha vietato a tempo indeterminato ai club di assumere giocatori ed allenatori stranieri in risposta alla crisi economica del paese. Oltre alle imprevedibili oscillazioni del Riyhal iraniano (valuta del paese), le sanzioni bancarie internazionali non permettevano infatti di trasferire stipendi sui conti di calciatori e tecnici provenienti dall’estero. Solo nelle ultime settimane, sotto esplicita richiesta della Federazione, è stato revocato l’ordinamento federale che ha permesso, ad esempio, all’italiano Gabriele Pin di entrare ufficialmente nello staff dell’Esteghlal.
In un macrocosmo di così difficile comprensione, è imprescindibile per il quieto vivere – concetto decisamente eufemistico dalle parti di Teheran – che, alla guida della Selezione nazionale, venga nominato un fine conoscitore della realtà medio orientale. Il rischio, quanto mai tangibile nei mesi della sciagurata gestione Marc Wilmots, attualmente in causa con la FFIRI, è quella di andare a scardinare un sottile equilibrio socioculturale con chiare ripercussioni sui risultati sportivi.
“Dragan Skočić è stato scelto principalmente per una ragione: conosce perfettamente la realtà iraniana. Ha allenato nella Persian Gulf Pro League, nella Azadegan League (seconda divisione), ha guidato per una stagione il Malavan Bandar Anzali F.C. – squadra indissolubilmente legata alla marina militare iraniana. Non è uno sprovveduto.”
Racconta così, in esclusiva per Contrasti, Saman Javadi: italiano iraniano, fondatore del primo spazio web dedicato al movimento calcistico iraniano, da anni impegnato nella cooperazione commerciale tra le due nazioni. “L’allenatore croato è conscio del divide et impera della stampa iraniana: ha coltivato per anni il rapporto con i media, cercando di proteggere, per quanto possibile, il nucleo di calciatori del Persepolis – club definito a più riprese la Juventus di Persia, senza mai criticare le evidenti mancanze della FFIRI” continua Saman.
Da un punto di vista puramente tattico, senza per forza stravolgere i sopracitati sottili equilibri di spogliatoio, il CT è riuscito a far ritrovare alla squadra la sua proverbiale solidità difensiva, affidandosi offensivamente alle giocate del trio d’attacco Azmoun/Taremi/Jahanbakhsh. Dall’insediamento di Skočić in panchina, il Team Melli ha collezionato 9 risultati utili consecutivi (tutte vittorie), realizzando 28 gol e subendone solo 2; senza snaturare l’identità di una Selezione, legata indissolubilmente alle tradizioni socioculturali dell’antica Persia. La temuta “occidentossificazione”, traduzione del termine persiano Gharbzadegi, citata già nel 1962 da Ali Shariati – considerato «l’ideologo della Rivoluzione islamica», è stata quanto mai limitata nel campo da gioco. Per capirci: difficilmente vedrete l’estremo difensore Alireza Safar Beiranvand giocare il pallone con i piedi, molto più probabilmente sarete costretti a sgranare gli occhi di fronte alla lunghissima gittata del suo rilancio con le mani.
Lo ha ampiamente dimostrato la prima rete realizzata nel derby del Medio Oriente contro i rivali di sempre dell’Iraq: la concretezza ed il pragmatismo, prima di tutto il resto. Nessun algoritmo, nessun dogmatismo: il calcio in fondo è un gioco semplice. Nel giugno del 2014, dopo il pareggio arrivato contro la Nigeria nel Mondiale brasiliano, Queiroz si era nuovamente autodesignato capo popolo dichiarando in esclusiva a Reuters: “Siamo arrivati alla World Cup senza poter disputare amichevoli, non abbiamo in rosa calciatori del Liverpool o del Chelsea, il nostro paese è colpito da pesanti sanzioni economiche, non abbiamo avuto la possibilità di prepararci al meglio per il torneo.”
Potrebbe andar peggio, potrebbe piovere. Dall’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Iran ed Arabia Saudita, risalente ormai al gennaio del 2016, è diventata evidente la contrapposizione tra nazioni della Lega Araba ed Iran. Il Golfo Persico è lo scenario in cui nasce e prevalentemente si consuma una rivalità che ha una dimensione sia geopolitica, per la supremazia nella regione, sia religiosa, vista la contrapposizione settaria tra sunniti e sciiti. L’Asian Football Confederation ha contribuito, negli ultimi anni, ad alimentare il sentimento d’ingiustizia ed assenza d’imparzialità criticato a più riprese dalla Federazione iraniana. Il calcio è entrato ufficialmente nel quadro strategico: “Saudi Vision 2030”, il piano di rilancio economico stilato dal principe Mohammed Bin Salman per rendere l’Arabia Saudita un paese moderno e rinvigorire la reputazione del Paese nel mondo.
Attualmente Riyad rappresenta un polmone finanziario cruciale per la crescita del macrocosmo calcistico asiatico: l’influenza della Saudi Arabian Football Federation nei piani alti dell’AFC è innegabile. Accettare i finanziamenti della monarchia saudita significa però dover coprire gli occhi davanti a violazioni dei diritti umani, crimini efferati e continui rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch. Negli ultimi mesi, ad esempio, un rapporto delle Nazioni Unite ha sottolineato come ci siano «prove schiaccianti» sul fatto che il principe ereditario sia il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. La delicata posizione di Bin Salman sull’omicidio è oramai divenuta un caso internazionale che ha portato anche alla realizzazione di una serie tv sulla vicenda.
L’Iran rimane un paese sostanzialmente isolato, fortemente legato alle proprie tradizioni ed alla propria identità; il Team Melli rappresenta le ambizioni di un popolo orgoglioso alla ricerca della propria rivincita in campo internazionale. Citando un vecchio tweet di Sebastiano Caputo: “Insomma, i gangster rimangono gangster, i persiani rimangono persiani.”