Compie 96 anni una leggenda di Trieste e d'Italia.
96 compiuti oggi e in buona salute. Quasi un premio che la vita fa a chi sa valorizzarla. Il 12 febbraio 1926 nasce a Trieste Irene Camber, futura stella della scherma italiana e mondiale. La vittoria nel fioretto alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952 non sarà soltanto motivo di gioia per il movimento sportivo e per il CONI. La medaglia d’oro avrà un forte senso di italianità, in un momento storico in cui la controversia territoriale con la Jugoslavia è più aperta che mai.
In quel momento il Territorio Libero di Trieste è diviso in zona A e zona B, la zona A è italiana (ma di fatto amministrata dagli angloamericani), la zona B è parte integrante della Jugoslavia. Una carriera e una vita, quelle di Irene Camber, completamente dedicate allo sport, ma anche alla famiglia e a un sentimento come il tricolore. In un Paese in cui quel sentimento non sempre è avvertito, nemmeno più in quella Trieste che un tempo gridava “Italia, Italia”.
170 CENTIMETRI DI TALENTO E AMBIZIONE
Irene è figlia di Giulio Camber Barni, poeta, avvocato e militare. L’impostazione familiare dice fin dalla più tenera età una parola semplice e chiara: disciplina. In altre parole, meno ferree e marziali, «Fa’ quello che senti nella vita, ma fallo bene e impegnati fino in fondo». E lei, in effetti, quello che fa lo fa molto bene. Da bambina le piace la scherma, ma non la pratica solo per hobby o per puro passatempo. Sarebbe banale. Oltre al fatto che le piace, vede anche che le riesce bene. Con naturalezza.
Per essere una donna italiana del tempo ha un fisico diverso dalla media. Innanzitutto è alta 1,70 centimetri, statura notevole per allora. Poi, come se l’altezza non bastasse, unisce eleganza, compattezza muscolare e movimentileggeri, ma anche efficaci e rapidi. Un bel vantaggio, rispetto alle altre. È anche una bella ragazza, con un sorriso accattivante e volitivo. Non sarà una qualità tipicamente agonistica, ma l’aspetto contribuirà nel tempo a far di lei un personaggio sportivo gradito a un pubblico ampio, anche quando la disciplina non sarà il calcio.
SPORTIVA DI REGIME
Vince la prima gara nel fioretto a 14 anni e già nel 1942, 16 anni appena compiuti, entra nella finale dei campionati italiani. La retorica del regime fascista la descrive come “italico talento naturale”. Se invece di assimilare in modo strumentale il concetto di talento a quello di italianità dicessero che la giovane Irene è un mostro di volontà e applicazione le farebbero un complimento migliore e di sicuro più disinteressato. Allora, retorica per retorica, più del talento dovrebbe valere la “romana volontà”, anche se si è nati a Trieste e invece del ponentino fischia la bora. Il successo arriva grazie al fioretto di squadra, attraverso il quale all’inizio la giovane promessa vince i campionati italiani nel 1941 e poi ancora l’anno successivo. Dopodiché la grandezza di Camber disegna una parabola individuale, che toccherà il vertice più alto a guerra finita.
UNA STAR MONDIALE
Il Secondo Conflitto mondiale rappresenta un momento di stop un po’ per tutti gli sportivi e la scherma non può fare eccezione. Dopo essersi dedicata agli studi, la ragazza si laurea in chimica industriale all’Università di Padova. Poi nel 1947 riprende in mano il fioretto. Nel 1948 Irene Camber ha 22 anni ed è pronta a lanciarsi in una dimensione internazionale. Quell’anno ci sono le Universiadi a Parigi e soprattutto i Giochi Olimpici di Londra. Nella capitale inglese la fiorettista triestina arriva in semifinale. Nell’ambiente serpeggia una certa delusione, forse si poteva andare a medaglia anche in campo femminile (gli uomini della scherma vincono un oro, quattro argenti e un bronzo) ma c’è la certezza di aver trovato una grande campionessa in prospettiva futura. Più forti di lei l’austriaca Preiss, la danese Lachmann soprattutto l’ungherese Ilona Elek. Ma solo per ora, tempo al tempo.
Quattro anni più tardi il momento della consacrazione arriva. Nel lasso di tempo che va da Londra 1948 a Helsinki 1952 Irene Camber non ha smesso di perfezionarsi e di crescere sul piano agonistico. Ai Mondiali di Copenhagen 1952 arriva terza nel fioretto a squadre. È la più giovane del gruppo ma anche la più talentuosa. Le fa quasi da madrina (ma non ce n’è bisogno) la più esperta Silvia Strukel, triestina come lei ma più grande di 10 anni. A Helsinki Camber se la gioca ancora una volta con le più forti, ma le gerarchie cambiano. Lasciamo che sia la diretta interessata a raccontare come andarono i fatti:
«Reduce dai campionati del mondo a squadre ero arrivata ad Helsinki delusa perché dovevamo vincere e per una sola stoccata l’Ungheria ci aveva battute. Ad Helsinki ci trovammo in pedana in una cinquantina e non posso affermare che Ilona Elek, quella che poi risultò la mia più accanita avversaria, fosse l’unica avversaria dotata di tecnica e di cuore».
Irene Camber
In effetti, non c’è l’eliminazione diretta e le contendenti sono tante. Le migliori quattro di ogni gruppo passano al turno successivo, dove nuovamente vengono divise in gruppi di sei e così via, fino a diventare sedici. Poi si creano due gruppi da otto e solo allora scatta il meccanismo dell’eliminazione diretta. Camber va avanti, all’inizio sono pochi quelli che danno peso all’impresa che si va profilando. Ma una volta in semifinale l’italiana non si può nasconderepiù. La vittoria contro la danese Lachmann apre le porte della finale.
LA NUOVA REGINA
Ad attenderla c’è Ilona Elek. Una finale molto bella, incerta fino all’ultimo, tiratissima. «Una lucidità di mente eccezionale mi guidò all’ultima stoccata. Quella fu davvero la mia giornata. Vidi il punto debole, scelsi il tempo giusto e colpii proprio nel bersaglio meno scoperto per una mancina. Ilona Elek si levò la maschera riconoscendo la sconfitta. Ilona, che aveva già trionfato a Berlino e a Londra, mi tese la mano. Per me fu il miglior complimento. Non mi sembrava vero, ero campionessa olimpica».
La regina deve abdicare, la nuova sovrana assoluta è Irene Camber. È la seconda donna italiana a vincere una medaglia individuale ai Giochi Olimpici, dopo Ondina Valla negli 80 metri a ostacoli, Berlino 1936. Per l’Italia, ma soprattutto per Trieste, è festa – «avevo vinto per Trieste, per l’Italia, non pensavo a me. Ero fatta così». Quando torna a casa c’è un tifo quasi calcistico ad attenderla. Per gli abitanti della città giuliana la medaglia d’oro e il corteo rappresentano un messaggio chiaro. Un modo per ricordare al governo di Roma e al mondo che la questione triestina è ancora tutt’altro che risolta. Non si può più temporeggiare: il Libero Territorio di Trieste non deve essere diviso in zona A e zona B, la città deve essere completamente italiana. Altrimenti succederà qualcosa, il governo è avvertito.
«Ricordo che arrivai a Trieste con la corriera da Venezia, volevano essere sicuri dell’orario preciso, le 16,45. Fui portata per Corso Italia su una macchina scoperta, ci seguivano le macchine e 300 lambrette. Fu la vittoria di una città. Era l’emozione del momento».
Irene Camber
Due anni più tardi la città torna all’Italia a titolo definitivo. Oggi in città c’è chi addirittura vagheggia il ritorno sotto l’Austria. Forse l’Italia è un male ma la sindrome di Stoccolma (per non dire di Vienna) è peggio. Dopo Helsinki, la Camber prosegue la carriera sportiva conquistando il titolo mondiale individuale a Bruxelles nel 1953 e quello a squadre a Parigi nel 1957. Verrà insignita del Collare d’Oro per meriti sportivi. Dal 2015 il suo nome occuperà una mattonella della Walk of Fame dello Sport Italiano fuori dallo Stadio Olimpico di Roma, e ancora oggi è fra le dieci atlete italiane in grado di vincere sia un oro olimpico che mondiale.
Nel frattempo sarebbero successe cose importanti nella vita privata. Si è infatti sposata con Gian Giacomo Corno, commercialista e figura molto in vista a Trieste, dal quale avrà tre figli («l’aspetto della mia esistenza del quale sonopiù fiera»). Il matrimonio coincide con le Olimpiadi di Melbourne 1956, motivo per cui la signora Camber-Corno non partecipa all’edizione australiana.
Quella che si presenta alle Olimpiadi di Roma 1960 è un’altra Irene Camber. La campionessa di Helsinki 1952 tenta l’ultimo acuto con la squadra di fioretto. Nel team le giovani promesse sono ormai altre: c’è Claudia Pasini, un’altra triestina doc, c’è Bruna Colombetti-Peroncini, c’è Antonella Ragno. E c’è l’amica di sempre Velleda Cesari, che è arrivata a tagliare il traguardo degli “anta” ma che dà un impareggiabile contributo d’esperienza alle compagne più giovani. Il risultato è un’onorevolissima medaglia di bronzo.
Il vento dell’Est soffia troppo forte per le nostre fiorettiste: oro all’URSS, argento all’Ungheria. Camber prosegue fino al 1964, poi a 38 anni si ritira. La scelta che fa è però quella di rimanere nel mondo della scherma, in un ideale acquario senz’acqua e senza pesci a farle da habitat. Diventa commissario tecnico della nazionale femminile di scherma, rimanendo al suo posto fino alle Olimpiadi di Monaco 1972. In un recente sondaggio fra i triestini sullo sportivo cittadino del XX secolo, Irene Camber è terza dietro Nino Benvenuti e Nereo Rocco. Cesare Maldini, tanto per dirne un altro, viene dopo.
Un ricordo affettuoso di quella che è stata la sua grandezza sportiva viene dalle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Non sono mai stato estraneo alla scherma. Ricordo le medaglie di Irene Camber a Helsinki 1952, quando lo sport si seguiva ancora alla radio».