Una competizione che ci dice poco e nulla.
Intanto dobbiamo ammetterlo, noi che siamo spesso critici verso la stampa nazionale: leggendo i giornali di oggi temevamo il solito entusiasmo ingenuo (e a tratti un po’ sguaiato) per la Nazionale, protagonista di una buona vittoria per 0-2 in Ungheria, alla Puskas Arena, e qualificatasi così alle Final Four di Nations League a giugno. Ingenuo nel senso che avrebbe fatto finta di non vedere l’elefante nella stanza, di tralasciare quel piccolo dettaglio per cui tra neanche due mesi, quando gli altri accenderanno i motori e scalderanno gli animi per il mondiale invernale, noi giocheremo in amichevole contro l’Austria e simpatizzeremo al massimo per l’Argentina.
Invece questa volta ha prevalso il realismo, e con esso l’innegabile rimpianto. È questa la parola che ha usato il Corriere dello Sport per il titolo di apertura, “CHE RIMPIANTO”, mentre la Gazzetta ha rilanciato con “ITALIA GIOIA AMARA”. Ma su questo tenore tutti i quotidiani, anche quelli non sportivi, che hanno abbandonato i toni e i titoli smaccatamente celebratori delle prime vittorie post mondiale (mancato) per ammettere la rabbia per LA competizione mancata, altro che – diciamocelo pure – quella competizione farsa della Nations League voluta dalla loggia UEFA. Così anche Paolo Condò, su Repubblica, ha parlato di
«crescente amarezza per il secondo Mondiale mancato di fila – man mano che si avvicina fa sempre più male – (che) diventa quasi rabbia davanti a questo risultato, perché ci conferma nella convinzione che il posto degli Azzurri fosse in Qatar».
Una qualificazione non centrata perché, come analizza il condirettore del Corriere dello Sport Alessandro Barbano nel suo editoriale, «trattata con sufficienza dal sistema calcistico e con qualche prudenza di troppo dal ct che, per gratitudine verso i combattenti di Wembley, ha rinunciato a quel pizzico di cinismo che gli avrebbe suggerito di scaricarli prima che loro scaricassero lui». Quindi l’invito a crederci di più, e la conclusione dedicata a coloro che «fin qui hanno snobbato la Nazionale, credendo di poter inseguire le proprie fortune senza il traino dell’azzurro» (del grande problema dell’attaccamento all’azzurro ne parlavamo, qualche giorno, fa anche con Giuseppe Pastore).
Eppure anche qui c’è un tranello in agguato, perché attaccamento non vuol dire nemmeno gioire per un torneo di consolazione come la Nations League (benché vada) solo per alimentare l’entusiasmo – che abbiamo visto essere un’arma a doppio taglio. Basta con le montagne russe emotive dell’indomani, cerchiamo di vedere le cose in prospettiva e con un briciolo di lucido realismo. Anche perché, oltre al rimpianto per aver vinto il girone di Nations League con il Mondiale alle porte, c’è un altro grande tema che è stato sottaciuto un po’ da tutti, e toccato dal solo Sconcerti sul Corriere della Sera: la Nations League non è assolutamente un test probante, un indice di misura attendibile. Questo, per onestà intellettuale, dobbiamo scriverlo.
“Chi va ai Mondiali ha guardato con grande sospetto queste strane partite di Nations League, destinate a essere cancellate dalla marea del prossimo evento”.
Anzi che Sconcerti ci è andato fin troppo leggero parlando di “partite strane”, ma che in realtà hanno più dei test-allenamento (in vista appunto del Mondiale, per i fortunati) che dei match di competizioni ufficiali. Certo, ciò non toglie che sia sempre meglio vincere, accumulare successi e fiducia, ma la fiducia rischia anche di confondere i reali valori in campo, soprattutto se costruita su risultati di una competizione inattendibile, tra esperimenti tattici, assenze in massa e atmosfera piuttosto rilassata, che domani varranno poco e nulla (a parte un ranking migliorato dopo lo sprofondo, che potrebbe facilitare i sorteggi per i prossimi europei, e il principio di un nuovo percorso con nuove scelte tecniche).
Anche e soprattutto per questo non riusciamo a gioire oggi: non solo per l’amarezza di un Mondiale sempre più vicino ma perché questa Nations League, comprensibilmente snobbata o ridimensionata dalle grandi, ci dice davvero poco. Perché oggi Raspadori è l’oro d’Italia e “assomiglia un po’ a Del Piero”, parole dello stesso Sconcerti, e ci dispiace dover fare la parte dei guastafeste ma no, con Giacomo non abbiamo risolto il problema attaccanti; così come ieri Gnonto (ne vogliamo parlare) non era il nuovo Messi(a) del calcio azzurro. Ma il punto è che, in fondo, giudizi del genere potrebbero pure andarci bene: se solo queste partite contassero qualcosa, s’intende.