In estate Juric era un condannato all'esonero e il Verona una candidata alla retrocessione: oggi si è tutto rovesciato.
Proprio vero che nel calcio le parole contano meno di uno ‘zero virgola’ alle elezioni. Teoremi di carta fatti per essere smontati e smentiti. Prendiamo il caso dell’allenatore del Verona, Ivan Juric. La scorsa estate quando fu scelto dal presidente Setti e dal Ds D’Amico quale nuovo allenatore della squadra, che era appena risalita in serie A attraverso le forche caudine di un drammatico spareggio al cardiopalmo con il Cittadella, in pratica nessuno lo voleva. L’eroe della promozione, Alfredo Aglietti, fu liquidato con un bel grazie e arrivederci, cosa che tra la tifoseria suscitò più di un malumore.
Accolto tra scetticismo, diffidenza e una buona dose di ostracismo da tastiera, Juric fu bollato dalla grande stampa nazionale come primo sicuro esonero della stagione e il suo Verona certificato agli atti quale candidato più accreditato alla retrocessione. Un dead man walking. Quando poi, al primo impegno ufficiale in agosto la squadra venne spedita fuori dalla Coppa Italia al Bentegodi dalla Cremonese, detrattori, cassandre e professionisti del pessimismo cosmico (Schopenauer al confronto era un dilettante) salirono letteralmente in cattedra, quanto più o meno i sondaggisti degli exit poll alle maratone elettorali.
“Pareva che il Verona, neopromosso, fosse arrivato in Serie A per caso e fosse tra le principali candidate alla retrocessione. Infatti disponeva di un organico raccogliticcio, il meno prezioso della categoria e per giunta il meno pagato del torneo. I requisiti per ripiombare immediatamente nella serie cosiddetta cadetta c’erano tutti. Personalmente pensavo che anche l’allenatore Juric, con quella sua faccia da funerale, fosse il più adatto a celebrare una cerimonia funebre. E invece oggi questa squadra veneta è sesta in classifica, ha compiuto un autentico miracolo a cui tutti assistono con ammirazione” (parole del direttorissimo Vittorio Feltri, stregato da Juric a cui ha dedicato un paio di apologie)
Solo che le storie di pallone girano quanto una partita al Monopoly al momento della pesca degli imprevisti, e il calcio il suo fascino lo alimenta nelle sue contraddizioni. E così è finita che su Ivan Juric non ci ha beccato proprio nessuno. Mese dopo mese, settimana dopo settimana, partita dopo partita, il Verona ha fatto ricredere tutti e si è ritagliato l’ambito ruolo di sorpresa del campionato, tanto da meritarsi l’appellativo di “Piccola Atalanta” (Gasperini è stato il maestro del tecnico croato, che in campo ne ricalca le dottrine); in una settimana, ha sfiorato la vittoria a San Siro contro il Milan, fermato la Lazio all’Olimpico, e fatto fuori la Juventus al Bentegodi.
Sarri e il suo supponente battaglione, fatti a brandelli come Custer dai Sioux a Little Big Horn, in una serata che sulle rive brumose dell’Adige, quelli che hanno avuto la fortuna di viverla, quando un giorno saranno nonni, la racconteranno ai nipotini.
A luglio nessuno lo voleva Ivan Juric; ora la tifoseria lo adora e ne chiede a gran voce la conferma, perché in lui si rivede e ha trovato il capo tribù che sognava: poche parole, sempre dirette e schiette, messaggi chiari e asciutti, pane al pane e vino al vino, come tra le mura tanto care a Shakespeare si usa fare al banco delle osterie tra un ‘goto’ e l’altro di Valpolicella. Allergia endemica ai panegirici barocchi del politichese spinto; se per esprimere un concetto puoi usare dieci parole, non tirarne fuori cento; esempi:
«Perché contro la Lazio abbiamo giocato senza punte? Se ne mettevo una, avremmo preso quattro gol».
In autunno Samuel Di Carmine non fu convocato per due partite di seguito; presto, spiegato: «Di Carmine ha bisogno di riflettere. Tornerà quando avrà le idee più chiare». Risultato: il buon Di Carmine riflette, torna, segna e quando è ora di accomodarsi in panchina lo accetta senza tante storie. Vale per lui, ma vale per tutti, anche per un bomber navigato come Giampaolo Pazzini, che Juric ha rigenerato e utilizza come faceva Cestmir Vycpalek con Altafini nella Juve della prima metà degli anni settanta.
In campo la ricetta del tecnico spalatino è fatta di aggressività e sacrificio che si traduce in un calcio muscolare e animoso che si esalta nella ferocia dei corpo a corpo dell’uno contro uno. E davanti a tutto ciò il popolo va in delirio. Attenzione però, che il Verona di Juric non è solo gamba e polmoni, ma è una squadra che pensa e ragiona calcio e diverte dando sfoggio di una rapida circolazione della palla, ricerca della profondità, continue sovrapposizioni e attacco delle corsie esterne.
All’inizio del campionato, lo davano già con la valigia in mano, ora pare lo cerchino tutti, tanto che il nome di Ivan Juric è in vetta alla lista della Hit Parade di Radiomercato, e il presiedente Setti a giugno avrà il suo bel daffare a trattenerlo anche per il prossimo anno. Il Verona che in estate non aveva scampo, è adesso lì a giocarsi un posto in quell’Europa che non frequenta dalla metà degli anni ottanta, quando Osvaldo Bagnoli firmò l’età dell’oro. E se vogliamo, le affinità con la genesi di quel gruppo che avrebbe poi fatto miracoli, ci sono tutte.
Oggi come allora, la rosa è infatti costituita in gran parte di gente data frettolosamente per bollita su altri lidi (d’altronde si sa come nel calcio la pazienza sia un bene assai raro), ma che dentro ha invece ancora il fuoco, e da un gruppo solido e coeso che segue il suo allenatore passo per passo. Un galeone piratesco dove tutti remano nella stessa direzione per prepararsi a dare l’assalto ai velieri imperali. Tutto ciò si contestualizza in una società il cui presidente, sia pur poco amato dalla piazza, non mette becco nelle questioni tecniche, ma si limita a pretendere che risultati sportivi ed economici collimino, e un giovane direttore sportivo che parla poco ma lavora molto nell’ombra facendo leva sulla sua esperienza di abile talent scout.
Insomma, questo Verona ha tutti gli ingredienti di una bella storia. Durerà? È quello che anche gli occhioni stanchi dell’Arena, dopo tanti anni di sofferenze, si augurano. Molto dipenderà dal destino di Ivan Juric, l’uomo che ha ridato a una città e alla sua gente il piacere e l’orgoglio di riconoscersi nella propria squadra di calcio. L’uomo venuto dal nulla, che solo pochi mesi fa nessuno voleva e che invece ora tutti vogliono. Il calcio, a volte, ne racconta di belle.
Quarto caffè al Bar Sport, offre Allegri. La Serie A è un campionato serio. Rectius: è tornato alla serietà. Sì, perché in Europa paiono essersi allineati i pianeti.