L'eccezionale normalità di un calciatore ingiustamente sottovalutato.
In una Serie A dove si fatica a trovare una vera e propria lotta-marcatori (Lautaro a 12 stacca tutti gli altri, dai 7 gol in giù), e dove quello del bomber di razza rimane un problema comunque a tante squadre, avere un centrocampista come Jack Bonaventura è oro colato. Quest’anno Bonaventura ha segnato già 6 gol stagionali – di cui uno con la maglia dell’Italia: ciò che gli ha permesso di diventare il più anziano marcatore nella storia degli azzurri. Ma la sua dimensione non può ridursi all’aspetto realizzativo. Bonaventura non è uno che ti ruba l’occhio, non ti fa innamorare col tocco di palla o il tiro, ma è come l’amico un po’ silenzioso e schivo che quando chiami ti risponderà sempre.
La forza di Bonaventura è nella sua testa. Bonaventura è senza dubbio uno dei calciatori più talentuosi, intelligenti e sottovalutati che il calcio nostrano abbia mai tirato fuori nell’ultimo decennio, caratterizzato da poche luci e tante ombre. Prodotto di quel settore giovanile sforna-talenti come l’atalantino, a Bonaventura è stato fatale il salto in maglia rossonera, quando il Milan stava vivendo uno dei peggiori momenti della sua storia. Ora però alla Fiorentina si è rilanciato, e sta vivendo una seconda giovinezza. Chi è, quindi, Giacomo Bonaventura?
Bonaventura calciatore: il jolly
Come abbiamo detto, Giacomo Bonaventura da San Severino Marche (provincia di Macerata) è stato troppo spesso sottovalutato in carriera. Ad avviso di chi scrive, il motivo è soprattutto tecnico. Non puoi identificare Bonaventura come quel calciatore bravo a fare quella cosa. Bonaventura è un jolly del centrocampo e ama oscillare – dicono quelli bravi – sempre tra mediana e attacco: è bravo in tutto ma, a livello estetico soprattutto, non ha doti che spiccano sulle altre. Bonaventura arriva più col pensiero che con la tecnica (comunque molto alta).
A volte ala, a volte esterno di centrocampo (sia a destra che a sinistra, naturalmente), trequartista, molto spesso mezzala, raramente seconda punta. Jack Bonaventura può fare tutto. Paradossalmente, allora, è stata proprio questo sua inclinazione al cambiamento tattico, il suo mimetismo e la capacità in generale di adattarsi a qualsiasi ruolo dal centrocampo in su ad averci fatto credere di essere di fronte a un calciatore normale.
“La specializzazione è una deriva sbagliata: ti aiuta a esplodere, ma poi devi migliorare, cambiare e adattarti”.
Giacomo Bonaventura
Non dribblerà come Berardi e non calcerà in porta come Barella, ma Bonaventura rimane ancora oggi uno dei calciatori più intelligenti della nostra Serie A: intelligenza che si traduce nel saper sempre dosare l’ultimo, e decisivo, passaggio, nella capacità di occupare gli spazi abbinata ad una visione di gioco che gli permette di servire i compagni al momento giusto. Bonaventura però ha messo tutte queste sue qualità sempre e solo al servizio del collettivo, senza che il suo (grande) talento individuale si notasse troppo: non ha mai fatto giocate fine a sé stesse, esibizionistiche, ma unicamente funzionali. Insomma non ha mai badato troppo all’estetica in campo, per via anche della sua personalità da “anti-divo” sulla quale ora vogliamo soffermarci.
Bonaventura persona: eccezionalmente normale
Se il marchigiano nel rettangolo di gioco, come si è detto, è una mosca bianca, fuori dal campo se possibile lo è quasi di più: lo si potrebbe definire come l’antitesi assoluta dello stereotipo del calciatore moderno. Niente tatuaggi (“non mi piacciono, ma non ho nulla contro chi se li fa”: puro razionalismo), niente capelli colorati (male) o tagli “alla moda”, nessuna wags come compagna, scarsa presenza sui social, nessun vizio particolare fuori dal campo e nessuna controversia di cui vergognarsi (e di questi tempi pensate sia poco?): insomma Jack è il più classico dei cosiddetti “bravi ragazzi” (“sono uno tutto casa e bottega”, come dichiarò in un’intervista).
A questo va anche aggiunto come nel corso della carriera Bonaventura non abbia mai creato polemiche con nessun addetto ai lavori, fosse un suo compagno di squadra o l’allenatore, un dirigente ma pure un arbitro: insomma un tipo tranquillo in tutto e per tutto, o come si è ancora autodefinito lui stesso “un tipo normale, sicuramente riservato ma assolutamente non timido”.
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Il suo hobby principale è la musica: suona la chitarra e ascolta musica rock vintage, dagli U2 agli Oasis passando per Nick Cave (il sottoscritto ebbe la fortuna e il piacere di incontrarlo al concerto del cantautore australiano all’Assago Forum di Milano del 6 novembre 2017: e chi se lo scorda più un evento simile). Sarà forse stato anche questo suo essere un personaggio così poco mediatico (in quest’epoca di continua e ossessiva esposizione mediatica dei calciatori) ad averlo anche condizionato nelle convocazioni in Nazionale?
Non è certamente un’ipotesi da scartare, ma ad ogni modo la “filosofia di vita” di Jack è questa qui: “Nella vita serve il giusto equilibrio. Il calcio di gonfia l’ego, bisogna stare attenti”.
Riservatezza e tranquillità non sono però certo sinonimo di mancanza di personalità, perché quella Bonaventura ha sempre dimostrato di averla nel corso della sua carriera, nonostante non abbia mai “alzato la voce” per dimostrarlo, perché semplicemente non era necessario. Solo per fare un esempio, a dieci anni un provino per entrare nell’Atalanta va male. Gli dicono che “è troppo gracile”, tuttavia non si perde d’animo e a 15 anni va via di casa per giocare a Tolentino (sempre in provincia di Macerata), dove stavolta viene notato dagli osservatori della Dea, che decidono di tesserarlo.
“Non è vero che si nasce con una personalità forte: la si può costruire nel tempo”, ha dichiarato Jack, sapendo perfettamente di non essere nato eletto e che se voleva davvero emergere e sfondare nel calcio professionistico l’unica strada era quella della forza di volontà: “La differenza la facciamo solo noi stessi. Per me contano la volontà, l’impegno e la forza interiore”, questo è sempre stato il suo spirito competitivo, quello che lo ha sempre fatto rialzare ad ogni caduta.
A testimonianza della sua grande personalità, seppur “poco appariscente”, vi è anche il capitolo legato ai gol decisivi: perché in pochi lo ricordano, ma Bonaventura è sempre stato decisivo quando contava per tutte le sue squadre.
Ai tempi del Padova contribuì alla salvezza della sua squadra con un gol nella partita di ritorno del playout contro la Triestina. Nell’annata successiva (2010-11) all’Atalanta è uno dei giocatori più decisivi per la promozione in Serie A dei bergamaschi, che nel 2012 raggiungerà la salvezza con tre giornate d’anticipo proprio grazie ad un gol di Jack, segnato contro la Fiorentina.
Negli anni più bui della storia recente del Milan (2013-2020), vince però un trofeo: la Supercoppa Italiana nel 2016 in Qatar, battendo la Juve ai calci di rigore. Il suo contributo è fondamentale, perché prima segna il gol del pareggio e poi realizza uno dei tiri dal dischetto. Un suo gol stava pure per consegnare alla Fiorentina un trofeo europeo, la Conference League, nella finale contro il West Ham, ma purtroppo in quell’occasione non è andata bene. Infine, abituati ormai a vedere le squadre italiane ed europee andare a giocare o ad allenarsi nei paesi arabi per racimolare qualche soldo in più, proprio Bonaventura, dimostrando di non avere peli sulla lingua (sempre a proposito di personalità), fu forse il primo calciatore del nostro Paese a criticare queste scelte, dato che ai tempi del Milan definì la tournée disputata dai rossoneri a Dubai nell’inverno del 2014 come una “roba di marketing, che ha condizionato anche la squadra nei tanti infortuni avuti”.
Un leader per la Viola
“Bonaventura è il nostro Bellingham” ha dichiarato Luciano Spalletti, che lo ha riportato in Nazionale dopo tre anni. La provocazione è evidente e non c’è neppure bisogno di sottolinearne il motivo: tuttavia a 34 anni Jack pare giocare davvero alla stessa maniera del 20enne inglese del Real, quasi una sorta di “tuttocampista” (o box-to-box come direbbero i britannici) in grado di abbinare qualità e quantità.
Il Bonaventura allenato da Vincenzo Italiano alla Fiorentina è diventato un giocatore molto più applicato in fase difensiva, capace di andare a contrasto con maggior incisività e recuperare palloni in fase di non possesso. La sua ritrovata forma fisica in un età in cui normalmente un calciatore cala (fenomeni veri a parte) non è solo però riconducibile a questo, ma è una conseguenza diretta del ruolo sempre più centrale che ha ormai acquisito Jack nello scacchiere della Viola.
Pur avendo perso qualcosa in velocità e dinamismo, la sua sempreverde intelligenza tattica gli ha permesso di sopperire tranquillamente a questi limiti. Il “nuovo/vecchio” Bonaventura è un giocatore forse meno “imprevedibile” e più “compassato” nei movimenti senza e con la palla rispetto a prima, ma si è ora tramutato in un punto di riferimento importantissimo in mezzo al campo per la sua squadra, imparando a gestire meglio il pallone per rallentare la pressione avversaria e a dosare ancora di più i passaggi per i compagni, utilizzando maggiormente i lanci lunghi: di fatto si potrebbe definire quasi un “regista”, seppur atipico.
Infatti Jack non ha mai abbandonato una delle caratteristiche tecnico/tattiche che lo contraddistingueva di più, ovvero l’inserimento senza palla per cercare l’assist o il gol, come dimostra anche il grande inizio di stagione nei numeri e nelle performance. Divenuto insostituibile per gli equilibri della Fiorentina (Italiano non lo ha mai fatto riposare neanche una volta finora), si può ricondurre lo strano fenomeno di Bonaventura all’invecchiamento del vino di valore. Più il tempo passa, più il vino diventa buono, se è di qualità naturalmente.