Calcio
07 Gennaio 2021

La genesi di Jorge Mendes

Come nasce il procuratore più potente del mondo.

Come un padre un po’ padrone, un fratello maggiore, come un amico di famiglia che ne sa più di te. Se si ascoltano molti pareri, la costante è il ritornello quasi invariato. Manca la beatificazione sul campo, ma mai disperare per il futuro. In realtà lui è il più potente procuratore oggi in circolazione nel mondo del calcio.

 

 

Di certo il soggetto in questione è un anfibio capace di navigare a vista anche in acque non sempre cristalline. Del resto, se questo è il mare, il pesce non poteva essere di fiume. La genesi di Jorge Mendes, una stella del Portogallo lucente quanto quella di Cristiano Ronaldo e di Mourinho. Anzi, a suo modo anche di più, visto che da anni li rappresenta entrambi. Uno dei pochi che possono dire “mi sono fatto da solo” senza commettere spergiuro. Ma forse senza dire tutta la verità.

 

 

 


Affabulatore fuori dal campo


 

Jorge Paulo Sandro Mendes nasce a Lisbona il 7 gennaio 1966. Fin da ragazzino mostra uno spiccato interesse per il calcio e tenta di fare carriera proprio in quel mondo. La carriera possibile, perché non ha un particolare talento e forse ne è consapevole fin dall’inizio. Ma ci prova lo stesso, magari per trovare un punto d’incontro fra la teoria e la pratica, o forse perché l’istinto gli suggerisce qualcosa. Per trovare un posto da titolare, il giovane Mendes va a giocare nel Portogallo del nord. Sarà per anni onesto (e nemmeno troppo costante) portatore d’acqua nella Vianense, squadra della Segunda Divisão portoghese. Lo stadio Dr. Josè de Matos vede più volte le prestazioni in campo di un interno sinistro volenteroso ma limitato sul piano tecnico.

 

“Come calciatore non sarà un fenomeno – pensano in molti già da allora – ma ha qualcosa che lo
differenzia da tutti gli altri. Quando parla ti incanta, potrebbe convincerti a fare qualsiasi cosa. Che personaggio, quel Mendes”.

 

A un certo punto della carriera finisce ai margini della rosa e decide che bisogna fare qualcos’altro. È alla soglia dei 30 anni. Bisogna imparare a valorizzare il meglio di sé e distinguere sogni da chimere con grande senso della realtà. A ben vedere, la strada aveva cominciato a spianarsela già da qualche tempo.

 

Jorge Mendes Getty
L’espressione e la sicurezza di chi è ben consapevole del suo potere (Photo by Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)

 

 


Da pubblicitario a procuratore


 

Grazie alla rinomata parlantina chiede alla società di gestire le vendite della pubblicità nello stadio. La Vianense gli dà fiducia e in fondo fa bene, perché le vendite vanno benone. Si viene a creare un giro d’affari che da quelle parti non si era mai visto. Come ha fatto? Difficile dire, di certo l’eloquio da solo non basta. Pochi mesi dopo, grazie ai guadagni ottenuti tramite la pubblicità l’ormai ex calciatore apre un negozio di videocassette e poi una discoteca, che sarà frequentata da molti giovani calciatori. Nulla appare casuale, sono i primi passi di una strategia molto precisa.

 

 

Forse qualcuno sottovaluta le doti manageriali dell’uomo, solo perché non è stato un grande calciatore. Ma aver vissuto in quel mondo non è sinonimo di saper stare in quel mondo e di saperne trarre profitto. Tempo al tempo e nasce la Gestifute, sigla di Gestão de Carreiras de Profissionais Desportivos S.A. È una società di procure calcistiche che gestisce giocatori e allenatori. In poco tempo le capacità affaristiche, la forza di persuasione e i risultati ottenuti da Mendes diventano evidenti anche a chi parlando di lui ancora pensa all’ex mediano della Vianense.

 

 

 


Il fiuto per gli affari


 

È contento lui, sono contenti i suoi assistiti. Quello che fa è bene per i calciatori e bene per sé. Anche perché a piazzare un campione sarebbero capaci in molti, per valorizzare un giocatore normale, uno come tanti, ci vuole abilità. E non è che il Portogallo di inizio millennio abbondi di fuoriclasse. Ma pian piano, anche quelli si scoprono e si rendono appetibili sul mercato, servono l’occhio lungo e il saper giocare di psicologia in sede di trattativa. A Mendes riescono colpi importanti: il primo affare di rilievo riguarda Nuno Hernandez, un portiere che grazie al procuratore trova spazio in Spagna, nel Deportivo La Coruna.

 

 

Poi è la volta di Costinha, giocatore dal talento sottovalutato che all’inizio milita in Segunda portoghese. Pochi credono nel giocatore ma Mendes, padre-amico-fratello, riesce addirittura a farlo ingaggiare in Francia, dal Monaco. Il boss della Gestifute è concreto, affabile, perfino simpatico quando vuole. Ma anche duro, cinico e spietato quando serve. Del resto, siamo nel campo degli affari e non è che la concorrenza sia tanto diversa da lui. La vera differenza la fanno i risultati, al di là dei mezzi adoperati per raggiungere l’obiettivo.

 

Jorge Mendes Wolverhampton Getty
Jorge Mendes nella tribuna autorità Wolverhampton, nel 2018, in una delle sue rare apparizioni pubbliche. In primo piano possiamo vedere Jeff Chi, chairman dei Wolves (Photo by Catherine Ivill/Getty Images)

 

 


La consacrazione


 

L’anno d’oro di Jorge Mendes è il 2004. Nelle due stagioni precedenti, un allenatore, un certo José Mário dos Santos Mourinho Félix, noto semplicemente come José Mourinho, ha riportato il calcio lusitano agli antichi splendori, vincendo con il Porto prima la Coppa UEFA, poi la Champions League. Il procuratore di Mourinho è proprio Mendes, il quale capisce che i tempi sono maturi per fare il salto di qualità. In estate Mourinho, Paulo Ferreira, Costinha e Tiago passano al Chelsea. E come non bastasse, “Mr. Gestifute” porta al Barcellona un certo Deco dopo averlo preso dal modesto Alverca quando non era ancora un giocatore conosciuto.

 

 

Con il tempo diventa chiaro a tutti un concetto molto semplice: Jorge Mendes si è trasformato all’improvviso in uno dei grandi procuratori su scala mondiale e la sua società è un colosso con il quale fare i conti. Il Portogallo può dunque vantare due grandi numeri 1 a livello globale, Mendes e Mourinho, ma sta per irrompere il terzo. Con l’avvento di Cristiano Ronaldo si compie un vero e proprio giro di rivoluzione e anche stavolta il merito è essenzialmente del procuratore, il primo a capirne le qualità e a dare a queste ultime un valore di mercato adeguato.

 

 

Se qualcuno può vantare un cerchio magico anche in altri ambiti, il Portogallo pone sul calcio un triangolo d’oro che annovera il meglio in ogni categoria: un fuoriclasse assoluto in campo, un allenatore “very special” e il re dei procuratori a curare gli interessi di tutti, in primis i propri. Nell’estate 2018 cura il trasferimento di Cristiano Ronaldo dal Real Madrid alla Juventus per 117 milioni di euro, rendendolo il più costoso nella storia del calcio italiano. L’affare ha fruttato al procuratore una prebenda di 12 milioni di euro.

 

Il Portogallo che nessuno si aspettava

 

 


Un giro di affari senza precedenti


 

Oggi Jorge Mendes gestisce tra gli altri il cartellino di campioni assoluti come Di Maria, James Rodriguez, Falcao, Thiago Silva, Diego Costa, Pepe e molti altri. La Gestifute ha un fatturato di circa 400 milioni l’anno. Chi vuole avere un po’ di respiro economico e far quadrare i bilanci societari, è bene che abbia Mendes come partner di mercato. È lui la soluzione a tanti problemi. Anni fa João Camacho, amico di vecchia data e collaboratore, disse una cosa piuttosto indicativa: la vera forza di Mendes sta nell’empatia, sta in una sorta di interclassismo vincente, tanto da farlo sembrare quasi un uomo normale:

«Può stare con Obama, con calciatori, imprenditori o gente umile e convincerli tutti allo stesso modo a parlare con lui».

Questo sarà senz’altro vero ma chiarisce poco. Difficile comprendere come un uomo “che si è fatto da solo” sia giunto a tali livelli, sarà la storia a dare una risposta concreta e poco romanzata. Una cosa è certa: la grande intuizione del manager portoghese è stata quella di aver capito in tempi non sospetti che il “controllo” sul mercato delle società è la vera chiave per scardinare i rapporti di forza esistenti e porsi a un livello mai visto prima. Un livello che gli ha consentito di curare i numeri uno al mondo e scambiarli tra di loro come finora a nessuno era mai riuscito.

 

 

Ma soprattutto un livello che gli ha permesso di entrare nelle società di calcio e di controllarle: non più un semplice procuratore di giocatori ma un gestore di dinamiche societarie. Dal Rio Ave al Porto (ma in patria tutte le società devono scendere a patti con Mendes, anche Benfica e Sporting Lisbona) fino ad arrivare a Valencia e Wolverhampton. Per questo si è creata la definizione di super-agente, che tuttavia non è lontanamente sufficiente a restituire il potere di Mendes nel mondo del calcio. Un potere che assomiglia a quello delle multinazionali, a cui ormai si devono piegare anche gli Stati e i governi.

 

“Partendo dal ruolo di agenti di calciatori allargano il proprio raggio d’azione per diventare: agenti di allenatori, collocatori di direttori sportivi nei club, consulenti dei club stessi in materia di campagne trasferimenti, rappresentanti di investitori esterni e infine mediatori d’affari tra il mondo del calcio e la grande finanza internazionale.

 

Uno come Jorge Mendes, in una trattativa, può essere al tempo stesso: agente del calciatore, consulente del club che cede e di quello che compra, agente di uno o di entrambi gli allenatori, «amico» dei direttori sportivi e infine titolare di una quota dei diritti economici sul calciatore, o rappresentante degli investitori esterni che quei diritti detengono. L’abuso sta tutto qui, in una posizione che va oltre il monopolio per diventare controllo totale del mercato” (Pippo Russo).

 

Pensiamo che fin qui nemmeno la pandemia è riuscita a fermare l’ascesa del boss portoghese, che anzi ha vissuto la stagione più soddisfacente nella carriera di manager, nonostante la crisi generale di liquidità. O, più probabilmente, cavalcando ad arte le difficoltà globali di un movimento che nel 2020 non sembra più poter reggere i ritmi precedenti il covid. C’è chi può e chi non può. Lui (almeno per ora) può. In tempi da basso Impero era la gente come lui a salvare Roma, non certo i pronipoti di Giulio Cesare. Un giorno il presidente del Vitoria Guimarães Emilio Macedo ha detto di lui: «Questo paese gli deve molto perché lui gestisce grossi trasferimenti e porta denaro». Più basso impero di così…

 

 

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