In fondo è andata come doveva andare: se non ci sono più i presupposti per un percorso comune, i matrimoni finiscono. Quello tra il Verona e Ivan Juric, nonostante lasciasse intravedere orizzonti lontani, alla fine non è durato molto, appena due anni. All’origine del divorzio non stanno ragioni di carattere economico (il Verona offriva al tigrotto di Spalato un adeguamento del contratto, in scadenza al 30 giugno 2023, a 1,9 milioni contro i due messi sul tavolo dal Torino), ma differenze di vedute che via via hanno aperto crepe fattesi insanabili.
A Juric il Verona ha prospettato come obiettivo una salvezza da raggiungere attraverso il sacrifico di qualche oggetto prezioso sul mercato, il lancio di giovani leve e qualche innesto di esperienza: la solita ricetta stracollaudata. Cairo, appena uscito da una stagione da incubo, intende invece costruire una squadra che lo tenga al riparo dal precipizio e offre qualche ambizione in più a un tecnico pronto per uno scatto in avanti.
Era più o meno quello che Juric chiedeva al presidente Setti, e che Setti, anche alla luce dei guai giudiziari che lo riguardano nell’annosa e spinosa questione del rapporto intercorso con l’imprenditore petrolifero Gabriele Volpi relativa all’acquisto del Verona, non poteva dargli. Di questi tempi, per il club scaligero la crescita si traduce nello starsene lontani dall’altalena tra A e B e nel consolidamento di ciò che sta facendo, vale a dire garantirsi la permanenza nella massima serie più a lungo tempo possibile tenendo in ordine i conti societari e coltivando il settore giovanile: un occhio al campo e l’altro in banca, sempre stato così.
E così ancora sarà. Ivan Juric al Verona ha dato moltissimo: ha saputo rivitalizzare un ambiente con le gomme un po’ sgonfie, ricompattare la piazza e riaccendere la fiamma della passione. Il suo Verona ha fatto grandi cose; ha lanciato giovani di valore e rigenerato giocatori dati frettolosamente per bolliti su altri lidi; la squadra è andata in campo con elmetto, fucile e baionetta, facendo dell’aggressività e dell’intensità la sua bandiera. Un galeone di pirati che hanno dato l’assalto ai vascelli del reame, e qualcuno lo hanno pure affondato.
Calcio dal sapore antico, fatto di duelli uno contro uno, uomo su uomo, che ha incendiato gli animi di una tifoseria che in questo spirito si è riconosciuta.
Nel giro di un anno il Bentegodi è passato dal deserto dell’abbandono in aperta protesta contro la società in una malinconica notte di serie B contro il Palermo, alla polveriera esplosa nella vittoria contro la Juventus a febbraio del 2020 quando eravamo alle soglie della pandemia. Una notte che a Verona hanno tutti ancora negli occhi e nel cuore. Data per spacciata ad agosto da autorevoli giornaloni e salotti televisivi, per due stagioni di fila la squadra ha salutato l’arrivo del nuovo anno lontana dalle paludi con la salvezza in pratica già in tasca: nono posto con 49 punti lo scorso campionato, decimo quest’anno a quota 44.
Eppure, ripetersi era tutt’altro che facile: persi Kumbulla, Amrabat, Rrahmani e Pessina, la rosa è stata ridisegnata. La difesa è stata completamente rinnovata; a centrocampo a fianco di capitan Veloso è salito in cattedra Ivan Ilic, talento in erba targato Manchester City, e laddove agiva Pessina, tornato alla casa madre Atalanta, Antonin Barak ha offerto una stagione scintillante; in attacco, nota dolente per sterilità negli ultimi anni, sono arrivati Kalinic, Favilli e a gennaio Kevin Lasagna.
Chi è rimasto si è confermato sui livelli dell’annata precedente, se non di più. Vero, come più volte ha lamentato Juric, che la squadra era giovane e molto rinnovata, ma è altrettanto vero che il gruppo messogli a disposizione dal fantasioso e dinamico DS Tony D’Amico era comunque competitivo e aveva la coperta ben più lunga rispetto a un anno prima. Il resto lo ha fatto un allenatore che in campo e nello spogliatoio ha messo anima, cuore, e sciabola.
Detto questo, non va dimenticato come la società lo abbia messo nelle condizioni di lavorare in autonomia in un clima di fiducia. Perché se è vero che Juric ha dato molto al Verona, è altrettanto vero che anche il Verona ha dato molto a Juric; all’indomani della promozione raggiunta nel pirotecnico playoff del 2019 con il Cittadella, quando tutto l’ambiente invocava a gran voce la conferma di Alfredo Aglietti, la società diede l’annuncio del suo arrivo mostrando di credere in lui quando nessuno ci avrebbe puntato un penny. Accolto nello scetticismo, concedeteci l’eufemismo, ha cucito la bocca a ogni cassandra.
Una scommessa vinta da una società che al suo allenatore ha dato l’opportunità di rilanciarsi e ricostruirsi una credibilità e con essa una carriera. Un uomo schietto dal carattere ruvido e spigoloso, come il suo calcio del resto, che per tutto quest’ultimo anno non ha certo risparmiato stoccate pungenti né fendenti taglienti al suo datore di lavoro, reo di non investire abbastanza.
Bordate alle quali Setti ha risposto piazzando un materasso davanti alla porta dell’ufficio dopo aver insonorizzato la stanza: uno che accelerava, l’altro che frenava; uno che invocava un balzo, l’altro che i piedi da terra non li staccava; uno che urlava e sbraitava, l‘altro che si metteva i tappi alle orecchie; uno che sognava, l’altro che non si schiodava dai conti del libro mastro: via via il rapporto si è logorato prendendo le fattezze di un dialogo tra sordi, con in mezzo il povero Tony d’Amico a far da mediatore. Fino alla rottura di questi giorni.
E adesso? Sarà come sempre il campo a dire, ma su una cosa non ci sono dubbi: nella città dell’amore non c’erano più le condizioni per tenere in vita il matrimonio. Divorzio consensuale (o quasi), nessuna richiesta di alimenti: in fondo chi si è voluto bene si lascia così. Juric va ora a caccia dei suoi sogni alla corte di Urbano Cairo a Torino, Setti si affida all’intuito di D’Amico per scandagliare il mercato alla ricerca di un allenatore con un profilo che corrisponda alle sue esigenze. L’impressione è che non sarà facile, per nessuno. È stata una bella storia, ma anche le belle storie finiscono. Questa è solo finita un po’ presto, ecco tutto. Sipario.