Ma il giorno della fine, non ci salverà l'ipocrisia.
Il contraltare dell’amore è l’odio. Lo è a tal punto che Martin Lutero, ad esempio, parlando del cristiano definiva l’odio di sé (odium sui) come la chiave d’accesso privilegiata al regno dei cieli [1]. Ed è nello spirito dei primi protestanti, imberbi corsari della buona morale – e forse pure del moralismo, termine a noi più vicino –, che ci troviamo stamattina a dover difendere chi di odio è stato accusato in assenza di ulteriori argomentazioni. Parliamo naturalmente della bambina inquadrata poco prima del fischio d’inizio di Fiorentina-Monza e rea di aver pronunciato (per ben due volte!) “Juve merda” dinnanzi alla telecamera che ne stava seguendo lo sguardo.
Apriti cielo – a proposito di salvezza e dannazione eterna. Ora, senza entrare nel merito della polemica della polemica per cui in realtà la figlia sarebbe stata costretta – roba da medioevo – dal padre a pronunciare quelle parole in diretta nazionale, e mettendo anche tra parentesi che assai più del fatto è grave l’accusa a reti unificate – promossa peraltro tramite social, cloaca massima della frustrazione del popolino – nei confronti della ragazzina, è sul fatto in sé che vorremmo concentrarci.
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Per non morire di moralismo
Ma chi fa polemica su cose di questo tipo, ci chiediamo, in che mondo vive o vorrebbe vivere? Quello del Mulino Bianco dove tutti ci amiamo e ci vogliamo bene – ma poi ci accoltelliamo tra le mura delle villette a schiera? Quello nel quale la rivalità campanilistica – ultimo sentimento puro e ancor lecito; oddio, non si sa per quanto ancora visto l’andazzo – è relegata alla questione dei tifosi famosi?
Evviva la bambina della Fiorentina, per cento e più anni.
«Considerato pure il nostro carattere arcitaliano di gufi, per cui gufare in un certo senso è quasi meglio che tifare», scriveva il nostro direttore qualche tempo fa in un editoriale di accusa (sic!) all’antijuventinismo giudiziario. Ma insomma, guardatevi. Voi, moralizzatori della notte, che poi però siete i primi a scagliarsi con tanta più veemenza nei confronti del nemico quando è a terra. E anche voi, giornalisti ‘con la schiena dritta’ per cui la fede, eventualmente nei suoi eccessi uguali e contrari, è da nascondere sotto al letto. Poveri illusi: come se i giornalisti poi non avessero anche loro una squadra del cuore.
“Tutti tengono a una squadra, non riesco a immaginarlo e non conosco nessun giornalista che non ne sia tifoso perché altrimenti non ti piace il calcio”. Ma “il fatto di essere tifoso dell’Athletic [Bilbao] non ha mai cambiato la mia posizione di giornalista. Certo, nel mio ambito personale soffro e mi diverto”.
Santiago Segurola, El Mundo, 7.5.2024
C’è chi ha parlato di valori, soprattutto. Una parola terrificante, di un moralismo che non sa cosa sia la vera morale e non vuole neanche saperlo. “Trasmettiamo ai bambini i veri valori di questo meraviglioso sport – scrive un utente su X – non le offese e gli insulti”. Dio ce ne scampi e liberi.
Qui ci starebbe bene un bell’insulto all’utente x di X, ma nel rispetto dei valori, della famiglia e della nostra illuministica società occidentale preferiamo non aggiungere altro. Certo, è quantomeno curioso che quando poco più di un mese fa il parlamentare europeo Mick Wallace aveva gridato “Juve merda, forza Toro”, la reazione generale era stata di divertito entusiasmo. Quest’ultimo, si sarà pensato, aveva l’età – e quindi i valori, appunto – per dire certe cose, quella invece, piccola e ignorante, non ancora. Glielo chiediamo in ginocchio, dunque, alla ragazzina: tra una quindicina d’anni, vogliamo lo stesso labiale in diretta nazionale. Non per insultare la Juventus – sai che gli frega ai veri juventini, anzi – ma per farsi beffe del giornalismo d’accatto, sempre pronto all’accusa e (quasi) mai alla comprensione.
NOTE
[1] «Perciò la pena dura finché dura l’odio di sé (che è la vera penitenza interiore), cioè fino all’entrata nel regno dei cieli» (tesi 4, Tesi per chiarire l’efficacia delle indulgenze, 1517).