Fosse questione di numeri, la Juventus avrebbe comunque di che preoccuparsi: in tre anni di Cristiano, i bianconeri sono usciti ai quarti contro l’Ajax, agli ottavi contro il Lione, agli ottavi contro il Porto. Era stato preso per la Champions – e per il marketing, certo… – ma il suo acquisto paradossalmente ha deresponsabilizzato i compagni, concentrando su di sé il peso di una competizione che non si vince coi singoli ma si vince di squadra.
Ce lo ha ricordato la ciurma di Conceição, che ha retto l’inferiorità numerica per più di 75 minuti – dimostrando una forza fisica e atletica sorprendente per i ritmi blandi del nostro calcio. Ce lo ha ricordato Pepe, che nel Real Madrid in cui brillava CR7 era da tutti considerato l’anello debole e che ieri sera, invece, ha dimostrato cosa significhi essere un leader (nel contesto giusto). Come Federico Chiesa, la bella notizia nella brutta notte di Champions: un’oasi nel deserto sulla quale la società bianconera dovrebbe riflettere attentamente.
Il vero trascinatore di ieri sera è italiano, è giovane, ed è in perfetta continuità con la tradizionale identità juventina, che dal disgregarsi della BBC – e dall’addio di Massimiliano Allegri – sembra aver smarrito la bussola. E non ci riferiamo chiaramente soltanto all’acquisto di Ronaldo, che ne ha preclusi degli altri – per evidenti ragioni economiche – e che, come detto, ha polarizzato il gioco e l’anima della Juventus (oltre a mandare in tilt i conti della società, che ha già chiuso in profondo rosso il primo semestre 2021, 113 milioni di perdita, e che senza gli introiti della fase che conta della Champions rischia di andare in notevole difficoltà).
Ci riferiamo, più in generale, alle accuse mosse all’allenatore livornese da Adani in primis, ma da gran parte della stampa nostrana poi, dopo l’eliminazione della Juventus per mano dell’Ajax dei giovani e del bel gioco. Critiche forse eccessive – come sottolineato ieri sera da Capello e Condò negli studi di Sky Sport, con l’arte della riabilitazione ex post tutta nostrana – si sono abbattute sull’allenatore toscano, accusato di essere retrogrado, superato, fin troppo italiano.
La realtà dei fatti ha però dato ragione ad Allegri e a chi lo ha sempre sostenuto, testimoniando come l’identità non sia un’idea campata per aria, una stramberia appartenente ad un mondo ormai al tramonto, tradizionalista e bigotto, ma una necessità che in certi ambienti – Juventus, la Vecchia Signora – non è un’opzione.
Il dibattito, lo ripetiamo, per noi neanche si pone. L’ipotetico “bel gioco” non ci ha (ancora) fuso il cervello: qui il discorso riguarda l’identità, che precede qualsivoglia tipo di gioco, come la prassi precede la teoria. Per battere il Porto, con tutto il rispetto, non serviva giocare bene. Serviva semplicemente essere la Juventus, ma che cos’è oggi la Juventus? Il calcio è un gioco stupido per persone intelligenti, ha detto una volta Allegri. La nostra impressione è che stia diventando un gioco intelligente per persone stupide.
La sala stampa deserta per le parole di Andreazzoli denota mancanza di professionaità, maleducazione, superficialità: scegliete voi cosa mettere prima.