Calcio
04 Dicembre 2017

La battaglia di Belfast

Una delle più violente partite internazionali mai disputate.

Per gli archivi, è solo una gara amichevole terminata con il risultato di 2 a 2. Per la storia, è la battaglia di Belfast, combattuta tra le nazionali italiana e dell’Irlanda del nord. Teatro dello scontro: Windsor Park, l’arena progettata da Archibald Leitch, l’architetto dal cui genio sono stati concepiti i maggiori impianti sportivi in terra d’Albione, Anfield ed Highbury tra gli altri. Luogo, Belfast. Data: 4 dicembre del 1957: sessant’anni, oggi. “Inviato di guerra” preposto al racconto della collisione fra le due armate, Nicolò Carosio, dalla cui voce, più che una radiocronaca di un evento sportivo, alle orecchie degli italiani arrivano gli echi di un bollettino da conflitto in costante aggiornamento (dalla privilegiata postazione della trincea di bordo campo). Eppure quell’Irlanda-Italia sarebbe dovuta essere una amichevole. Anzi, a dirla tutta, non sarebbe dovuta esserlo, ma poi lo era diventata; uno strascico di un rocambolesco susseguirsi di avvenimenti che, da confronto ufficiale valevole per la qualificazione ai mondiali di Svezia del ’58, era stato poi declassato al rango di competizione priva di posta in palio, salvo consegnarsi come sfida combattuta all’ultimo sangue e senza esclusione di colpi. E che colpi! Anzi che il clima della vigilia era inizialmente apparso perfino gradevole, disteso, con la comitiva azzurra agli ordini di mister Alfredo Foni che si era anche concessa un giretto per le vie del centro della capitale irlandese: ma il carbone evidentemente covava sotto la cenere. Alla notizia che l’arbitro ungherese Zsolt, designato alla direzione del macht, era stato trattenuto nello scalo aeroportuale londinese – causa una fitta e avvolgente coltre di nebbia che aveva cinto il cielo dell’Inghilterra meridionale – qualcosa era cambiato d’improvviso.

 

Un disappunto diffuso e profondo era montato minaccioso nell’animo degli irlandesi. Il miglior humus su cui spargere un po’ di veleno teso a far rigurgitare vecchie e nuove ruggini tra due popoli diversamente religiosi e credenti, e con due concezioni calcistiche non meno differenti. A questo punto basta davvero poco per far scoccare una pericolosa scintilla. Ed infatti quando viene comunicata la decisione – assunta per non deludere le diverse migliaia di persone già con un biglietto in tasca – che la gara si sarebbe giocata lo stesso sebbene con le caratteristiche dell’ amichevole, i violenti venti del furore tipico di un protestantesimo endemico, cieco ed intollerante, pronto a traslare passioni politiche e di culto anche in ambito sportivo, hanno già fatto il loro lavoro. Nelle sue schiere l’Italia annovera più di un oriundo, particolare che non va giù agli irlandesi, che stigmatizzano l’espediente e lo elevano a motivo di scherno. L’Italia, la cattolica ed invisa Italia, è già due volte campione del mondo, e questo si digerisce ancora meno. Reduce da una sonora sconfitta in Portogallo, ha anche un altro problema, che certo non le fa guadagnare punti agli occhi dei già mal disposti avversari. E’ stata impallinata da un inatteso colpo di fuoco amico, che ha offerto il destro alla stampa irlandese e britannica per calibrare al rialzo la già più che pronunciata avversione verso tutto ciò che è italiano.Cecchino d’eccezione Eddie Firmani, di professione goleador, italosudafricano noto tanto nel Bel Paese quanto in Gran Bretagna, che rilascia un intervista in cui racconta di un calcio, quello italiano, malato, marcio e il cui comune denominatore, a suo dire, sarebbe il sistematico uso di droga.

August 1954: Sam Bartram (centre) the Charlton Athletic goalkeeper with two of his teammates, Eddie Firmani (left) and John Hewie. (Photo by Central Press/Getty Images)
Eddie Firmani (a sinistra) ai tempi del Charlton Athletic; accanto a lui Sam Bartram, leggenda del club

Musica per le orecchie degli irlandesi, frementi di dare fuoco alle polveri. Gli ingredienti per esacerbare ulteriormente un’atmosfera già incandescente di suo, ora ci sono proprio tutti. In campo Foni esibisce il centromediano più alto della seria A, Rino Ferrario, in arte Mobilio, cui fa da contraltare il portiere più basso del campionato, Ottavio Bugatti, in forza al Napoli di Achille Lauro. I due si ritrovano più volte coinvolti in mischie furibonde, dalle quali, pur temerari, spesso escono malconci. Quanto si dice sul conto della rudezza del calcio britannico trova drammatica conferma. A Ferrario per giunta toccano gli straordinari, costretto a fare da schermo protettivo al piccolo estremo difensore azzurro, costante bersaglio delle bellicose mire irlandesi, che dietro di lui trova spesso riparo (l’Armadione bianconero sarò quello che avrà la peggio a fine gara). Il triplice fischio che sancisce la chiusura delle ostilità agonistiche, per il pubblico di casa è l’atteso segnale che finalmente può dare sfogo agli incontenibili propositi rabbiosi e di violenza. In un attimo un’orda irlandese invade il campo e si abbatte come folgore sugli atleti azzurri. Scatta una vera e propria caccia all’italiano, con la Polizia, dapprima complicemente inerte e successivamente clamorosamente inadeguata, che non riesce ad arginare le violenze.

Un riassunto delle vicende irlandesi, fino alla “caccia all’italiano”

 

Ferrario – che pure vende cara la pelle difendendosi con onore fino al punto di guadagnarsi l’appellativo di leone di Belfast – è raggiunto da colpi tremendi, uno dei quali gli procura conseguenze abbastanza serie. Altri compagni di squadra subiscono sorte analoga: vengono malmenati e lo stesso Mister Foni finisce per essere fatto oggetto di attenzioni poco simpatiche. I calciatori irlandesi, pur maschi e sleali per tutta la partita, comprendono che è in atto un vero e proprio linciaggio e, in un ritorno di sportività, cominciano a far da scudo agli italiani. Con loro, a sorpresa, a sedare gli animi si lancia anche un giovane cronista della TV inglese, che poi sarebbe divenuto capo della BBC Sport, Peter Lorenzo, di chiare origini italiane. A lui – che più tardi avrebbe incentivato l’accesso al grande calcio di Bobby Mooreil Mattino di Napoli darà ampio risalto l’indomani nell’articolo di commento all’incontro, forte anche della provenienza campana del giornalista. 2 a 2 fu comunque il risultato finale. Ed una coda polemica che trasformerà l’accaduto in un vero e proprio caso diplomatico, cui seguiranno, in una escalation di incoerenza ed ipocrisia, le scuse di rito delle autorità competenti per quella che resta ancora oggi una delle pagine più brutte dello sport europeo. Quindi la “ripetizione” della gara, questa volta ufficiale: da qui ebbe origine la sconfitta azzurra, e il sogno di partecipare al mondiale di Svezia, Nazione che evidentemente per noi riecheggia in costanza di sciagure, si infranse inesorabilmente sulle gelide scogliere d’Irlanda.

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