Calcio
20 Settembre 2019

La caduta della Dea

È difficile rimproverare qualcosa all'Atalanta, ma il tracollo di Zagabria deve almeno farci interrogare.

Avevano festeggiato la storica qualificazione come una vittoria in finale. Una qualificazione ampiamente meritata in forza del gioco espresso e dei demeriti della Roma. Li avevamo avvertiti, la Champions League, l’unica competizione che conta oggi, è una storia diversa. In Champions si gioca a football. Ci hanno risposto di esser forti e che avremmo dovuto capirli. Li abbiamo capiti, ne abbiamo compreso il brivido, l’eccitazione della prima volta. Abbiamo capito che la perdita della verginità della Dea nella massima competizione sportiva è stata dolorosa. Un ratto.

 

Prima bagordi, poi silenzio. Il silenzio della vigilia. Si avvertiva la tensione nei discorsi della gente, chi sproloquiava di vittorie al bar, prendendomi a male parole perché lo mettevo in guardia, e chi si aggirava taciturno per le vie di Bergamo, in una giornata fresca, sotto un cielo basso, preannunciante un acquazzone che in serata sarebbe arrivato.

 

L’Eco di Bergamo, quotidiano locale di cronaca nera e sport, aveva dedicato 40 pagine allo storico evento (in termini ortofrutticoli 10 pagine la pera, praticamente). L’umiliazione sportiva al Maksimir di Zagabria per mano della Dinamo è annotata con il risultato di 4 a 0. Fortuna vuole che i Croati non si siano resi conto, fino alla seconda rete, di poter fare ciò che volevano di una spaurita pseudodivinità calcistica, come la definiscono gli apostati che la chiamano Dea.

 

Dinamo Zagabria Atalanta 4-0
Il 4-0 di Orsic, per la tripletta personale, a seppellire i bergamaschi

Rimane una riflessione seria da fare sul calcio italiano: l’intervistatore del giornale chiedeva con una certa sicumera al tecnico croato Nenad Bjelica, grande pretattico: “L’Atalanta è una squadra votata al gioco d’attacco, non gioca all’italiana. Se lei potesse togliere un giocatore a Gasperini?”. Ilicic, naturale. Forse sarebbe stato il caso di fare la stessa domanda anche a Gasperini, perché pare proprio che gli orobici abbiano sottovalutato la situazione. In primo luogo, la “Atalante” come la chiamavano gli slavi ieri, è l’unico intruso in un girone in cui ogni altra squadra ha vinto il rispettivo campionato.

 

E secondo, forse pensavano che il ragazzo Dani Olmo Carvajal di Terrassa (Catalogna) fosse solo un piccolo fiore (è classe ’98), ma l’under-21 spagnolo – di cui è capitano – è, se mai, un piccolo fiore bugiardo, perché si è dimostrato albero d’alto fusto. Senza dubbio il miglior giocatore in campo per qualità e intelligenza. Grazie alle sue giocate la Dinamo ha potuto fare un gioco d’attacco frizzante e imprevedibile, che in Italia di rado si può vedere. Ergo, se i nerazzurri sono fra le formazioni che hanno espresso il miglior calcio, dal punto di vista del gioco, negli ultimi anni in Serie A (non certo la Juve del teorico della partita brutta Allegri – che onestamente mi manca), e perdono male giocando male contro i campioni di Slavonia, quale è il reale livello del football nel nostro paese?

 

La squadra dei “Bad Blue Boys” è stata superiore in tutto, sul piano del gioco, del coraggio, della spregiudicatezza e della corsa, rischiando il vantaggio già nei primi minuti. Gli atalantini sembravano imbambolati dalle sirene plurilingui della nota aria che tutti amiamo. Djimsiti inadeguato per la competizione, per non parlare di Masiello, Gollini un ragazzo spaesato. Non si può pensare che il peso del gioco gravi interamente sul buon De Roon e questo al di là di qualsiasi discorso sui moduli (la difesa a tre non è sembrata geniale), che può stabilire solo chi conosce la situazione dall’interno e cioè Gian Piero Gasperini.

 

Dinamo Zagabria Atalanta 4-0
Ringraziamenti obbligati ai 3000 accorsi da Bergamo per riempire il settore ospiti (foto dalla pagina Facebook ufficiale della Atalanta Calcio)

Gian Piero Gasperini è una delle sorprese positive di questa triste vicenda calcistica. Durante la consueta conferenza stampa post-gara si è, con signorilità e onestà, così espresso:

“È una squadra che ci ha superato in tutto, è stata più aggressiva, ha giocato con velocità e con qualità. Noi, sotto tutti gli aspetti, abbiamo fatto fatica. Pure quando eravamo in situazioni di pressing uscivano sempre. Avevano velocità e qualità superiore rispetto a noi. Non credo sia una questione di emozione, è troppo facile attaccarsi a questa cosa. Abbiamo preso una dura lezione da una squadra che è stata più brava. Secondo tempo è stato più equilibrato. Siamo preparati a giocare contro tutti i moduli. In tutti i reparti erano più veloci di noi, ci bucavano pure quando eravamo in tanti. Credo che da questa partita, devi imparare molto… non ci è capitato spesso. Qui c’è un livello molto più alto sotto tutti gli aspetti, ma non scarterei nemmeno quelli tecnici”.

Onore, Gian Piero. L’altra sorpresa che ci fa tanto piacere è la pacifica festa prepartita dei tifosi orobici a Gornji Grad, la Zagabria alta – forse si sentivano un po’ a casa – i quali hanno preso d’assalto il Dinamo store non per sfasciarlo, ma per far man bassa di sciarpe commemorative.

 

A Bergamo un tempo si diceva, che ci vai a fare in Europa? Sprechi energie e poi magari retrocedi pure. Un discorso da microcefali calcistici. Oggi no. La città è maturata, ha preso consapevolezza del fatto che il gioco più bello del mondo va giocato con la passione dei bambini. Onesta e perfino ingenua. Il sogno va sognato. Per questo non possono che far piacere le parole dell’allenatore e il comportamento dei tifosi nerazzurri. Anche a un romanista transpadano.


Matteo Donadoni è autore di Dio, palla & famiglia, rubrica che cura per Ricognizioni


 

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