Luciano Spalletti è solo, in guerra contro la stampa e il mondo moderno.
Essere allenatori vuol dire essere soli. Chiedere a Luciano Spalletti per credere, che per giunta si è andato a scegliere le due piazze più maledette del calcio europeo: Roma e Inter. Il punto è che bisogna essere assai forti per sopportare la solitudine, pronti e preparati alle ingiurie e al tradimento, al paradiso prima e all’inferno subito dopo, mentre Spalletti è un toscano a cui è sempre piaciuto essere amato (motivo per cui non ha mai dimenticato Roma, la sua grande e vera prima volta con amore reciproco). Già per questo potrebbe incassare la nostra pasoliniana solidarietà, ma non basta. Pochi infatti negli ultimi anni hanno subito un tale accanimento da parte della stampa come il tecnico dell’Inter: a Roma è stato letteralmente crocifisso per la questione Totti, fino a che è impazzito anche lui senza appello. Ma mettetevi nei suoi panni: gestire il ritiro (o giù di lì) del calciatore icona e sangue di Roma, con una squadra e uno spogliatoio da dover gestire e una proprietà di yankee affaristi che lo ha mandato avanti, affidandogli il lavoro sporco e la più ingarbugliata delle matasse. Quindi Luciano è passato all’Inter e Suning ha improvvisamente chiuso i rubinetti, per cui si è ritrovato con tante promesse disattese e, ai primi risultati negativi, ancora una volta solo (o al massimo in compagnia di quel disperato di Sabatini, un altro gigante dell’extra-campo trattato come un appestato nella capitale).
Pensate poi a un umano sfogo notturno – sempre che sia avvenuto in quei termini – con dei tifosi della Roma lontano dalle telecamere: ecco, passa qualche giorno e te lo ritrovi niente meno che sul Corriere della Sera. In primis Spalletti ha detto solo la verità, ovvero che Totti non correva, che Pallotta avrebbe venduto i migliori, che l’ambiente sia nella Milano nerazzurra che nella capitale giallorossa rasenta la follia e che, senza cacciare fuori il grano, con questa Juventus “non si vince una fava”. Ma soprattutto, parliamo di molti “giornalisti”: iene, approfittatori, agenti del caos e della (dis)informazione, sempre in cerca della “notizia” sulla pelle dei diretti interessati. Gli stessi che si vestono da cortigiani quando tutto va bene, e che invece quando la sorte si fa avversa impugnano la penna – anzi ormai imbracciano il pc – come fosse una spada; sarà una coincidenza che queste frasi vengono fuori proprio nel momento di maggior difficoltà dell’Inter e del tecnico toscano? La favola insegna allora che noi siamo umanamente vicini a Spalletti, e ci auguriamo che una gran parte del clero giornalistico, abituato a volare alto proprio come gli avvoltoi, finisca presto per schiantarsi al suolo.