Fra Oscar e Sally nasce un'amicizia particolare, foriera di sinistri presagi.
Oscar Natalio “Ringo” Bonavena, il peso massimo argentino già fiero avversario di Joe Frazier e Muhammad Alì, sta trascorrendo il controverso periodo che caratterizzò il tramonto della sua lunga carriera a Reno, in Nevada, ospite di Joe e Sally Conforte, improvvisati impresari pugilistici, in realtà dediti a ben altre attività al limite della legalità. Fra Oscar e Sally nasce un’amicizia particolare, foriera di sinistri presagi.
Sabato 22 maggio 1976, Reno, Nevada, h. 06,10 a.m.
Non noti mai a sufficienza il colore di un ciottolato. Ci potresti camminare sopra migliaia di volte, ma se ti chiedessero di descriverne con precisione il colore, non ci riusciresti. Certo, quando lo vedi a distanza di pochi centimetri, tutto è molto più semplice.
L’uomo era disteso sul pavimento che conduceva all’ingresso del ranch. Stava rantolando. Una pallottola, esplosa da circa trenta metri lo aveva centrato in pieno petto.
Il volto sul ciottolato d’ingresso, il corpo immobile, e il poco fiato rimasto per bisbigliare le ultime parole: “Ho freddo…, è finita, è finita.. sto andando Sally, ultimo round..sento il gong, sento il gong…”
Mercoledì 19 maggio 1976, Reno, Nevada, h. 22,00 p.m.
“Ehi, dov’è Sally? Hai visto Sally? Avanti, amico, dimmi dove si trova!” urlò Ringo all’indirizzo di Billy Brymer, dirigendosi a grandi passi verso la porta d’ingresso.
“Ringo” aveva posteggiato la sua Chevrolet Monte Carlo nel vialetto, e ora si trovava davanti all’entrata del Mustang Ranch. Quel nomignolo, “Ringo”, gli era stato affibbiato per via del caschetto che ricordava quello del batterista dei Beatles, ma l’unica cosa che c’era da suonare, quella sera, era il campanello della porta dei Conforte.
Margarita e Louise, arrivate lì da pochi mesi, avevano capito subito che tirava brutta aria e stavano rientrando in tutta fretta dal terrazzo del primo piano del ranch, dove si trovavano per cercare di allentare il caldo soffocante di quella giornata. Le ragazze avevano imparato a conoscere Oscarito, ma, soprattutto, avevano imparato a fiutare aria di guai con largo anticipo. D’altra parte, se volevi resistere lì, nel regno di mister Conforte, non potevi fare altrimenti, e questo, Margarita e Louise, lo avevano capito perfettamente.
Billy Brymer stava intanto scendendo velocemente le scale per andare incontro a “Ringo”.
“Argentino, ancora qui?”, fece Brymer, “Quante volte ti devo ripetere che non sei più gradito, qui, al ranch? Amico, tu cerchi guai, te lo assicuro!”
Cheryl Anne Rebideaux, per tutti Margarita, aveva lasciato la grande porta finestra socchiusa e ascoltava la discussione fra i due uomini. A lei, l’argentino era simpatico, da quando era arrivata al ranch, Oscarito si era sempre dimostrato gentile con lei, mentre quel tizio, Billy “il guercio”, beh, non lo poteva proprio sopportare.
“Ringo” le raccontava di Frazier, di Mohammad Alì e di tutti gli altri campioni incontrati in tanti anni di carriera sul ring. E’ vero, a volte forse era un po’ alticcio, Oscarito, ma a lei piaceva sentire quelle storie, e anche se fossero state solo frutto della sua fantasia a lei non importava, le bastava il suo sorriso da impudente conquistatore.
Il proprietario di quel sorriso ora si trovava di fronte al Billy, e non era quello il momento per pensare a conquiste o cose del genere.
“Amico, tu non ti mettere di mezzo”, disse il pugile, “Non ti è bastata la lezione di sabato scorso?”
Pochi giorni prima, il 15 maggio, tutta quella gente arrivata per la festa si era trovata ad assistere a un incontro di boxe inaspettato, ma più che un incontro era stato un duello, quello improvvisato nel giardino dei Conforte. Lui, mister Conforte con la sua cricca in prima fila, e poi tutti gli altri dietro, pronti a godersi lo spettacolo. Sally, no, lei non c’era. Aveva preferito rimanere in camera. Sapeva che non era opportuno esporsi troppo e che proprio lei, la manager di Oscarito, non sarebbe stata capace di nascondere le proprie emozioni. E così era rimasta di sopra, pregando che tutto fosse filato liscio per “Ringo”.
“Sei stato solo fortunato, argentino”, disse Bryner con fare minaccioso, “ma non pensare che la fortuna ti possa sempre essere sulla spalla, Bonavena”.
Non era stata fortuna e questo, Billy lo sapeva molto bene. Certo, il suo occhio non lo aveva aiutato a schivare tutti i colpi che gli aveva portato l’argentino, e dovuto passare le successive ventiquattro ore sotto osservazione al Renown Medical Center di Reno, per riprendersi dai ganci e dai montanti che avevano percosso il suo corpaccione. Oscar Bonavena, seppur sbronzo fradicio, si era divertito a irriderlo davanti al suo padrone, neanche ci fosse in palio la corona iridata. Billy se l’era legata al dito, lui non era tipo da dimenticarsi di certi affronti. Davanti a tutti, poi.
“Senti, Billy, io non voglio noie”, disse “Ringo”, “lunedì tolgo il disturbo, torno a Buenos Aires, e devo solo parlare con Sally. Se non la posso vedere, fammi almeno salire da Joe. Ho ricevuto una proposta, amico, forse è quella giusta per rientrare nel giro buono, e non me la voglio lasciare sfuggire“.
La nuova opportunità per Bonavena si chiamava Howard “Kayo”Smith, un onesto mestierante del ring in possesso di una discreta tecnica che da pochi anni era entrato nel circuito professionistico. Ma la cosa che più importava a “Ringo” era un’altra: il suo incontro, programmato per il 15 giugno a New York, avrebbe fatto da anteprima al match fra George Foreman e Joe Frazier. Un’’opportunità da non perdere, un palcoscenico prestigioso per un rilancio della carriera in grande stile. E a 36 anni suonati, quella proposta arrivata direttamente da Los Angeles, nientemeno che da Don Chargin, il potente manager di pugilato, non si poteva certo rifiutare.
“A Sally non è consentito vederti, argentino”, disse Bill, “e io ho l’ordine di buttarti fuori da qui. Sai bene che mister Conforte non desidera averti nei paraggi.”
Sally Burgess Conforte era la moglie di Joe Conforte, un siciliano in affari con la mafia di San Francisco e con legami con la famiglia Bonanno di New York. Arrivato negli Stati Uniti a undici anni, dopo molti lavori oscuri e altrettanti problemi con la giustizia, Joe Conforte era riuscito ad aprire il primo bordello legale in Nevada, il Mustang Ranch, di cui Sally, più anziana di lui di dieci anni e con problemi di deambulazione a seguito di un incidente, era l’oculata amministratrice e intestataria.
Oscar Bonavena rivolse uno sguardo obliquo al guardaspalle del grande capo.
“Ok, ok, certo, ho capito”, disse, “Lascia perdere, fai come se non mi avessi visto, amico.”
“Ringo” intanto si era voltato verso Margarita e le aveva fatto cenno di scendere. Poi, preso il portafoglio, mise nelle mani di Brymer alcune banconote.
“Penso che possano bastare, per questa sera, dico bene?”.
Senza aspettare la risposta, appena Margarita si affacciò all’uscita “Ringo” le si fece incontro e insieme si incamminarono verso la Chevrolet Monte Carlo marrone parcheggiata nel vialetto d’ingresso. Poi, fatta retromarcia, l’automobile si diresse verso l’uscita del Mustang e in pochi secondi uscì dal campo visivo del guardaspalle di Joe Conforte.
“Oscarito, dove mi stai portando?”, chiese Margarita.
Senza rispondere alla donna, “Ringo” si stava dirigendo verso la McLean road in direzione Reno.
Una puntatina all’Harrah’s Casino, ecco quello che ci voleva, quella notte”, si disse il pugile.
Da alcuni mesi Oscarito e Margarita erano ufficialmente marito e moglie per le leggi del Nevada. Era stata Sally a organizzare il matrimonio, per garantire una residenza americana al suo protetto. L’argentino, che aveva già moglie e tre figli a Buenos Aires, aveva però accettato di buon grado. Ma pur di rilanciare la sua carriera, “Ringo” era disposto a questo e altro. Senza contare che Cheryl Anne Rebideaux, che in passato era stata per un breve periodo anche l’amante di Bill Bryman, era una ventiquattrenne di una bellezza mozzafiato.
“Margarita, serve un po’ di baldoria, non credi?”, disse “Ringo”, che ora sembrava aver riacquistato il suo solito buon umore, “Sei o no la mia mogliettina, dopotutto? Sì, baldoria, come quella sera al Madison, contro Smokin’ Joe.”
Al volante della sua Mustang, sul volto del pugile comparve un’espressione di compiacimento.
“Che nottata di pugni, con Joe Frazier!”, continuò, “Eh..fu dura, per lui, quella volta”.
I ricordi del pugile andarono al match di quasi dieci anni prima, disputato al Madison Square Garden di New York il 21 settembre 1966. Fino a quel momento Frazier aveva disputato undici incontri da professionista, tutti vinti per KO, e uno solo dei suoi avversari era riuscito ad arrivare fino alla quinta ripresa. Nel corso del secondo round Oscarito riuscì ad atterrare per due volte il futuro campione del mondo, ma venne poi sconfitto ai punti, con una decisione contestata. Vi fu anche un secondo incontro, nel dicembre di due anni dopo, e questa volta c’era in palio il titolo mondiale dei pesi massimi. A Philadelphia fu un match durissimo, nel quale i due pugili non si risparmiarono e che si concluse nuovamente con la vittoria di Frazier ai punti, per decisione unanime.
La Chevrolet Monte Carlo nel frattempo sfrecciava verso Reno.
“Sai, Margarita”, disse il pugile, “Frazier se l’era vista brutta, e non ti nego che pensai di aver vinto, quella sera. Lui era il più pericoloso picchiatore in circolazione, ma alla fine del match me lo trovai nello spogliatoio del Madison a congratularsi col sottoscritto.”
Margarita ascoltava a bocca aperta le parole di Oscarito rimanendo incantata come una bambina. Poteva ascoltarlo per ore, ed era un affetto sincero quello che provava nei confronti di quel focoso argentino dallo sguardo ammaliatore.
Continuando a pigiare sull’acceleratore, “Ringo” sembrava ora aver preso gusto nel ricordare i suoi trascorsi sul ring.
“Vedi, Marga”, disse, “con il grande Alì era stata tutta un’altra storia, invece. Quello sbruffone mi aveva provocato, come al suo solito, e se non mi fermavano l’avrei preso a pugni già durante le operazioni di peso. Eppure, finito l’incontro, anche il grande Alì mostrò grande rispetto, per il sottoscritto, e nella conferenza dopo il match disse che ero stato l’avversario che lo aveva messo più in difficoltà. Sto parlando di Mohammad Alì, Marga, il re dei re”.
Il 7 dicembre 1970, Oscarito incontrò Muhammad Alì al Madison Square Garden di New York, e quell’ incontro, sebbene si risolse in una sconfitta, rappresentò il culmine della fama, per “Ringo”. Il match fu però preceduto da una burrascosa conferenza stampa improvvisata durante le operazioni di peso, nel corso della quale i due fecero roboanti dichiarazioni di vittoria, si minacciarono a vicenda e infine si insultarono davanti a tutti.
Il match mantenne tutte le sue promesse: “Ringo” riuscì spesso a mettere in grande difficoltà il famoso avversario, impegnandolo come poche volte in passato, ma venne fermato dall’arbitro alla quindicesima ripresa, dopo essere andato al tappeto per la terza volta in quel round. Nonostante la sconfitta, al suo rientro a Buenos Aires “Ringo” fu portato in trionfo, un po’ come capitò al suo connazionale Firpo mezzo secolo prima, dopo il suo sfortunato match contro Dempsey.
“Puoi comprendere, ora, Marga?”, disse con il volto paonazzo, “Io sono Oscar Natalio “Ringo” Bonavena, madre de dios! Non sono un numero da esibire in un cortile di un ranch, come una qualsiasi attrazione del circo!”
Mentre il pugile continuava a spingere al limite la Chevrolet, nello sguardo di Margarita comparve una certa preoccupazione.
“Promesse, solamente promesse!”, esclamò, “Questo ho ottenuto, qui, in Nevada. Quel Conforte non è stato capace di fare altro. Sally mi vuole bene, lo so, ma fino a quando suo marito non le lascia piena libertà d’azione, non riuscirà mai a trovare niente di interessante per il sottoscritto. E io non posso più aspettare. Rivoglio la mia libertà, e rivoglio il mio contratto: per stracciarlo in mille pezzi!”
Oscar Bonavena aveva disputato l’ultimo incontro di un certo spessore contro Ron Lyle, a Denver, due anni prima. All’inizio del 1976 aveva firmato un contratto con il promoter portoricano Joseph Montano, che a sua volta lo aveva ceduto ai Conforte. Il boss gli aveva promesso un rilancio in grande stile, e si era parlato di un match contro Ken Norton, e addirittura di uno contro Muhammad Alì, da disputarsi in Guatemala. Ma non se ne fece nulla. Poi, era saltata fuori l’amicizia con Sally, che era diventata la sua manager, e tutto si era complicato, per “Ringo”. E la sua spavalderia nell’ostentare di fronte a tutti il suo rapporto particolare con la donna del capo, non migliorava certo la situazione.
“Vedi, Marga”, continuò il pugile, “mi ero lasciato andare, lo ammetto. Avevo messo su qualche chilo di troppo, e mi era passata la voglia di allenarmi seriamente. Ma da un po’, tutto è cambiato. Da quando Sally si sta prendendo cura del sottoscritto, finalmente sento di essere tornato quello di una volta, sento di contare, per qualcuno. Nella boxe, quando sei avanti con gli anni diventi invisibile, non ti considera più nessuno.”
Margarita ascoltava Oscarito annuendo. Era stata Sally a convincerla a sposarlo, per permettergli di ottenere la residenza americana. Al ranch circolavano molte voci sull’ amicizia particolare che legava il pugile e la moglie del capo. Gli scagnozzi di Joe Conforte sogghignavano ogni volta che vedevano uscire l’anziana donna diretta al vicino posteggio di Lockwood, dove era sistemata la roulotte che aveva acquistato per Oscarito. Sally era dimagrita, appariva più giovane, e perfino i suoi problemi di deambulazione sembravano improvvisamente migliorati. La cosa aveva ovviamente infastidito il boss, che aveva sguinzagliato Billy, Joe Coletti e gli altri tirapiedi per controllare i movimenti di quei due. Qualcuno osò parlare di una relazione, e la cosa compromise la permanenza di “Ringo” a Reno.
“Non mi interessa quello che dicono su di noi, su me e Sally, Marga”, disse Oscarito, “Io e lei ci capiamo, sai? Sì, ci intendiamo. Tutti e due avevamo perso la speranza, e, senza quella non c’è futuro. Sin speranza, ni futuro, chiquita, ricordalo. Io ho parlato con Sally, le ho parlato di questa mia possibilità per giugno, a New York, e lei ha capito, perché mi vuole bene, Marga. So che ne avrebbe parlato al marito per convincerlo a sciogliere il contratto, ma di Joe non mi fido”.
Le cose non andarono come aveva previsto il pugile argentino.
Joe Conforte aveva emesso una condanna nei suoi confronti, una condanna che si rivelò definitiva. Sally fu costretta ad allontanarsi di nascosto per alcuni giorni, scortata da due scagnozzi, mentre Joe lasciò libero Billy Brymer di compiere il suo lavoro, ed entrambi avevano validi motivi per vendicarsi.
Sabato 22 maggio 1976, Reno, Nevada, h. 06,10 a.m.
Nessuno seppe mai i motivi che spinsero “Ringo” a presentarsi al Mustang Ranch a quell’ora del mattino. Forse, dopo una notte di bagordi in qualche night club, il pugile aveva deciso di riprendersi la sua libertà, una volta per tutte.
Si preannunciava una giornata molto calda a Reno, quel sabato.
All’improvviso un colpo da arma da fuoco echeggiò dirompente, squarciando il silenzio che avvolgeva il ranch. La Remington di Billy Brymer aveva appena emesso la sua sentenza, e ora l’uomo attendeva che l’aria diradasse la sottile linea di fumo che fuoriusciva dalla canna. Dal primo piano si aprì una finestra e comparve Joe Conforte, con in mano un sigaro.
Il corpo di Oscar Natalio “Ringo” Bonavena era accasciato a testa in giù, sul ciottolato del viale che conduceva al Mustang Ranch. Un ciottolato verde, di un verde scuro leggermente screziato di giallo. Un colore anonimo, dopotutto.
Racconto tratto da “La Vita Oltre Il Ring” – Quindici racconti di boxe – di Maurizio Fierro, edizioni Alter Ego, collana Scatole Parlanti.