Raccontare un grande sportivo è sempre molto difficile, il rischio di cadere nel cliché e di non rendergli l’onore che merita è sempre dietro l’angolo. In alcuni casi però la necessità di raccontarne lo spessore assomiglia all’istintiva voglia di condivisione che hanno i bambini di fronte ad un’emozione travolgente. Se pure un certo Roger Federer ha dichiarato recentemente che nella sua carriera alcune conversazioni con leggende moderne dello sport come Schumacher, Valentino Rossi e Micheal Jordan lo hanno motivato, ispirato e migliorato, è intuibile che l’incontro con un mito, un campione, non è cosa da tutti i giorni, bensì un evento riconoscibile che da’ una sensazione di arricchimento spirituale dal senso diverso e raro. Parlando di motorsport, un grande che ha calcato la scena delle corse automobilistiche del nuovo Millennio è Robert Kubica, ripreso dalle cronache dei quotidiani nello scorso Luglio per il suo ritorno in Formula 1 nel test con la Renault R.S.17 sul circuito dell’Hungaroring dopo il GP di Ungheria. Robert è uno dei talenti più illuminati che il motorsport abbia conosciuto: polacco di Cracovia, nel 1984 Kubica è nato per guidare qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse motorizzata o meno, in pista o in strada, reale o virtuale. Dategli un volante in mano e al resto ci pensa lui. Non gli interessa stare al centro dei riflettori o del gossip, i social-network non esistono: la ricerca del limite è l’unica cosa che conta. La sua scintillante carriera di pilota professionista rischiò una fatale interruzione nel 2011 nel Rally di Andora, quando Robert uscì di strada rischiando prima di perdere la vita, poi di perdere il braccio destro.
Quel che rimaneva dell’auto di Kubica in Andora nel 2011
Di lì iniziò un periodo di lenta, buia e malinconica risalita per il polacco, che però non spinse mai “OFF” sull’interruttore della sua vocazione. Certo significa molto essere rimasto in vita e tutto intero, ma non basta per sfamare un’ambizione e una competitività innata: l’obiettivo è ritornare lì in alto, in Formula 1. Nel frattempo c’è da guidare qualcosa e non potendo montare su una macchina, “la macchina” se la monta nella sua stanza; un sedile, un volante e uno schermo e pronti via a gareggiare su ogni simulatore. Playstation, computer o pista non è importante, basta avere una strada-traiettorie-staccate ed è di nuovo vita. Parallelamente inizia ad approfondire l’universo Rally, il suo hobby preferito nel periodo della Formula 1, disciplina motoristica in cui potrebbero esserci più possibilità per un ritorno alle corse viste le velocità meno elevate e le auto più “facili” da portare che in pista.
Personalmente ebbi la fortuna di conoscerlo in una calda e limpida mattina autunnale di 5 anni fa. L’ora era quella della colazione, il luogo l’hotel Rosetta di San Martino di Castrozza di fronte alle meravigliose Pale. Il rally si era concluso la sera prima e quindi piloti, navigatori, ed appassionati erano sparsi nei vari bar e negozi del paese in attesa di tornare a casa dopo le gioie o le amarezze della gara. Avevo vinto nella mia categoria mentre Robert era uscito di strada con la sua Subaru Impreza WRC e poco prima di finire il cappuccino sentii una voce alle mie spalle che con aria stupita si rivolse a me: “Hey ciao, complimenti eh!” in un italiano dall’accento tipicamente polacco. Era Robert che aveva finito la sua brioche e stava per andarsene con la famiglia. La reazione istantanea tra me e me fu: “Come?! Robert Kubica mi sta facendo i complimenti? In che universo siamo?”. Ringraziandolo ovviamente per l’eccesso di bontà nei miei confronti, lo invitai a sedersi per un thè freddo. Provai ad insistere per un più autoctono vino con bollicine ma non ci fu verso (ah, il professionismo!). In quel momento mi resi conto che dietro al personaggio pubblico Robert Kubica c’è un animale da corse automobilistiche con un genio tutto suo.
Giacomo Cunial nella sua Citroen C2 R2B
Qualche idealista sostiene che i ricordi più belli vadano lasciati nella loro realtà passata e che i propri eroi debbano rimanere sconosciuti per non essere ridimensionati dal loro lato umano. Quando si parla di Robert Kubica ciò che sorprende però è proprio quell’aspetto: durante la nostra conversazione non percepii il peso di avere di fronte una entità superiore, anzi, ebbi l’impressione di chiacchierare con l’appassionato della porta accanto. Il vecchio Robert si ricordava pure della mia partecipazione alla GT Academy. Questa sua umiltà, riconosciuta unanimemente nell’ambiente, è forse la caratteristica che mi ha stupito maggiormente. Una cosa difficilmente spiegabile invece è la quantità enorme di critiche che Kubica ha ricevuto nella sua partentesi rallystica: correva senza una mano in una specialità estremamente complessa, spesso la velocità era a livello se non superiore agli avversari di categoria (ha vinto il titolo Mondiale WRC-2), da vedere era uno dei più spettacolari e generosi, eppure ad una grande parte del pubblico rallystico – soprattutto italiano – non è mai piaciuto del tutto. Robert in questo mondo ci è entrato prima in punta di piedi poi prepotentemente a suon di prestazioni. E da lì nell’ambiente molti tifosi hanno iniziato a storcere il naso. In qualche maniera è andata come nei paeselli di provincia: un signore decide di trasferircisi, inizia a viverci, ma al di là del tempo che vi trascorre e della disponibilità ad integrarsi, non verrà mai considerato del posto, e nemmeno i suoi figli. Sarà sempre etichettato come il forestiero. E Kubica era il forestiero, per quanta passione e professionalità dimostrasse. Esemplare però è stata l’indifferenza con cui ha evitato qualsiasi tipo di polemica.
Mettendo assieme i pezzi, ecco il senso di incontrare un campione: un arricchimento spirituale che rende consapevoli del fatto che alcuni individui abbiano in natura qualcosa in più, che se sai cogliere riescono a trasmettertene un po’. Nell’insieme era evidente che quello di fronte a me era il talento in persona, un’intelligenza di categoria superiore alimentata da una smisurata passione: non c’era da stupirsi se questo ragazzo cresciuto in Polonia fosse arrivato a suon di tanto piede e poche chiacchiere nella classe regina. Il campionato del Mondo di Formula 1, il brand F1, avrebbe estremo bisogno del ritorno di un personaggio di questo calibro. Renault ci stava pensando seriamente a riportare Kubica nella Serie A dell’automobilismo, ma con l’ingaggio di Carlos Sainz Jr e la conferma scarosanta di Niko Hulkenberg, le possibilità sembrano ridursi.
Robert Kubica ai tempi d’oro, quando portava a scuola Lewis Hamilton
Con buona pace di Jaques Villenueve, ci sono almeno quattro buoni motivi per il ritorno di Robert Kubica. Il primo: il suo equilibrio affiancherebbe compenserebbe il narcisismo di Lewis Hamilton, l’arroganza di Max Verstappen, i sorrisini di Ricciardo e le blue flag di Vettel. Senza dimenticare che ritroverebbe un grande amico qual è Fernando Alonso. Il secondo: Robert rimane un pilota velocissimo e nel contesto della lotta Mercedes-Ferrari-Red Bull e quindi Renault Sport avrebbe una spinta in più per avvicinarsi ai competitor e arricchire la competizione dei costruttori. Il terzo: la proprietà americana, che già sta lavorando nella giusta direzione e gliene va dato atto, avrebbe altro materiale su cui lavorare per ritrovare la passione dei tifosi e riavvicinare il pubblico ai circuiti di tutto il mondiale. Una storia sportiva di questo calibro sarebbe una manna dal cielo per Liberty Media. Il quarto: un ritorno di Robert Kubica ci farebbe dimenticare il debutto dell’Halo.
“Qualche anno fa era un pensiero lontanissimo. Vorrei avere un’altra chance di guidare. […] È bello essere consapevoli di avere ancora questa dote.” Sta in questa frase un altro e forse il più importante motivo per cui il suo ritorno sarebbe bellissimo: la speranza quasi perduta che diventa voglia di riscatto e consapevolezza che il talento non ha una data di scadenza.
Il viaggio di Terruzzi nella psiche tormentata del pilota brasiliano è un'occasione imperdibile per coglierne la disturbata personalità e il suo perenne senso di colpa legato alle ingiustizie sociali del Brasile.