La rabbia e le tre lunghe giornate di guerriglia che infiammarono la città campana dopo la revoca della promozione in Serie B nella stagione 1968\69.
«La Giunta municipale […] invita la cittadinanza a manifestare con tutti i mezzi consentiti lo sdegno e la protesta più viva verso il grave e farsesco provvedimento di cui chiede l’annullamento». L’8 Settembre 1969, in una delibera firmata dal primo cittadino di Caserta, emerse l’enorme rammarico di un’intera provincia che si vide privata di un traguardo storico, raggiunto con immane sforzo. Mentre i figli di Caserta piangono lacrime amare, i bar in quel lunedì sono pieni di gente già dalle prime ore della mattinata. Si discute animatamente, tra urla e grida, sino alle 09.30, orario in cui il giornale radio comunicherà le sorti della Casertana. Un silenzio tombale accompagna il cigolio meccanico della radio mentre viene sintonizzata sulla giusta frequenza, poi la comunicazione. La Casertana, per via dell’illecito commesso in occasione della sfida casalinga contro il Trapani, subirà una penalizzazione di -6 punti: ciò le costerà la promozione raggiunta sul campo, che verrà assegnata al Taranto, distante solo due lunghezze, divenuto automaticamente primo in classifica. Sarà l’inizio di tre giorni di tumulti e guerriglie.
Quello che accadde a Caserta nell’estate del 1969 è difficilmente spiegabile oggi. Il Paese viveva importanti cambiamenti sul piano culturale, i giovani mostravano nuova verve, una nuova e più pragmatica coscienza di classe si stava sviluppando ed il vento della ribellione iniziava a soffiare sino alla maestosa Reggia: forse fu anche questo fattore, insieme ad altri, a permettere lo sviluppo di un simile evento. Forse, perché sarebbe del tutto comprensibile anche solo credere che la motivazione provenga esclusivamente dal calcio, definito in sede giudiziaria dall’avvocato che seguì il caso ‘‘un fenomeno che in quell’Italia stava assumendo un’importanza assolutamente esagerata”. Per molti fu proprio così, per altri meno. Probabile però che quando la passione per il calcio si tramuta in appartenenza, diventi automaticamente una risposta, una coscienza comune, capace di raccontare sulle culture e sulle identità più di quanto riescano a fare antropologi o sociologi.
Il campionato di serie C 1968\69 non fu affatto facile. Vi erano compagini di caratura indubbiamente superiore, e diverse squadre che avrebbero meritato la promozione diretta, l’unico “ascensore” disponibile data l’assenza della lotteria dei play-off. Tra queste il Lecce, la Salernitana, l’Avellino, il Pescara, lo stesso Taranto e persino la gloriosa Internapoli. Per la Casertana il campionato iniziò benissimo. Lo stadio Pinto di Caserta era un fortino dove furono pochissime le squadre che riuscirono nell’impresa di racimolare qualche punto: tra queste vi fu il Taranto. Contro i Pugliesi fu una lotta dura e maschia sino alla fine, ovvero il 22 Giugno quando la Casertana si impose in casa contro il Messina, coronando il sogno serie B per la prima volta nella sua storia, davanti a 15.000 spettatori, l’equivalente di un quarto della popolazione di Caserta.
Quello che accadde in città fu qualcosa di magico, di simile tuttavia alle fantastiche espressioni di gioia e folklore che caratterizzano tutt’ora i contesti provinciali nel raggiungimento di un simile obiettivo: sfortunatamente, durò pochissimo. Un paio di settimane dopo il presidente del Taranto Michele Di Maggioaccusò la Casertana di aver combinato l’incontro vinto 1-0 contro il Trapani il 18 Maggio alla trentatreesima giornata. Fu un fulmine a ciel sereno. I primi giocatori ad essere accusati furono il casertano Renzo Selmo ed il trapanese Renato De Togni, resosi protagonista in quella partita di un cruciale errore difensivo.
La partita contro i siciliani si risolse a circa sei minuti dalla fine, con una rocambolesca azione. Attacco finale dei granata ai quali venne negato il vantaggio solo dal miracoloso salvataggio del rossoblù Di Maio sulla linea, contropiede dei padroni di casa e gol: una vittoria decisiva agli sgoccioli della partita e del torneo. Selmo rigettò immediatamente le accuse, De Togni invece in un primo momento confessò di essere stato corrotto, per poi un mese dopo ritrattare scrivendo un’accurata lettera di smentite che il giudice, tuttavia, non considererà veritiera. Alla fine ad essere condannati furono in tre: oltre ai due calciatori vi fu anche il presidente del Taranto, accusato a sua volta di aver elargito due milioni e mezzo di lire a De Togni per sollecitare l’iniziale confessione. Un intreccio mai definitivamente sciolto e che costò alla Casertana la serie cadetta.
Già la sera precedente a quel drammatico lunedì 8 settembre tirava una brutta aria nella città campana. Dal nord della città – dove vi è la magnifica Reggia – si udì il rombare di camionette e autocarri carichi di agenti di pubblica sicurezza diretti verso centro: ciò era sufficiente per lasciar presagire qualcosa di negativo. La conferma che giunse la mattina seguente scatenò il completo putiferio. Già dalle ore 10.00 iniziarono a radunarsi per le vie della città numerosi tifosi. Le iniziali lacrime di disperazione ed incredulità ci misero poco a tramutarsi in rabbia e rancore. Da Foggia, Napoli e Roma sopraggiunsero ulteriori camionette del reparto celere: si temevano violente reazioni, giustificate dal temerario comunicato della giunta municipale che invitava alla protesta, ma nessuno ne poté immaginarne la reale portata.
I tifosi invasero via Cesare Battisti, dove iniziarono i primi scontri con la celere. Vennero date alle fiamme auto, edicole e cartelloni pubblicitari. L’odore acre e pungente dei primi lacrimogeni sparati sembrò attenuare inizialmente i bollenti spiriti, ma non fu così. Gli scontri si spostarono presto nella zona della stazione ferroviaria, che venne letteralmente presa d’assalto con sassaiole e molotov confezionate ”alla buona”: venne addirittura incendiato un treno merci, bloccando la circolazione ferroviaria per diverse ore in gran parte di Campania, Lazio e Calabria. Il giornalista casertano Francesco Tontoli racconta un particolare aneddoto che vedeva, alle ore 13.00 di ognuno dei tre giorni di guerriglia, i manifestanti placare le proprie ire e pranzare, così come le forze dell’ordine, per poi tornare prontamente all’assalto e allo scontro nel pomeriggio.
Successe esattamente questo verso le 16.00 di quel primo giorno, quando i cittadini ed i tifosi furiosi bloccarono il casello autostradale, facendo scaturire un massiccio intervento delle forze dell’ordine che vennero a loro volta fatte oggetto di una fitta sassaiola. I feriti furono moltissimi. La situazione non migliorò nemmeno il giorno successivo, quando ad essere presi di mira furono gli edifici pubblici, come nel caso del Provveditorato agli studi, pesantemente danneggiato. Tutto era ormai fuori controllo: persino Gianni Rivera cercò di calmare le acque con un breve messaggio, ricordando che “il nostro è solo un gioco’’, ma sembrò non sortire il minimo effetto. Il terzo ed ultimo giorno le attività commerciali rimasero ancora chiuse per timore di subire danni o saccheggi, mentre i generi alimentari iniziarono a scarseggiare.
Il sindaco, pentito di aver gettato benzina sul fuoco, pregò i rivoltosi di fermarsi. Intanto a Caserta iniziarono a giungere i primi corrispondenti dei più rilevanti giornali dalla penisola e persino dall’estero, per quella che già allora era definita come “la rivolta del pallone’’: il bilancio contò 99 persone tra processati e fermati, e molti di loro furono poi condotti nelle carceri di Poggioreale a scontare la loro pena. A questo punto la situazione iniziò finalmente a calmarsi. I manifestanti fecero un passo indietro, rincuorati dal presidente della Casertana, il cui ascendente sui propri tifosi risultò maggiore di quello del sindaco sui propri cittadini. I negozi tornarono ad aprire, il presidio di polizia si allontanò. Complice anche l’inizio del nuovo campionato di C, la città tornò alla normalità e la Casertana riprese a calcare il manto erboso del Pinto.
L’inchiesta si concluderà anni dopo con la squalifica a vita di Selmo e De Togni da parte della commissione. Lo stesso Selmo che, quel lunedì mattina di settembre, alla comunicazione della penalizzazione si sentirà il principale responsabile e tenterà di gettarsi dalla finestra della sede sociale, essendo prontamente bloccato. Verrà il giorno successivo condotto in un ricovero psichiatrico, dal quale però uscì prestissimo; concluse quindi la sua carriera in Canada, dove ebbe la possibilità di continuare a giocare. De Togni, invece, terminò la sua storia col calcio proprio con questo episodio.
Gli anni sessanta, specie nella loro conclusione, alimentarono un sintomatico sorpasso di quelle timorose attitudini prettamente democristiane, modificando radicalmente il modus operandi politico e sociale delle nuove generazioni che, quando troppo distanti da una coscienza prettamente politica, riversarono la ribellione in altri spazi e contesti. Il fenomeno ultras nascerà pressoché seguendo questo iter. La rivolta di Caserta, seppur estranea al panorama politico, anticiperà sul piano antropologico altri eventi di simile portata ma di differente matrice, come nel caso dei moti di Reggio Calabria del 1970, quando l’intera città si ribellerà – autonomamente prima e sotto l’egida dell’estrema destra dopo – contro l’assegnazione di Catanzaro a capoluogo di regione.
I tifosi della Casertana si riversarono nuovamente per strada l’anno successivo. Questa volta non per protestare, ma per festeggiare un’attesissima promozione in serie B. Un traguardo sudato, meritato, che scrollò di dosso il fantasma penalizzazione coronando un sogno che rischiava di trasformarsi in incubo: fu la prima volta per i campani nella seconda serie nazionale. I rossoblù, tuttavia, retrocedettero nuovamente l’anno successivo, ma non fu la loro ultima apparizione nei cadetti. Nella stagione 91\92 la Casertana giocò nuovamente il torneo chiudendo quartultima a pari punti proprio con il Taranto. Lo spareggio per la serie C, giocato al del Duca di Ascoli, si chiuse dopo i tempi supplementari con il risultato di 2-1 per il Taranto, che tornò ancora una volta a far soffrire i falchetti, dimostrando che alla fine il calcio, come la storia, è ciclico.