Calcio
20 Marzo 2023

La Lazio ha governato un derby elettrico

E lo ha vinto con merito.

Chi lo avrebbe mai detto. La Lazio di Sarri capace di governare un derby elettrico, quasi esclusivamente basato sulle provocazioni, sulle spinte i gialli i falli e i rossi – decisivo quello di Ibanez (ormai idolo della Nord, che gli ha dedicato più di un coro) nell’indirizzare una partita che sembrava pendere dalla parte della Lazio anche in undici contro undici, per atteggiamento offensivo e predominio del campo. In questo senso l’assenza di Mou in panchina hai voglia se si è fatta sentire. In partite come questa, avere o non avere il demiurgo del caos, il sovrano dell’entropia, cambia davvero tutto. Anche perché a Roma ieri c’era un’atmosfera strana. Si avvertiva quel silenzio che precede il rumore sordo della guerriglia urbana, si sentiva nell’aria l’odore acre dei fumogeni e l’impazienza di una città pronta ad implodere.

C’era, per dirla altrimenti, un vero clima derby.

Sarri, allenatore di campo prima che di psiche, ha dimostrato di essere cresciuto anche sotto questo aspetto. Ha scansato con rispetto il paragone fattogli a DAZN con Maestrelli (uno dei suoi riferimenti in panchina), dichiarando con umiltà la sola volontà di entrare nel cuore del popolo laziale. Che piano piano sta imparando a conoscerlo, comprenderlo ed amarlo. Anche perché Sarri, burbero quanto si vuole, sa come modellare una squadra a suo piacimento. La Lazio ieri non ha mai perso i nervi. Ha giocato la sua partita consapevole di avere più qualità a centrocampo e sugli esterni, con un Zaccagni (autore del gol) indemoniato dalla parte di Mancini e Zalewski (incapaci di frenarne le sgasate).



Comunque, di tattica e tecnica è bene parlare fino a un certo punto. La reale cifra del derby di ieri è stata nelle dichiarazioni post-partita di Romagnoli e Luis Alberto, quasi a rispondere a quelle di Mourinho e Pellegrini di qualche ora prima. Noi lo avevamo detto: la vittoria in Conference League della Roma – con annesso Zaniolo capo-ultrà a intonare cori di sberleffo proprio su Zaccagni: come cambiano le cose in poco tempo – aveva riacceso quasi di rimbalzo una rivalità certo presente ma assopita negli ultimi anni. Certo: il derby di ieri, al pari di quello di Yanga Mbiwa (2015) e di Lulic (2013), valeva l’Europa e questo ha senz’altro aggiunto pepe ad una partita già di per sé carica di significati simbolici.



Tornando al calcio giocato (ammesso che possa essere scisso da quello vissuto), mancano ancora 12 partite alla fine. Ma il discorso ora vale più per i giallorossi – nella rincorsa ai cugini – che per i biancocelesti. La Lazio avrà infatti una sola partita a settimana da qui alla fine, un dato non indifferente come ricordato da Sarri nel post-partita contro il Bologna – quando aveva sottolineato la necessità di preservare i suoi ragazzi in Conference in vista del derby. Può darsi che quella scelta sia stata provinciale: ma può darsi anche, al contempo, che Sarri si sia reso conto – al di là dell’importanza del derby in questa città – di come il prestigio europeo non possa prescindere dalla costruzione di un progetto credibile e ipotizzabile solo attraverso gli introiti della Champions.

La Lazio, consapevole dell’importanza della partita, l’ha onorata dal 1’ al 99’ giocando in modo maturo. Senza mai perdere le distanze tra i reparti, la testa sulla partita, la cattiveria e la qualità necessarie a battere una squadra capace di arrivare ai quarti di una competizione europea per il terzo anno consecutivo – nel 2018, poi, era addirittura arrivata in semifinale di Champions.

Alla Roma di Mourinho oggi non manca la fame di arrivare in fondo ad una competizione, manca la qualità per affrontarne due insieme allo stesso livello – ci ricorda qualcosa. Nonostante l’ampiezza della rosa e le soluzioni a disposizione del portoghese siano maggiori rispetto a quelle che ha Sarri alla Lazio, nell’undici titolare la Roma – ad avviso di chi scrive – non è affatto superiore ai biancocelesti. Soprattutto a centrocampo, dove Milinkovic e Luis Alberto, pur in una stagione complicata per entrambi da diversi punti di vista, offrono una qualità di palleggio, intensità e intelligenza tattica rari – forse unici in Serie A.

È per questo motivo, ma non solo, che ci è apparsa poco comprensibile la scelta di cambiare Paulo Dybala – certo impalpabile fino a quel momento – a fine primo tempo. In una partita così bloccata, nervosa, indecifrabile, avere o non avere quel mancino in campo cambia tutto. Mourinho ha deciso di tenere in campo Pellegrini – anche ieri, come da troppo tempo a questa parte, non pervenuto – inserendo al posto dell’argentino Diego Llorente. Si è difeso, ha preso gol, e ha inserito El Shaarawy sul finale proprio al posto dell’ex Leeds.

Ma al di là di un paio di circostanze – compreso il gol del pari annullato per fuorigioco, subito dopo l’1-0 di Zaccagni – la Roma non è mai stata realmente pericolosa. La notizia più bella per i giallorossi – che hanno perso anche Cristante per espulsione nel finale, con Mancini ammonito e squalificato per la prossima – è senza dubbio il supporto della Curva Sud, che ha cantato d’amore per tutti e 99 i minuti. Soprattutto quando, a 6’ dalla fine, le speranze di rimonta erano esigue. I tifosi della Roma hanno così risposto ad uno stadio colorato di bandiere biancocelesti, con la Curva Nord che ha addirittura citato Shakespeare (Enrico V, discorso di San Crispino) ad inizio gara con una sceno- e coreografia spettacolare. Quasi una profezia sull’esito della partita.

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