Calcio
15 Febbraio 2018

Östersunds FK, nel segno delle Foxes

La favola del calcio svedese è pronta a sfidare l'Arsenal.

Volendo a tutti i costi scandagliare la Scandinavia alla ricerca di una favola simil-Leicester in grado di reggere il paragone con quella delle Foxes, la prima destinazione che salterebbe agli occhi sarebbe Norrköping: è ancora fresco il ricordo del titolo vinto dall’IFK nel 2015, quando in sella al club sedeva l’attuale ct gialloblù Janne Andersson e in attacco Emir Kujovic segnava a ripetizione. Né Malmö, né tantomeno AIK: due anni fa sul trono d’Allsvenskan c’erano loro, dopo una stagione vissuta ai massimi livelli e portata a casa contro gli iniziali pronostici (i bookies pagavano 56 volte un’eventuale vittoria del Peking). A questo punto il collegamento con Leicester è lampante, poggia le sue fondamenta sul comune destino di underdogs ed è avvalorato dall’effetto sorpresa.

 

Non fermandosi tuttavia al primo paragone, vien fuori che quest’anno a Stoccolma e dintorni è stato partorito un remake ancora più prossimo all’ex squadra di Claudio Ranieri: trattasi dell’Östersunds FK, che non ha ancora compiuto nulla di eclatante se non guadagnarsi le luci della ribalta per la favola che sta scrivendo partido a partido. Non ha vinto il campionato, che per la ventesima volta di fila è andato al Malmö FF, né la Coppa di Svezia che verrà assegnata come di consueto in primavera. La truppa allenata dall’inglese Graham Potter non ha neppure una storia illustre cui tener testa, visto che l’Östersunds Fotbollsklubb è ufficialmente nato il 13 ottobre 1996 dalla fusione di tre società, decise a dotare l’omonima città di una squadra di calcio maggiormente attrezzata per competere a livelli accettabili. Contando sull’appoggio di Lars Lagerbäck e sui nuovi colori sociali ispirati al Milan, era nato l’OFK: un’onesta squadretta avvezza alle categorie minori, perché fino al 2012 non aveva mai neppur assaporato la Superettan (Serie B svedese).

Lo stemma, con i colori sociali, dell'Östersunds FK
Lo stemma, con i colori sociali, dell’Östersunds FK

Di punto in bianco, come nelle migliori favole, ecco un brusco sconvolgimento dell’ordine preesistente: è il gennaio 2011 quando Daniel Kindberg, ex tenente colonnello dell’esercito svedese e dal 2010 alla presidenza dell’Östersund, chiama un tecnico inglese per dare un gioco alla sua rosa. Viene scelto Graham Potter, natio delle West Midlands, laureato in scienze sociali, ex terzino frequentatore della quarta divisione ma con un presenze pure in Premier League: a quel tempo lavorava nelle Università di Hull e Leeds, prestandosi come assistente allenatore della England Universities Squad, la nazionale universitaria inglese. A lui, englishman trapiantato nella freddissima contea dello Jämtland (centro della Svezia, a circa 200 km dal mare, con temperature che a gennaio toccano anche i 20° sotto lo zero), è stato chiesto di fornire compattezza a un melting-pot eterogeneo: le origini siriane del portiere Aly Keita, il sangue greco che scorre nelle vene di Sotirios Papagiannopoulos, il ghanese Mensiro, il nigeriano Gero, una rappresentanza inglese giusto per garantire a Potter degli adeguati traduttori (i centrocampisti Curtis Edwards e Jamie Hopcutt). Tutta materia prima che necessitava di un demiurgo.

 

Dal 2011, ecco dunque la scalata: in due anni è stata centrata per la prima volta la Superettan (Serie B), poi alla terza stagione ecco l’Allsvenskan, apice di un percorso costruito dalla lungimiranza dirigenziale col forte sostegno economico da parte di Kindberg. Qualche colpo particolarmente riuscito (il ghanese David Accam, il gambiano Barrow) aveva agevolato il processo, che per stessa ammissione del presidente sarebbe finalizzato a portare un piccolo club dell’entroterra svedese in Champions League: lo è tuttora. Al termine del primo anno tra i grandi, in prima divisione, c’erano diversi aspetti da vantare: ottavo posto, attacco a segno contro tutte le rivali tra andata e trasferta (eccezion fatta per  l’AIK), Potter nominato allenatore dell’anno, elogi che cadevano sul suolo di Östersund come l’abbondante neve d’inverno. Il maggior successo, però, era la Svenska Cupen vinta il 13 aprile 2017: 4-1 in finale contro il quotato Norrköping, in uno scontro diretto tra i due Leicester. Pareva il classico exploit irripetibile, ma con la vittoria della coppa nazionale era arrivata anche la possibilità di accedere ai preliminari d’Europa League. Ordunque, suvvia, quante fiches avreste scommesso su una squadretta che per la prima volta accedeva al tavolo delle grandi?

Östersunds
L’allenatore dell’Östersunds, Graham Potter

E invece no: perché al gran banchetto i rossoneri non hanno sfigurato. Se è vero che si lavora meglio senza pressioni, dal suo laboratorio, l’orologiaio Graham Potter ha creato un meccanismo eterogeneo che quando viene assemblato dà il meglio di sé. La sorte s’è messa di mezzo accoppiando all’Östersunds FK il Galatasaray, ma non per questo i rossoneri sono partiti battuti. Andata alla Jämtkraft Arena, clima glaciale, 2-0: a segno il siriano Saman Ghoddos (stella della squadra, siriano, fantasista con un passato da centralinista a proporre abbonamenti telefonici) e nel recupero l’inglese Jamie Hopcutt, che di Vardy non ha solo il nome ma conserva pure una certa rabbia agonistica in zona gol. Ritorno a Istanbul, Türk Telekom Arena, 1-1: per gli svedesi il gol è stato realizzato da Brwa Nouri su rigore. Nouri è il capitano della squadra, vanta un poco lodevole passato fatto di spaccio di stupefacenti e piccoli furti: cosa più importante, s’è preso la briga di calciare un rigore davanti a Muslera, in uno stadio pieno di turchi, non facendo mistero delle origini curde per le quali era stato preso di mira con insulti di vario genere nel pre partita. Ad alcuni ricorda un po’ Danny Simpson, terzino titolare del Leicester nonché personaggio stravagante e dalla testa matta (risse, patenti ritirate, servizi sociali e il tentativo di strangolare la sua ragazza).

 

Estendendo il discorso, la favola OFK è un monumentale e curioso contenitore di storie: Bobo Sollander è il nipote di nonno Stig, bronzo nello sci a Cortina d’Ampezzo 1956, “Alhaji” Gero  giocava per strada in Nigeria senza scarpe, Fouad Bachirou è uscito dal vivaio del PSG ma s’è perso per strada, Sotirios Papagiannopoulos è stato sedotto e frettolosamente abbandonato dal PAOK. Bachirou ha deciso l’andata del turno preliminare successivo all’impresa contro il Galatasaray, ossia quello che contrapponeva all’OFK i lussemburghesi del Fola Esch: superato in scioltezza l’ostacolo con due vittorie, l’ultima fatica (erculea) prima di festeggiare l’approdo in Europa League si chiamava PAOK. Proprio l’ex club di Papagiannopoulos, del quale la stampa greca non mancava di sottolineare l’inadeguatezza al calcio ellenico. E infatti l’andata al Toumba gli dava ragione, visto che il 3-1 confezionato da Prijovic e soci lasciava ben poche speranze agli svedesi.

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La gioia incredula dei giocatori dell’Östersunds

Dalla sua, però, l’Östersunds FK aveva tutta la fame accumulata, mischiata a quella voglia d’emergere che rischia di tramutarsi in mortifere tossine se non controllata a dovere. Oltre che un ritorno ancora da giocare: 24 agosto, Jämtkraft Arena, 70’ di calma poi doppietta di Saman Ghoddos a scacciare fantasmi e PAOK. L’incredulità aveva ormai preso il sopravvento, “The Swedish football miracle” si stava materializzando in tutta la sua possanza. E non è finita qui: sorteggiati i gironi, raggruppamento J con Athletic Bilbao, Hertha Berlino e Zorya. Ancora una volta i rossoneri erano dati per vittima sacrificale, ancora una volta hanno preso i pronostici e li hanno accartocciati manco fossero carta straccia. Primi nel girone, a pari punti (11) coi baschi. Pare quasi che Östersund, 50mila abitanti raccolti tra immense foreste di conifere, si sia abituata all’idea di recitar la parte di Cenerentola. Sono andati oltre il girone, distruggendo anche i pregiudizi circa la concentrazione sulla costa del calcio svedese (sembra un fattore da niente, ma assicuro che è parecchio sentito): “Hanno messo Östersund sulla mappa”, mi diceva un tifoso con le lacrime agli occhi. L’eroicità di questo percorso sta nell’aver segnalato come nella Vinterstaden (“città d’inverno”) ci sia spazio per il pallone oltre che lo sci di fondo. Leicester, se ben ricordate, prima del 2015 era conosciuta per le Tigers nel rugby, non per le Foxes nel calcio.

 

In quanto Vinterstaden, agevolata da una posizione particolarmente propizia per l’accumulo di neve, Östersund deve però pagar dazio ai disagi causati dall’ingente manto bianco: qualche mese fa, era apparso su Facebook un post contenente la dicitura “Träning klockan 11. Vi måste bara sopa bort lite snö först”. “Allenamento spostato alle 11, dobbiamo solo togliere un po’ di neve prima”. E il 23 novembre, quando Graham Potter col senno del poi avrebbe conquistato la matematica certezza dei sedicesimi in Europa League, prima della partita contro il Zorya un’abbondante nevicata aveva coperto la Jämtkraft Arena. Sempre utilizzando il sopracitato social network, il club aveva immediatamente chiamato a raccolta i tifosi affinché fornissero aiuto (“Vi behöver flera som kan skotta snö”, letteralmente “abbiamo bisogno di più persone per spalar via la neve dalle tribune”). Manco a dirlo, l’affluenza con tanto di guanti e pale è stata massima: nessuno, per nessuna ragione al mondo, avrebbe voluto perdersi lo spettacolo. Che non è uno spettacolo culturale, di quelli cui partecipa la squadra sotto iniziativa di Kindberg stesso (nel 2013 fu una rappresentazione teatrale, l’anno dopo furono dipinti quadri venduti per beneficenza, e così via). Anche questa è una delle peculiarità della favola Östersunds FK: lo strettissimo legame col territorio.

Östersunds
Nonostante i soli cinquanta mila abitanti, a Östersund il tifo non manca

Quando Jamie Hopcutt rivelò come il presidente avesse obbligato lui e i compagni a recitare nello Swan Lake, il lago dei Cigni, in molti sorrisero senza sapere che dietro a ciò. I 428 tifosi accorsi alla recita hanno ammirato la messa in scena di un’opera, ma l’intenzione di Kindgren è stata un’altra. L’ha spiegato Potter: “Fa parte dei nostri valori, cerchiamo di fare in modo che i giocatori diventino persone migliori esponendoli ad attività che mai prima d’ora hanno fatto”. La trasposizione sul campo è chiara: “Se tutti capiamo questo, possiamo aiutarci a vicenda. Sul campo non si riesce sempre ad esser sicuri di sé, ma si deve cercare di esserlo pure nei momenti difficili”. Non avere pressioni, vivere la stagione con serenità, stare in squadra e fare gruppo (ricordate quando Ranieri portava i suoi ragazzi in pizzeria per festeggiare i clean sheets ottenuti da Schmeichel?): il segreto dei successi in stile Leicester, ma pure in stile Östersunds, è lo stesso che Potter insegnava agli studenti universitari.  Chiedendo in prestito le parole di Ken Sema, vien fuori: “La felicità è arrivare qui e allenarsi tutti i giorni con il sorriso sulle labbra, anche quando nevica e fa freddo. È divertente giocare a calcio qui, non voglio andarmene”. Nessuno vuole, anche se Bachirou ha recentemente accettato la corte del Malmö FF, Gabriel Somi è volato in America e Bobo Sollander ha annunciato il ritiro. Le stelle restano qui, per ora, per continuare a ravvivare la favola. E’ questa la magia di un pallone che rotola, quella che si manifesta in campo e che i giornali tentano di riprodurre nel modo più fedele possibile. Mai vacillare, #vigerossaldrig!

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