C’è un uomo in Italia che personifica l’araba fenice. C’è un geometra, per l’esattezza, che sgomma precisamente sui colli tra Bologna e Castel Maggiore. Ha cominciato a quattordici anni a sfiammare l’asfalto col kart regalatogli dal padre idraulico, mentre la madre, una sarta che cantava in dialetto, gli cuciva a mano la tuta. E pensare che quell’uomo è cavaliere di gran croce dell’ordine al merito della Repubblica. Si chiama Alex Zanardi. Mica male. Riconoscimento inimmaginabile al suo primo vagito il 23 ottobre 1966, mentre tra via Zamboni e Piazza Maggiore si preparava il Sessantotto su fiumi di lambrusco e vagonate di tortellini al cappone.
Zanardi è un pilota automobilistico di Formula 1 e ha stravinto il campionato CART nelle stagioni 1997 e 1998. Ma la scalata verso l’olimpo dell’impossibile non c’entra nulla con le vittorie: tutto parte dall’abisso.
15 settembre 2001, Lausitzring, eccitante pista del borgo di Schipkau, Stato di Brandeburgo, Germania. Mo Nunn, carismatico ingegnere britannico, sa bene che la scelta di portare Zanardi sulla Reynard Honda HR-1 per la conquista del mondiale CART prima o poi darà i suoi frutti. Sarà questo l’appuntamento tanto agognato? La tensione pervade l’aria, un’incessante pioggia ha impedito le qualifiche, rendendo la gara più imprevedibile che mai.
Il pilota bolognese, soprannominato da ragazzo “il parigino” per la sua guida elegante, da garzone della Senna, parte dalle retrovie, un ventiduesimo posto che solo l’ira di Zeus può ribaltare. Ma non ce n’è bisogno, Zanardi macina sorpassi: uno, due, dieci, ventuno. È primo, clamorosamente, a soli tredici giri dalla fine. Rimonta da gipsoteca dei motori. In Italia sono tutti pronti a spellarsi le mani e a fomentare il dibattito su un suo approdo in Ferrari. Basta l’ultima sosta ai box per confermare i giri da record, afferrando la coppa coi denti.
Il parigino riparte, dopo aver rimosso il limitatore di giri. Accade l’imponderabile: perde il controllo della macchina, è in testacoda. La sua Honda staziona pericolosamente sulla pista, la tragedia è dietro l’angolo. Arrivano ad altissima velocità i piloti Patrick Carpentier e Alex Tagliani. Il primo elude miracolosamente la vettura in panne. Il secondo la trafigge inesorabilmente: l’impatto trancia in due la Honda dal muso, portandosi via le gambe di Zanardi.
Sembra la fine, il mondo motoristico è sotto shock. Il capo dello staff medico del campionato Steve Olvey tenta di fermare l’emorragia del pilota, trasportato in elicottero all’ospedale di Berlino. Il cappellano procede con l’estrema unzione, Zanardi rimane in coma farmacologico con gli arti inferiori amputati. Cosa c’è di peggio? Morire sul più bello, nel giorno di grazia. Dal baratro, Alex occhi di ghiaccio non poteva mai immaginare di vivere il momento Prima dell’arcobaleno, sferrato in versi da un poeta della sua regione, Marino Moretti:
Un tumulo, un fragore, un urlo, un suono
rauco, sfuggente, rotolante, cupo
voce d’antro di selva, di dirupo:
il tuono, il tuono, il tuono.
Il tuono, il lampo, il vento
e un’idea di sereno
tanto cruccio e sgomento
fino all’arcobaleno.
Un mese e mezzo di ricovero. Quindici estenuanti operazioni subite. Massi infernali per la durissima scalata riabilitativa all’orizzonte. Zanardi si sveglia, lascia l’ospedale, il medico Claudio Costa è pronto ad affiancarlo per farlo rinascere fisicamente. Mentalmente non ce n’è bisogno, il parigino sorride con la tenerezza di un bambino a cui hanno regalato il giocattolo più bello del mondo: la vita.
Umberto Eco dava un valido consiglio al popolo italiano qualche lustro fa: «Lascia parlare il tuo cuore, interroga i volti, non ascoltare le lingue». Zanardi, da quel frangente intimamente devastante, comincia a parlare ai cuori della Penisola, alzando l’asticella dei limiti dell’essere umano. Lavora senza sosta, lotta come l’ultimo leone della Savana, ha in testa qualcosa di pazzesco: padroneggiare le protesi e tornare in pista al Lausitzring per completare i restanti tredici giri della gara maledetta. Ci riesce, soltanto due anni dopo l’incidente. È la sua totale rinascita.
Zanardi diventa un moto perpetuo, vuole riscrivere le leggi del rapporto uomo-macchina, è convinto di poter tornare competitivo. Il 28 agosto 2005, a Oschersleben, ricomincia ad assaggiare il nettare della sfida: vince a bordo di una BMW 320si WTCC del team Italy-Spain la seconda gara del Gran Premio di Germania, valida per il Mondiale Turismo. Ma non è sazio: lo stesso anno si aggiudica il Campionato Italiano Superturismo. Il parigino è tornato, più forte di prima.
Vuole vivere nuove avventure, come la conduzione del programma cult di eroismo sportivo: Sfide su RAI 3 nel 2012. Chi meglio di lui sa come diventare un personaggio della mitologia moderna. Stuzzicato dalle imprese narrate dinanzi al cavallo di viale Mazzini, mette nel mirino gli almanacchi dorati del paraciclismo. Sceglie di guidare la handbike nella categoria H4 e poi nella H5. Aveva assaggiato il piacere della competizione col nuovo attrezzo d’epica zanardiana alla maratona di New York nel 2007, arrivando quarto.
Nell’estate del 2012, punta ai Giochi paralimpici di Londra, lottando per le medaglie a cronometro e su strada. L’alloro in handbike lo conquisti solo con braccia d’acciaio, fiato in grado di annichilire l’altura di La Paz, due occhi calmi in grado di bersi l’orizzonte. 5 settembre 2012, sul circuito di Brands Hatch Zanardi vince la sua prima medaglia d’oro nella gara a cronometro, ripetendosi due giorni dopo su strada. Una doppietta da favola, voltandosi verso un passato terrificante.
Ma non è tutto: alle paraolimpiadi di Rio de Janeiro del 2016, il campione si ripete mettendo in gioco potenza, determinazione e cinquanta candeline: pura letteratura.
Oggi il parigino è di nuovo al tappeto. L’imponderabile è tornato a rompere i coglioni. Un nuovo incidente mentre gareggiava in handbike lungo la statale 146 che da Pienza conduce a San Quirico d’Orcia, in provincia di Siena. Alle 16:45 del 19 giugno, Zanardi si è scontrato con un camion che procedeva nella direzione opposta alla sua.
Qualsiasi cosa accadrà, lui ha onorato la dea della sfida. Qualsiasi cosa accadrà, lui è ormai scolpito nel marmo degli invincibili. Qualsiasi cosa accadrà, le future generazioni avranno un modello che realmente dimostra come la disabilità sia solo un dettaglio se nelle vene pompa lo spirito degli spartani. Uno dei suoi cantautori preferiti, Francesco Guccini, soffia ne La locomotiva, «ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore» e aggiunge «gli eroi son tutti giovani e belli». Versi che sembrano cesellati per la tempra di un geometra forse irripetibile, in grado di aprire la strada al nuovo mito: l’uomo senza gambe che corre più del vento, sciogliendo la notte in un sorriso.