Dopo il codice etico, il daspo digitale. La direzione intrapresa dal calcio in Italia da un lato si allontana sempre di più dai tifosi, dall'altro si avvicina notevolmente ai consumatori.
Un enorme paradosso. Solo così si può descrivere l’incredibile dietrofront istituzionale al quale stiamo assistendo in questa calda estate. Se circa un anno fa, con il tramonto della “Tessera del tifoso” (più che uno strumento di sicurezza, un completo disastro) si dava avvio ad una miracolosa inversione positiva del trend che vedeva, da circa un decennio, stadi vuoti e settori ospiti deserti, oggi si rischia di ricadere nella vecchia trappola buonista, che ha portato in breve tempo il calcio italiano ad un calo incessante d’interesse ed appetibilità popolare. Ebbene è troppo tardi per credere che il calcio possa ritornare ad avvicinarsi ai tifosi, anzi risulta ad oggi impossibile, soprattutto dopo gli sviluppi di questa pausa estiva.
Negli ultimi giorni è stata ratificata, infatti, una nuova misura preventiva (imposta alla FIGC ed alla Lega dall’Osservatorio per le manifestazioni sportive) che ha come oggetto l’obbligo per le società di stilare una sorta di diktat etico, codice comportamentale, benevolmente definito “codice di gradimento” ma che realmente ha le sembianze di un vero e proprio Daspo societario. Questo controverso strumento sembra essere ben voluto da alcune società, specie quelle già inginocchiatesi ai parametri televisivi e finanziari, ma che in un paio d’anni ingloberà inevitabilmente l’intero sistema calcio, generando un panorama sportivo ordinato ed artificiale, dove le partite non saranno altro che spettacoli, kermesse sportive squallide per turisti buontemponi.
Un sistema di norme di natura privatistica con il quale ciascuna società (con ampio margine di discrezionalità) decide le proprie regole alle quali subordinare tutti i propri tifosi, che di fatto, in caso di comportamenti ritenuti non conformi al suddetto codice, possono vedersi ritirato (anche per sempre!) il proprio biglietto o l’abbonamento. E questo avviene oltretutto in un Paese in cui gli stadi di proprietà sono l’eccezione, non certo la regola.
Comunicato unitario Ultras d’Italia.
Una misura che lascia troppi spazi vuoti. Ad oggi una società potrà per esempio vietare l’ingresso nel proprio stadio (proprio è ancora un eufemismo in Italia) a quel tifoso che siede sulla balaustra, che riduce la visibilità sventolando una bandiera, che fuma una sigaretta, senza lasciar nemmeno l’opportunità al tifoso in questione di presentare alcun tipo di ricorso. Sono le società a dettare le regole, in contesti privati e soggetti a paradigmi dispotici, quasi fossero spettacoli teatrali o cinematografici. L’intento è chiaramente quello di rendere la partita un ambiente standardizzato e meno eccentrico possibile, grigio, sostanzialmente un evento per turisti e consumatori distaccati da ogni qual tipo di coinvolgimento emotivo (come accade già in altri contesti, vedi Real Madrid o Barcellona).
Uno strumento che, nelle mani delle società, non può far altro che reprimere ancor di più gli spazi di libera espressione dei propri sostenitori, specie i sempre presenti Ultras, che rischiano di incorrere in sanzioni di carattere penale anche solo esprimendo il proprio dissenso nei confronti delle scelte o dell’andamento della propria squadra attraverso qualsiasi forma di contestazione.
L’ago della bilancia pende ancor di più verso chi nel calcio vede occasioni economiche, verso i “presidenti comparsa“, verso quei soggetti che concludono i propri interessi finanziari attraverso incoscienti gestioni societarie e poi scappano via, lasciando storiche piazze sull’orlo del fallimento, senza nemmeno la possibilità di difendere il proprio patrimonio calcistico (questo è stato un annus horribilis in quanto a fallimenti e mancate iscrizioni). Quale bisogno c’era, considerando da anni l’esistenza di misure di prevenzione già di per sé drastiche e limitative, per certi aspetti anche incostituzionali come il Daspo?! Come se non bastasse, ecco una novità che ha permesso definitivamente al nostro senso del ribrezzo di solcare limiti finora inesplorati. Il Daspo digitale.
Cos’è il Daspo digitale? L’ennesima misura repressiva nei confronti dei tifosi di cui non avevamo alcun bisogno. Presentata in esclusiva da Il Corriere dello Sport, garantisce alle società (seguendo le direttive Uefa) di monitorare il comportamento dei propri sostenitori sui social, avvalendosi del lavoro dell’agenzia Supporter Liason Officer che, in casi di particolare rilevanza, procede attraverso sanzioni di carattere anche penale contro i soggetti che si macchiano dell’abominevole colpa di aver lanciato un insulto nei confronti della squadra avversaria o della propria.
Non sappiamo quanto possa esser realistica una tale applicazione di questa normativa, sappiamo però che le società potranno a loro discrezione operare attraverso il ritiro di abbonamenti e divieti d’ingresso negli stadi, esattamente come nel precedente caso del “Codice di comportamento”.
La domanda allora sorge spontanea: non si sta forse andando troppo oltre? Abbiamo già assistito ad episodi del genere dove il calcio – da sempre fucina di mode, tendenze, proteste – viene usato come terreno di prova di misure preventive successivamente applicate nella società comune (Daspo urbano per esempio). Quali margini di libertà ci rimarrebbero se fossimo soggetti a continui controlli e censure anche nella vita reale, più di quanto già accade con apparecchi multimediali, big data, videosorveglianza?!
Tornando al nostro vecchio pallone, per noi non si tratta di puro anacronismo, non è nemmeno la nostalgia del vecchio calcio, ma ancor più semplicemente il desiderio di ricevere una concreta risposta ad una semplice domanda. Il calcio è oramai un terreno esclusivo e privilegiato di tv, sponsor, brand, élite finanziarie e classi sociali elevate, o ci sono ancora margini di manovra per il tifoso medio?
La nostra risposta, per quanto amara, è un secco NO.