Seguire la Non League per esplorare l'anima di un popolo: il racconto di Stefano Faccendini.
Durante gli ultimi Europei “Football is coming home”, cantato dai padroni di casa, risuonava nel resto del continente con l’auspicio che il capitano dei Tre leoni potesse finalmente alzare un trofeo al cielo, dopo oltre sessant’anni dai Mondiali del ’66. In realtà, soltanto il più superficiale dei tifosi inglesi avrebbe inteso il coro con un significato così venale; ad un conoscitore esperto dell’animo inglese, infatti, il ritornello avrebbe evocato la gioia e l’orgoglio per il ritorno del calcio nel suo focolare, nella culla dove è stato partorito oltre 150 anni fa. Non a caso, home e non “house”.
Dalla fondazione nella Freemasons’ Tavern ad oggi, la custodia della cultura del Beautiful Game fa parte del genius loci britannico: un riconoscimento che esula da qualsiasi esterofilia, così come dalla valutazione dei palmares. Di ciò è testimone Stefano Faccendini, che a narrare questa missione si dedica ormai da una vita. Il suo ultimo lavoro, “Life on the terraces – An act of love” (Urbone Publishing, 2022), riempe di istantanee l’immaginario dei calciofili che riconoscono ed ammirano questa missione.
Una voce ed uno sguardo che seguono il solco già tracciato dal racconto della FA Cup 2017/18, guidando il lettore lontano dalle grandi città inglesi, nelle periferie e nei villaggi dove l’essenza del football vive nella passione delle comunità locali, gemme della Non League, i campionati dilettantistici. Nel titolo, la prospettiva innanzitutto: non il campo, ma gli spalti, dove si celebre settimanalmente questa appartenenza; poi la dedica, un gesto d’amore appunto, per il gioco ed una Nazione.
Appassionato di calcio inglese fin da bambino, grazie ai servizi del Guerin Sportivo e le finali delle coppe europee di fine Anni 70′ e 80′ trasmesse in tv, oltre Manica si sarebbe trasferito per lavoro e qui avrebbe coltivato questo amore. Un sentimento rinverdito ogni volta che si trova in cammino per il campo di unasquadra militante alla base della piramide del calcio. A condurlo, non la voracità del Groundhopper mosso dall’obiettivo di collezionare un’altra “x” sulla cartina, bensì la vocazione del viaggiatore alla ricerca dell’evasione. «Se una volta mi svenavo per seguire la Premier League, oggi soltanto in questi campi posso ritrovare il calcio di cui mi sono innamorato da bambino. Senza tutto ciò – ci confessa – non andrei più a vedere le partite».
Un’esperienza spesso solitaria, costituita da volti, parole e storie, in cui i 90′ rappresentano in realtà un aspetto minoritario. La partita è una scusa per rinverdire l’amore verso il Paese e esplorare il suo carattere più autentico, quello di coloro che vivono lontani dalla City e le altre metropoli. Sono tifosi e volontari, che si occupano di tutti gli aspetti del club, dalla biglietteria al bar, dallo shop alla manutenzione del terreno di gioco. «È l’unica cosa che mi fa sentire in pace con il mondo; un tempo dedicato a me stesso, una terapia per le responsabilità del quotidiano».
«Ogni stadio di Non League per me è un piccolo universo dove posso perdermi per ore, osservando le persone, la passione nei piccoli gesti, la cura per i dettagli, qualcosa che si trova soltanto in questo contesto».
Le immagini da Arundel, Lewes, Lancaster, York e così via, raccontano dell’attaccamento ai colori locali ed al rito stesso del football, officiato lontano dalle cattedrali contemporanee sempre più simili a centri commerciali; una cultura che in Italia può trovare testimonianze forse di pari intensità, ma sicuramente differenti. Allo stesso tempo, questi itinerari gettano luce su problemi sociali che difficilmente trovano adeguata risonanza sui mezzi di comunicazione.
Storie sbagliate che trovano speranza nei club, nel loro radicamento e attivismo all’interno della vita di una comunità. Sodalizi che, a volte, hanno visto la luce oltre un secolo fa ed ancora alimentano valori dall’epoca vittoriana. Un funzione sociale riconosciuta dalla Federazione e dalla politica mediante un sostegno concreto, e che vede attori protagonisti i Community Trust, le associazioni di tifosi. Sopratutto durante un periodo drammatico come quello pandemico, queste organizzazioni hanno saputo mettere in atto iniziative a beneficio della comiunità, estendendo il concetto di sostegno ben oltre il seguito della squadra. In un momento tragico per la società inglese, questa rete di volontariato arriva dove le risorse e la miopia delle istituzioni non possono.
«Il calcio è una scusa per esplorare il Paese. Io amo l’Inghilterra, le mie esperienze si arricchiscono degli incontri con le persone del luogo, che mi aiutano a capire il carattere della Nazione. Ho potuto toccare con mano anche problemi, come disagio, delinquenza e criminalità, che restituiscono un senso di disperazione e solitudine, che in Italia non ha eguali».
S.F.
Il racconto, quasi esclusivamente fotografico, immortala banchetti di spillette e match programmes, piatti di steak pie e pinte di lager, campi che hanno vissuti giorni migliori e tribune arrugginite, che si riempiranno però all’irresistibile richiamo della FA Cup. Come anticipato, i veri protagonisti vivono sugli spalti, di cui è restituita l’intimità: sono vecchietti con il flat cap, dallo sguardo pieno delle fatiche di una vita, oppure canuti dirigenti che accolgono gli ospiti indossando il blazer della società.
Uomini della Working class che si godono la meritata pinta nel giorno dell’Altissimo, appoggiati alle barriere che corrono attorno al terreno di gioco, oltre alle quali cercano di sporgersi i bambini in punta di piedi; poco distanti signore che chiacchierano davanti ad una tazza di tè, a bordo campo. Un rito che raccoglie una comunità attorno al terreno di gioco.
Di fronte a queste scene, si cerca di capire dove nasca questo sentimento nell’animo inglese, dove affondino queste radici nella terra di Britannia. Forse semplicemente nel bisogno di un popolo di riconoscersi in tradizioni, che agli occhi stranieri possono sembrare perfino antiquati feticci. La monarchia, la Union Jack, il tè, e non di meno il football, nel suo senso più genuino e ancestrale, un faro simbolico per un’isola per secoli al centro di un impero, oggi trascinata dalla vorticosa corrente della modernità liquida. Un’indicazione preziosa per noi Italiani, che il luogo comune vuole contrapposti agli Inglesi per l’inversa importanza che riserviamo al calcio e alla guerra. Avevamo chiesto al buon Dio di stramaledire loro e la RAF, oggi non possiamo che chiedere di proteggere la Non League e la sua gente.
Per la disponibilità, si ringrazia nuovamente Stefano Faccendini (quandogliscarpinieranoneri.wordpress), a cui appartengono tutte le immagini. Per la bibliografia parziale, si faccia riferimento a “Life on terraces – An act of love” (Urbone Publishing, 2022) e “Sogni e realtà – Un viaggio nella FA Cup e nel cuore del calcio inglese” (Ultra Sport, 2018).
Come un episodio di vergognosa insubordinazione ha oscurato agli occhi della stragrande maggioranza dei media la buona prova dei Blues di Sarri contro il City di Guardiola nella finale di League Cup.