L'addio di Spalletti è da imputare a Spalletti stesso.
Lo sapevano tutti, anche lui. La notizia ufficiale di Antonio Conte all’Inter è di un venerdì mattina di fine maggio, ma del suo arrivo si era certi già da un paio di mesi. L’unico elemento che avrebbe fatto tentennare il tecnico pugliese sarebbe stata la mancata qualificazione dei nerazzurri in Champions League, centrata negli ultimi minuti di un campionato caratterizzato da alti e bassi. Inutile girarci intorno: l’arrivo di Conte significa che l’Inter vuol diventare davvero grande. “L’Inter non sarà più pazza”. Benché si faccia fatica a crederlo, queste sono state le prime parole dell’ex ct della Nazionale. Un cambio di mentalità, dunque. Un pensiero sincero, però, va scritto a chi gli ha consegnato le chiavi della squadra.
Se analizzassimo complessivamente il lavoro di Luciano Spalletti alla guida dell’inter non si potrebbe certamente dire che sia negativo. L’obiettivo stagionale è stato centrato: due anni su due in Coppa dei Campioni – anche a noi, come a Massimo Fini, piace ancora chiamarla così. Giocatori recuperati, acquisti importanti che faranno da base per il futuro che verrà ed un lavoro sulla fase difensiva che da tempo non si vedeva alla Pinetina. Tutto bello, tutto roseo. Eppure la sollevazione dall’incarico del tecnico toscano non sembra aver sorpreso nessuno. La causa del suo esonero non va cercata troppo lontano e non è stata neanche una scelta imposta dall’alto. La vera, unica, motivazione del perché Luciano Spalletti non continuerà ad allenare l’Inter è Spalletti stesso.
Il tecnico di Certaldo non è riuscito a compiere quel salto di qualità che serviva. Se durante il primo anno non era importante il modo in cui si tornava in Europa, quest’anno l’obiettivo non solo era confermarsi ma anche provare a migliorare quanto fatto in precedenza. E qui i conti non tornano. Ad inizio campionato l’Inter era data come la vera antagonista dei campioni d’Italia e solo i folli potevano ritenere plausibile questa considerazione. Ciò che si chiedeva realisticamente era di lottare con il Napoli per conquistare un secondo posto che avrebbe dato fiducia. Risultato: non solo Ancelotti ha dormito più che tranquillo, ma l’Inter ha anche peggiorato i numeri dello scorso anno. Tre punti in meno rispetto alla stagione 2017/2018 e stessa posizione, seppur a pari merito con l’Atalanta.
Da due anni il quarto posto è tornato ad essere ambito in Italia grazie al lavoro di Carlo Tavecchio, uomo che Spalletti deve dunque ringraziare. L’inter partiva da una posizione subordinata, da quella quarta fascia che non prometteva niente di buono e che non ha avuto alcuna pietà. Probabilmente, la partita in casa con il PSV è stata la prima sliding door per Luciano. Da Barcellona non arrivano notizie positive e l’Inter è costretta a vincere. Icardi, altro capitolo da affrontare, pareggia. Al minuto 83, la scelta di tirare fuori un giocatore offensivo come Politano e rinforzare la difesa con un terzino, Vrsaljko. Mossa tattica simile utilizzata in un Inter Juventus di qualche mese prima: quella volta ad uscire fu Icardi per far posto a Santon e tutti sappiamo ciò che accadde. Paura di vincere. Luciano Spalletti in questi due anni ha dimostrato che la mentalità la possiede solamente a parole. Nei momenti decisivi la squadra ha sempre fatto un passo indietro, non ha mai ucciso il suo campionato trascinando una qualificazione in Europa follemente messa in discussione.
Di esempi quest’anno ne abbiamo molti, ad iniziare dalla fallita qualificazione con la Lazio in Coppa Italia. L’Inter è mancata colpevolmente in personalità, sia dei giocatori sia dell’allenatore. Di certo, gli eventi di quest’anno non lo hanno aiutato. Prima di Natale l’arrivo di Marotta, con il quale non si è mai preso da un punto di vista tecnico, faceva capire l’aria che avrebbe tirato. Poi il caso Icardi. Non si può dire che Spalletti abbia messo tutto se stesso per calmare le acque. Anzi, quando possibile ha sempre dato contro al giocatore suo ex capitano che, non dimentichiamolo, lo ha aiutato più di una volta. Lascia qualche dubbio il suo modo di affrontare la questione, non nuova nelle sue gestioni. Coordinare uno spogliatoio non è come allevare le galline del Cioni: mezzo kilo di gran turco tutti i giorni non è sufficiente.
Arriva un momento, specie nel famoso secondo anno che tutti gli imputano, in cui Spalletti non riesce più a gestire situazioni anche apparentemente facili. Vede nemici, reali o inventati. Crea alibi, più o meno plausibili. Alla fine riesce ad ottenere sempre l’obiettivo minimo ma, a volte, questo può non bastare. Nell’epoca in cui vengono esonerati allenatori che vincono senza sosta da cinque anni e ne vengono messi in discussione altri dall’indiscutibile valore, non è una sorpresa vedere Spalletti lontano da Milano. Luciano Spalletti è stata la scelta giusta. Come corretta è stata la valutazione di separarsi. Il calcio è un gioco di squadra, dove tutti valgono uno come da lui sempre ribadito. Si smentisce però, per tutte quelle volte che ha provato a vincere da solo, cercando di trovar ragione in scelte quanto meno discutibili. L’Internazionale deve ringraziare Luciano Spalletti per la dedizione e la professionalità dimostrata. Non era semplice portare a termine la stagione con la consapevolezza di non continuare il lavoro che avrebbe ottenuto. Lo ha fatto, anche con difficoltà personali di fronte alle quali bisogna inchinarsi. Ma, a volte, un rapporto termina da solo. Lo si fa per un bene comune, superiore. L’unica cosa che conta.