No, la domanda non è tecnica, ma teorica. Qualche giorno fa, Romelu Lukaku ha dedicato un proprio Tweet a Fifa, scrivendo:
Let’s be honest fifa just mess with the ratings so we players start complaining about the game and give them more publicity… i ain’t with this sh*t. I know what i do Man shrugging [Siamo onesti; Fifa combina dei pasticci con le valutazioni – dei giocatori – per farci lamentare del gioco e (così) far loro pubblicità].
Alcune considerazioni. Grazie a questo stato, Lukaku compie ciò che denuncia: lamentandosi di Fifa, fa pubblicità al gioco. D’altra parte, passando anche oltre il tautologico, segue un’ulteriore riflessione: cosa può mai importargliene, a Lukaku, del proprio valore a Fifa? Non è forse più importante concentrarsi sulla nuova stagione?
Ammesso e non concesso che Lukaku meritasse una valutazione superiore all’85 – questione tecnica, come si diceva sopra, di cui ci interessa il giusto, cioè poco e niente –, da cosa deriva questo (inquietante e morboso) attaccamento alla propria immagine su un videogioco di calcio?
Già lo scorso anno, Jadon Sancho aveva pubblicato uno stato simile nella forma e identico nella sostanza a quello di Romelu Lukaku, commentando ironicamente il fatto che i creatori del gioco gli avessero messo un terribile 77 come abilità di passaggio. I due casi, che abbiamo preso ad esempio solo per comodità, si accodano ad una lunga serie di lamentele virtuali da parte dei calciatori più celebri del pianeta. Alcune società (qui Tottenham, qui Manchester City, qui Liverpool) hanno ben pensato di sfruttare al meglio questi simpatici siparietti, con giochi e giochini di vario genere.
C’è persino chi, tipo Aguero, ha smesso di essere calciatore iniziando la propria (nuova) vita da Twitch star
D’altra parte lo stesso Lukaku, già lo scorso anno, aveva addirittura taggato PES – il concorrente di Fifa nella simulazione calcistica – chiedendo ai produttori di Konami di «non deluderlo», almeno loro, sui valori virtuali. Prescindendo ancora una volta dal caso specifico, è interessante interrogarsi sul perché di certe rimostranze.
Forse il calcio, un giorno, non si giocherà più realmente, perché l’unica realtà sarà quella virtuale. Ma in quel caso, chi o cosa verrà preso a modello per sviluppare la simulazione calcistica? Da cui la contro-questione: perché Lukaku, Sancho, Aubameyang e una miriade di altri calciatori, hanno così a cuore la loro controfigura virtuale? La questione è innanzitutto economica. Dal 2015 ad oggi, Fifa Ultimate Team ha guadagnato 6 miliardi di dollari e qualcosa ci dice che il ritorno economico, sui calciatori protagonisti delle “Cards”, non sia loro del tutto indifferente.
È troppo tardi (nel 2020, s’intende) per giudicare uno stato/un post social una semplice boutade, un divertissement per persone annoiate. Queste lamentele ci dicono infinitamente di più di ciò che sembrano all’apparenza. Citando Simon Kuper, quando un gioco (in questo caso Fifa) muove milioni di persone, esso cessa di essere un gioco; il vero rischio è che in futuro Fifa possa influire sulla realtà, e non viceversa (come simulazione vorrebbe).
Cosa, quest’ultima, che in realtà sta già accadendo. Basti dare una rapida occhiata all’evoluzione del gioco (del calcio, s’intende), alla sua sempre più scintillante e vuota spettacolarizzazione (tipicamente americana; non a caso EA è un marchio americano), per rendersi conto di come la simulazione digitale possa influenzare il dato reale. Basti guardare alle partnership tra club e videogioco, alla sempre più insistente cavalcata degli eSports a detrimento del calcio (quello vero, però) giovanile, per iniziare a fare i conti con la realtà. Sempre che essa sia ancora tale, e non già digitale.