E forse lo ha capito lo stesso Romelu.
Il mondo corre forte come il vento, diceva Edoardo Bennato. E così la narrazione sportiva, sempre più preda del sensazionalismo nauseante del calciomercato. Le vere vittime siamo noi appassionati, costantemente travolti da un nevrastenico oceano di notizie. Osserviamo il mondo del calcio con affanno, inermi. Siamo attorniati da news dell’ultima ora e clamorosi colpi di scena, tanto frequenti da sembrarci ormai parte integrante del quotidiano mare magnum di siti e giornali sportivi. La sensazione è che oggi tutto sia possibile e che nulla riesca davvero a sorprenderci.
Consideriamo normale, ad esempio, che Mbappe possa rinnovare con il Psg a 4 milioni di euro al mese; che un giocatore-tifoso come Bonucci firmi per un’acerrima rivale e che faccia ritorno soltanto dieci mesi dopo; che Lukaku, venduto per più di 100 milioni dall’Inter al Chelsea, ritorni dopo appena un anno a Milano con la coda tra le gambe.
Il ritorno di BigRom è l’ennesimo capolavoro di Giuseppe Marotta, per distacco il miglior dirigente sportivo del nostro calcio: «Delle due l’una», ha scritto Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport: «o è davvero bravo, il Migliore, o sono troppo scarsi gli altri. Forte di una proprietà debole (nonostante gli sforzi dell’entusiasta e educatissimo Steven Zhang) e in evidenti difficoltà finanziarie, con un bilancio che ulula alla luna e le casse vuote, Marotta ha comunque portato a casa Mkhitaryan strappandolo alla Roma e a Mourinho (avrà gradito?, dubito), il promettente vice Brozovic Asllani e soprattutto si è posto nella splendida condizione di poter rinforzare la squadra con Dybala a zero e addirittura Big Rom Lukaku in prestito oneroso (non meno di 8, 10 milioni)».
A metà di giugno, l’Inter ha già piazzato diversi colpi importanti che, ad oggi, la pongono di diritto come la più seria candidata alla vittoria finale del prossimo anno. Lukaku va a completare un pacchetto offensivo strabiliante, che consente a Simone Inzaghi di poter lottare certamente su più fronti.
Come scrivevamo su queste colonne, un anno fa Lukaku non ha tradito l’Inter. Non è mai stato una bandiera (ammesso che esistano ancora) o un simbolo nerazzurro, ma un leader tecnico a cui la squadra si è aggrappata per rinascere. Più di ogni altra cosa, Lukaku ha dimostrato di non avere una corretta percezione di sé. Ha voluto riscrivere la sua travagliata storia con il Chelsea, ritenendo erroneamente di aver completato il suo percorso di crescita e aver raggiunto uno status da top team. Ha peccato di hybris e ovviamente è stato punito.
La verità, dura e impietosa per tutti, è che il campionato italiano non può più rappresentare un valido metro di paragone. Il suo strapotere fisico ha subito oltre Manica (nuovamente) un ridimensionamento drastico. Lukaku a Londra è sembrato avulso, illanguidito. I suoi occhi, burbanzosi in Italia, sono apparsi vitrei e spenti. È stato fin da subito un peso, uno scoglio insormontabile in un mare blu (il Chelsea) che prima del suo arrivo oscillava con equilibrio armonioso fra difesa e attacco. Ecco perché le parole di Di Canio di gennaio (giunte dopo quell’intervista in cui Lukaku, senza essersi accordato con club e agente, chiedeva scusa ai tifosi dell’Inter) sembrano più attuali che mai.
«Se arrivi lì e pensi di essere il numero uno non hai capito nulla e questa è la sua delusione. Per carattere è sempre stato un panterone moscione e questo lo sapevo. Alle prime difficoltà ha mollato creando un caso eclatante. […]. Se è questo, con il carattere che ha, credo si stiano mangiando le mani per la spesa fatta. A questo punto non serviva poi così tanto».
Paolo di Canio, 3 gennaio 2022
L’anno di Lukaku al Chelsea è stato come un’esperienza all’estero andata male, quando si parte con mille speranze e ci si ritrova a chiamare di notte i genitori perché ci si sente soli e abbandonati a inseguire cose che neanche si vogliono più. Alla fine, BigRom ci fa anche un po’ di tenerezza. In lui ci rivediamo tutti noi, giovani irrequieti incapaci di comprendere la nostra reale dimensione e con la valigia sempre pronta in una stanza. Forse questa sua figuraccia gli sarà servita e Lukaku avrà finalmente capito qual è il suo posto, il suo destino: essere grande tra coloro che non lo sono poi così tanto. Giganteggiare in Serie A, essere un panterone moscione in Premier League. D’altronde lo diceva anche Stirling Moss, “è difficile guidare ai limiti, ma ancora di più è il riconoscerli”.