Nel 2004 il regista Christopher Nolan sta ultimando la pre-produzione di Batman Begins, primo capitolo della sua epica trilogia dedicata al Cavaliere Oscuro e, assecondando la sua nota maniacalità nella preparazione di una pellicola, è fermo nella ricerca di un metodo di combattimento da associare alla sua creatura di celluloide. Le scene di combattimento daranno infatti la cifra e la plasticità necessaria a dare forma e contenuto a questo nuovo Batman la cui crociata, all’inizio della sua carriera di vigilante, rappresenta più uno sfogo psicologico capace di canalizzare la violenza verso uno scopo sovramorale che non una missione etica in sé. Batman non è altro che il feticcio di un uomo la cui vita è andata in frantumi senza mai ricomporsi, i cui frammenti sono tenuti insieme unicamente dalla maschera di un mostro capace di sublimare la rabbia, la frustrazione, il dolore, l’abbandono e la violenza verso una perversa etica che vede nel suo autoannientamento la ragione stessa della sua esistenza.
E poiché il corpo è espressione della mente che lo domina, per Nolan la connessione tra il dolore che cerca una valvola di sfogo e la sua manifestazione è evidente; dunque si rende necessario ripensare l’approccio stesso del cinema di azione alla violenza che nella sua spettacolarizzazione, secondo Nolan, ha perso tutta la sua drammaticità diventando quasi “confortevole” nella sua espressione cinematografica. Se Batman è dominato dalla rabbia e dal dolore allora molto probabilmente affronterà i suoi avversari non come un falco che cala su un obiettivo con fredda lucidità ma come un toro infuriato che non vede altro scopo se non l’annientamento del nemico, un animale che sbuffa e grugnisce in attesa solo che gli venga aperta la porta della gabbia. Nel girovagare tra numerose arti marziali, dal Taekwondoo, alla Muay Thai fino al Karate, Buster Reeves, stuntman della produzione e campione mondiale di Brazilian Jiu-Jitsu, fece a Nolan il nome del KFM o Keysi Fighting Method introducendogli Justo Dieguéz Serrano e Andy Norman, fondatore e co-fondatore di questo innovativo quanto sconosciuto sistema.
Come il Cavaliere Oscuro ha imparato il KFM
Il Keysi è un metodo di combattimento sviluppato da Justo Dieguéz e Andy Norman a Valencia, in Spagna, tra la seconda metà degli anni ’80 e tutto il corso degli anni ’90. A quanto raccontato dai due fondatori, il KFM nasce come prodotto di esperienze vissute in gioventù tra la comunità gitana e minatrice di Valencia e quella dell’Inghilterra operaia ma, ad un occhio più attento, il sistema appare più come il frutto di una intelligente rielaborazione di movimenti, principi, concetti e tecniche del Jeet Kune Do, del Silat indo-malese e dell’Escrima filippino, arti marziali che i due hanno studiato sotto la guida, tra gli altri, di Dan Inosanto in California.
Il concetto base del KFM è la protezione della testa. Questa idea parte dall’evidenza di due semplici osservazioni:
1) la testa è il centro direzionale del corpo umano, se il cervello è fuori uso lo è anche il corpo
2) la testa è il bersaglio maggiormente soggetto ad attacchi durante uno scontro fisico
Sfruttando l’uso a corta distanza che la cadena de mano filippina e il silat fanno dei gomiti e osservando la potenza distruttiva di questi spigoli naturali nella boxe thailandese e nel karate, Dieguéz e Norman hanno elaborato il “marchio di fabbrica” del KFM: il pensador, l’uomo che pensa. Intuizione del KFM è stata infatti quella di lavorare sull’istinto e sulle risposte emozionali più che su una strategia di combattimento a monte; quando si subisce un attacco di qualunque tipo l’istinto porta naturalmente le braccia a coprire la testa. Il pensador agisce nello stesso modo, utilizzando le braccia come protezione e gli spazi tra di esse come “finestre” da cui visualizzare l’ambiente.
Dimostrazioni di KFM in quel di Valencia nei primi anni 2000
Sempre agendo sulle esperienze pregresse, il KFM non dimentica che la variabile timing è fondamentale in un combattimento e che spesso i tempi 1-2 (difesa-risposta) sono troppo lenti, ed è più efficiente adottare un tempo unico di difesa-offesa sullo stesso attacco a cui si risponde. Dunque il pensador, tramite l’uso dei gomiti sulla corta distanza, può al tempo stesso diventare pensataq (attacco) e lavorare sul trapping (intrappolamento) delle braccia dell’avversario. Dunque l’istinto viene modellato affinché la risposta emozionale sia al tempo stesso efficiente. Facendo uso di intervalli di attacco multipli su bersagli ad altezze diverse (femore, diaframma, bicipite, tempie, piastra sternale), il KFM sfrutta la foga di uno scontro controllando ambiente e nemici ed ogni tipo di arma che il corpo ha a disposizione, dalle testate ai morsi fino a sedie e bicchieri.
Essendo un metodo di combattimento close quarter – cioè a distanza corta o cortissima – l’uso dei calci è ridotto al minimo, sia per il rischio di essere afferrati sia per garantire la maggiore stabilità possibile ed evitare di andare a terra. Particolarità del KFM è stata poi l’intuizione di reintrodurre l’allenamento contro più avversari contemporaneamente, a terra, in ginocchio, seduti, bloccati in un angolo, utilizzando come sale di allenamento anche night club con poca luce, scale, pianerottoli, autobus, pub e ogni tipo di ambiente che può essere associato ad una rissa o ad una aggressione per imparare a muoversi tra ostacoli e armi improvvisate.
Gancio destro intercettato con pensador e attacco interno al ginocchio
Justo Dieguéz e Andy Norman hanno sempre sottolineato l’importanza di focalizzare l’attenzione sul singolo obiettivo e sulla dinamica complessiva. La neutralizzazione di un attacco passa attraverso l’inibizione o la distruzione dell’attacco stesso – chiamiamolo atto di attacco – e il successivo, o contemporaneo, annichilimento della fonte dell’attacco. Colpire con una gomitata o un pugno a martello discendente il femore porta il corpo dell’avversario a piegarsi avanti, questo significa che il bersaglio più prossimo e debole sarà quello che, biomeccanicamente, ha subito l’esposizione: nel caso citato, per fare un esempio, la testa. La chiusura del Pensador permette di entrare all’interno della guardia o della tecnica nemica e ridurre il suo spazio e capacità di azione, guadagnando così quell’intervallo di tempo utile a riprendere posizione per affrontare un secondo attacco.
Sequenza di combattimento. Justo entra nella guardia di Andy con il pensador attaccando con gomiti e testa alle costole. Per evitare una ginocchiata scende immediatamente a neutralizzare il femore per poi risalire e colpire il bersaglio scoperto.
Di fronte alla dimostrazione delle capacità del KFM, Nolan si rende conto di aver trovato ciò di cui aveva bisogno. Batman è un toro scatenato che risponde ad un braciere interno alimentato da rabbia e frustrazione e dunque se in uno scontro la sua risposta emozionale è tirare una testata e non un calcio rotato volante, perché no? Questo avrebbe inoltre permesso di restituire sullo schermo la fisicità di uno scontro reale, brutale, caotico e violento, come effettivamente sono i “combattimenti da strada”. Ma paradossalmente aver reso più reali le coreografie non ha aiutato il successo delle stesse; una delle rare critiche mosse alla trilogia è stata proprio quella di aver sacrificato l’azione alla storia, una posizione che tuttavia crolla di fronte alle ragioni di Nolan in fase di pre-produzione e montaggio.
L’idea è sempre stata quella, specialmente nel primo film, di mostrare Batman dal punto di vista dei criminali e non suo personale, dunque come una presenza spaventosa, demoniaca, sfuggente, brutale, violenta. Le scene vennero montate con taglio veloce per restituire la prospettiva della sorpresa, della paura, di una creatura affamata che si muove animalisticamente distruggendo tutto ciò che è intorno a lui per ricreare, forse, quiete dentro di sé. Un animale che sfruttando il KFM poté agire sulla base del proprio istinto e della propria rabbia, sferrando gomitate, colpi al femore, testate, calci, rotture, leve e qualunque cosa potesse essere risolutiva. Le coreografie cambiarono solo nel capitolo conclusivo della saga, quando i consulenti della pellicola decisero di integrare i movimenti base del Keysi con tecniche della Muay Thai per venire incontro a mutate esigenze di copione e montaggio.
Batman Begins (2005)
Da un punto di vista interno, la logica del KFM risponde ancora alla matrice che l’ha generato, quella del Jeet Kune Do. Poiché Justo e Andy hanno sempre sottolineato che l’aspetto centrale del Keysi non è tanto la “tecnica” quanto la “creatività”, non è sbagliato ricondurre tale suggerimento ai tre principi del JKD:
Primo. Adesione al nucleo Secondo. Liberazione dal nucleo Terzo. Ritorno alla libertà originaria
L’ultimo punto riguarda il così detto stadio della non-forma, cioè quella particolare intuizione del buddhismo zen secondo il quale la ricerca del vuoto interiore attraverso la forma serve a raggiungere la non-forma, cioè il vuoto come spazio di potenzialità capace di comprendere tutte le forme. Si tratta di una complessa costruzione logica che si basa su fondamenti intuitivi della visione asiatica delle cose ma che, a differenza di quanto pensino gli stessi praticanti di JKD o del Keysi, appartiene a tutte le arti marziali asiatiche e in generale ad ogni metodo di combattimento. L’adesione alla forma richiede il superamento della stessa al fine di poterla dominare.
Il futuro del KFM qualche anno fa ha seguito un suo percorso forse dettato da motivazioni commerciali, personali o marziali. Non lo sappiamo. Fatto sta che i due fondatori – sebbene il loro metodo abbia continuato a riscuotere successo e sia stato utilizzato anche per le pellicole di Mission Impossible, Jack Reacher, Scontro tra Titani, 007 Quantum of Solace e il Trono di Spade – hanno deciso di separarsi e seguire ognuno la propria strada: Justo Dieguèz porta oggi avanti il marchio Keysi mentre Andy Norman ha proposto una sua evoluzione del KFM chiamata Defence Lab. Evoluzione marziale o marketing? Difficile a dirsi.