Ma nelle modalità d'accusa, qualcosa non torna.
Se il Signore in persona mi avesse rivelato, anche solo 48 ore fa, che avrei preso le difese di Gian Piero Gasperini, sarei scoppiato in una fragorosa risata. E di tutti i capovolgimenti etici, filosofici, religiosi che caratterizzano un’esistenza, quello sul Gasp avrebbe senz’altro un posto d’onore. Ovviamente però le cose non sono così semplici. In primis perché il Signore di Gasperini non mi ha mai parlato – è già la sceneggiatura di un film di Dario Argento – e poi perché, a dirla tutta, sui metodi (umani e calcistici) di Gasperini continuo a nutrire forti dubbi.
Ho ancora quel brusio nello stomaco, quel reflusso gastro-calcistico che è dovuto ad alcuni modi di fare, ad una spocchia accentuata da quel capello candido e sempre ben pettinato, identico a sé stesso da una buona quindicina d’anni, ancora non mi va giù quel suo spalleggiare fiero e pennuto nelle interviste post-partita dopo aver vinto 3-0 contro il Monza, né vedo di buon occhio le continue lamentele in campo e fuori dal campo, ma sempre riferite al campo, il che è un po’ triste se vogliamo. Gasp è un uomo di calcio, il problema è che – parafrasando Mourinho – l’allenatore della Dea sa solo di calcio.
Per farla breve, non ho mica cambiato la mia idea su Gasperini. E se è vero che col tempo si peggiora, auguri. Vale per lui, vale ovviamente anche per me e per chi quotidianamente gli dedica un amabile pensiero sui social, mentre fuori l’estate passa e il senso delle cose si assottiglia. È in un clima di questo tipo che delle lacune caratteriali del Gasp si è tornati a parlare da qualche ora a questa parte. Il caso è noto a tutti: Maehle in ritiro con la Danimarca ha attaccato, acciderbolina se l’ha fatto, il suo ex allenatore, ora che il terzino si trova felice e contento al Wolfsburg – eppure all’Atalanta non sembrava in procinto di impazzire. Lasciando ai gossippari l’intervista completa, ci limitiamo qui a riportarne il passaggio chiave:
«Se avevamo una doppia seduta di allenamento, nel pomeriggio diceva che dovevamo rimanere a dormire al centro la sera perché pensava che dovessimo farlo. È uno stile di gestione diverso da quello a cui ero abituato: si potrebbe definire una gestione basata sulla paura. All’Atalanta l’allenatore decideva tutto. Non c’era libertà ed è stato duro mentalmente».
Sono parole pesanti. Talmente pesanti da puzzare di sceneggiato. C’è qualcosa che non torna. Sentite, io lo so che se un giocatore parla, e parla in questi toni, un motivo c’è sempre. So anche che Gomez si è lasciato malissimo con Gasp, che Demiral ha commentato su Twitter: “Imparerai presto i fatti. Aspetta l’intervista”, citando il link del sito web GOAL sulle dichiarazioni del danese. Ho sentito, ma mi rifiuto di scendere a questo livello di inquisizione, che qualcuno ha collegato la depressione di Ilicic ai metodi di lavoro di Gasperini. Senz’altro Gasp, nella gestione umana, non è Mourinho o Allegri. E lo stesso Mahele nell’intervista aggiunge che «a Bergamo ero uno dei tanti, mentre al Wolfsburg mi sento parte del progetto e c’è più umorismo nello spogliatoio» (non fatichiamo a crederlo). Epperò Gasp ha altre qualità, e queste – con buona pace di Maehle, che fa il calciatore di professione – passano necessariamente per metodi di lavoro duri e dispendiosi.
Come si legge su atalantini.com oggi, Gasperini «deve fare l’allenatore di calcio, non l’assistente sociale o il confidente personale di ogni giocatore». Possiamo dirlo che questa roba della sensibilità dei calciatori e delle interviste post factum senza possibile contradditorio (quella di Lukaku ad esempio, per citare la più clamorosa e recente) ha francamente stancato? Ce la facciamo a capire che così è troppo facile? Va bene la denuncia, d’accordo.
Ma dov’è finita la sacralità dello spogliatoio? Che senso ha dichiarare certe cose, letteralmente gratuite, a distanza di tempo, chilometri, e comunicabilità? Non ce l’ho con Maehle nello specifico, né con Demiral – senz’altro il più cretino della compagnia, perché gonfiare tutto sui social è una pratica terrificante e disumana. Ce l’ho con questo mondo in cui l’odio semina confusione, e la critica diventa panna montata. So già che Gasperini non risponderà alle accuse del danese, né a quelle del turco. So anche perché: vuole concentrarsi sul proprio lavoro, e non ha tempo per certe cose.
Il punto è questo, a mio avviso. Quando escono certe dichiarazioni al veleno, bisogna saperle inquadrare. Maehle è un calciatore, non è un ragazzino che ha la passione per il calcio e ha iniziato i pulcini. È pagato per sudare, per faticare e forse persino per avere dei ‘momenti no’ all’interno di uno spogliatoio. Diamine, se è pagato per sopportarli, quei momenti. Che poi, ripeto, il problema non è neanche la lamentela, ma la modalità. Maehle non ha mai affrontato Gasperini, da quanto ne sappiamo. Né prima d’oggi aveva mai mostrato sintomi d’insofferenza coi metodi d’allenamento del Gasp. Maehle ha parlato, ripeto, dopo tanto tempo e da molto lontano. La cosa mi intristisce, ma non mi stupisce: è il calcio dei calciatori questo, mica degli uomini.