Giada Dall'asta
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Il Napoli quest’anno è talmente forte, dominante e sicuro di sé che vince addirittura sugli scongiuri e la scaramanzia: nello specifico la scaramanzia della maglia, e ancor più nello specifico quella della maglia pensata per San Valentino. Un’estetica, quella delle labbra rossissime in tema San Valentino, che era stata capace di frenare l’etica travolgente degli azzurri in Coppa Italia, nella sfida del Maradona persa contro la Cremonese. E che proprio al Maradona, e sempre contro la Cremonese, è stata riproposta nell’ultimo turno (ma stavolta vittorioso) di campionato.
La maglietta l’abbiamo (ahinoi) vista tutti, a partire dai tifosi azzurri che l’hanno trovata aggiunta allo store ufficiale del club alla modica cifra di 125,00€ (come le altre magliette in realtà, da questo punto di vista ADL non si fa molti problemi). In tanti, stimolati nell’orgoglio o forse per dovere di precisazione, hanno specificato come la maglia sia stata, in un primo momento, presentata per beneficienza: un’iniziativa contro la violenza di genere, che avrebbe dato i proventi derivanti dall’asta delle magliette a tre onlus napoletane impegnate nel sociale. Fase già ampiamente terminata, e comunque l’alibi per giustificarne la bruttezza.
Ma che c’entra la beneficienza con il gusto dell’orrido? Non se ne poteva fare una migliore, e metterla all’asta ugualmente?
Il punto non è la beneficienza anche perché, ad essere onesti, la tradizione discutibile delle maglie del Napoli prosegue da tempo: anche nella stagione in corso, laddove la prima maglietta di dubbio gusto è stata indossata alla vigilia di Halloween, e l’azzurro partenopeo è stato in buona parte ricoperto da pipistrelli impazziti che non sembravano tanto voler rievocare l’antica festività di origine celtica, quanto rendere i giocatori degli improbabili Dracula contemporanei.
Un copione che si ripetuto nelle partite prima per il mondiale in Qatar, quando Di Lorenzo e compagni si sono dovuti presentare sul campo da gioco con un’improbabile maglia su cui campeggiava una renna caratterizzata da un enorme naso rosso. Ecco, se lo stile Transilvania poteva ancora avere una sua ragion d’essere, vista la fame di vittorie del Napoli, il tentativo di trasformare i futuri(bili) campioni d’Italia in assistenti di Babbo Natale è di difficile comprensione. Parentesi natalizia che si inseriva in un filone fatto di improbabili camouflage, ragnatele, trame militari, omaggi estetici a Maradona e molto altro. E che questa stagione si attiva in particolar modo per le feste, italiane ed estere.
Sarebbe curioso sapere cosa lo sponsor abbia in serbo in vista delle prossime: per Carnevale probabilmente abbiamo dato insieme a San Valentino, per Pasqua mai dire mai. A questo punto, resta solo da capire come mai Aurelio De Laurentiis si ostini ad avvallare, e anzi indirizzare, scelte commerciali che almeno superficialmente sembrano avere poco o nulla a che fare con il calcio giocato. Di base questa manovra punta a maggiori introiti nelle casse della società, possibili grazie ad un accordo con lo sponsor EA7 (la linea sportiva Emporio Armani) per l’autoproduzione delle magliette di prima squadre e primavera; sia da gare ufficiali che da allenamento.
Un modello di autoproduzione inaugurato già l’anno scorso, e in cui la parte creativa viene demandata ad Armani, che curerà ben 14 kit. Ma posti i vantaggi di prodursi da soli le maglie, una delle visioni di un presidente che si sente un innovatore nello statico e sclerotizzato mondo del calcio italiano, resta la domanda: perché delle maglie così brutte? Probabilmente la ragione è da ricercare in una strategia di marketing che fa leva sulla voglia, di tifosi e collezionisti, di sentirsi parte integrante e al tempo stesso testimoni di un progetto vincente. E che lo fa tramite l’esasperazione del kitsch, un brutto che diventi irripetibile ed unico.
Edizioni limitate di cattivo gusto, quindi oggetti artistici e desiderati. O forse, come diceva Nicolás Gómez Dávila, di questi tempi la bruttezza di un oggetto è il segreto del suo moltiplicarsi su scala industriale.
In ogni caso a seguire l’esempio partenopeo è stato anche il blasonato Real Madrid, che assieme al main sponsor Adidas ha dato il via ad una collaborazione con Marvel: accordo per cui, nello store ufficiale del club, sono state inserite magliette a tema Avengers. A differenza di quanto accaduto su suolo italiano, in Spagna l’idea e la campagna pubblicitaria (sposata da Kroos e Asensio) non ha riscosso particolare successo. E anzi i tifosi madrileni, anziché accogliere la novità, si sono indignati. Nulla di cui stupirsi: al Real l’estetica è sacra, quasi una religione laica forgiata in oltre un secolo di blasone e di vittorie. Un’estetica bianca e immacolata, altro che supereroi e pipistrelli, renne e baci.