Calcio
09 Luglio 2023

Il Tottenham è un club maledetto?

Storia e mitologia della maledizione Spurs(y).

Che cos’è una maledizione? All’uomo di oggi, questa domanda fa sorridere. C’è maledizione, dirà quello, solo per l’ignorante che crede a qualsiasi cosa. La maledizione in questo senso non è altro che il riflesso – più o meno cosciente – delle nostre frustrazioni, paure, ansie e debolezze. Ma questa sicurezza vacilla non appena ci riguarda personalmente. Quando siamo noi ad essere vittime di un maleficio, togliamo l’abito della ragione e indossiamo volentieri quello del sentimento. Qualcosa ci dice che, anche se una spiegazione dev’esserci, per il momento è meglio muoversi con cautela.

Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male.

Eduardo De Filippo

Al cospetto di una maledizione, si possono assumere diversi atteggiamenti: derisione, rispetto, risoluzione. Non cambia però la sostanza: più la iattura permane nel tempo, più al dubbio subentra il terrore. È capitato, ad esempio, ai tifosi del Benfica in seguito alla celebre maledizione di Bela Guttmann – prima semplice cronaca, poi curiosa coincidenza, oggi fatto accertato. Ecco perché, parlando di Tottenham Curse, sarebbe pericoloso rispondere con una pernacchia. In pochi ne hanno parlato, ma in Inghilterra, quell’Impero imperiale che fa della ragione (humiana) l’unico imperativo categorico e geopolitico, qualcuno se ne è accorto. Qua e là, magari ancora timidamente, si inizia a parlare del Tottenham come squadra maledetta. Il problema è da chi, se è vero che tutte le grandi maledizioni sportive iniziano con un anatema o un evento specifici.

Ma solo per chi guarda senza vedere. Per addentrarci nel maleficio di cui è vittima da diversi anni il Tottenham Hotspur, bisogna evidentemente partire dalla sua storia. Il club fu fondato nel Nord di Londra nel 1882 da un gruppo di ragazzi della Saint John’s Middle Class School e della Tottenham Grammar School che appartenevano al Club di Hotspur Cricket, due anni più anziano di quello calcistico. Che cosa significa, esattamente, Hotspur – da cui l’abbreviazione ancora oggi presente di Spurs? La traduzione più corretta in italiano è ‘speroni’. Il motivo? Rendere onore a Sir Henry Percy, l’indomito (da cui il soprannome Hotspur, ‘testa calda’) cavaliere al servizio di Enrico IV d’Inghilterra, di cui William Shakespeare offre un ritratto degno di venerazione nell’omonima opera (Henry IV). Egli, stando alla storia, possedeva gran parte del Nord di Londra, compreso il Northumberland Park di Tottenham – quel suolo dove poi sarebbe sorto l’omonimo Cricket & Football Club.

Sir Henry Percy (1605-1659) dipinto da Sir Anthony Van Dyck (Antwerp 1599 – London 1641)

Tottenham, quindi, dal nome del quartiere di Londra degli schoolkids che vi crearono un club di calcio, e Hotspur dal soprannome di uno dei suoi eroi popolari, Henry Percy. Da qui l’abbreviazione in Spurs – letteralmente speroni. Ma cosa ha a che fare tutto ciò con il galletto emblema del club? Una scelta curiosa, soprattutto se pensiamo di quale nazione (nemica storica degli inglesi) questo animale sia simbolo. Stando al racconto popolare, Sir Henry amava il combattimento tra galli – i quali, in questa specialità, sono spesso muniti di speroni (spurs, appunto) sotto le zampe. I ragazzi che scelsero questo simbolo, fieramente ritto su una sfera calcistica a mo’ di dominio imperiale, non potevano evidentemente conoscere – per età e forse cultura – l’ambigua semantica di questo antichissimo animale:

annunciatore di eventi sconvolgenti e insieme ‘custode’ del regno dei morti [1].

L’aurea di mistero di cui si fa portatore il gallo è parte strutturante della storia del Tottenham Hotspur, la cui maledizione – giunta oggi all’apice della sua violenza – è antichissima. Pensiamo qui soprattutto all’episodio noto col nome di Payne Boots Affair (ottobre del 1893), quando il Tottenham fu accusato di corruzione nei confronti di un giocatore del Fulham poi passato a giocare con gli Spurs. Si narra che in quell’occasione i dirigenti del Tottenham caddero vittime di un maleficio. Ad ogni modo otto anni dopo il Tottenham vincerà il suo primo titolo (nello specifico la FA Cup), ma continuerà a portarsi dietro la nomea di club furbacchione – uno stereotipo (stupidamente) rafforzato dal profondo legame del Tottenham con la comunità ebraica londinese, ben radicata nel North London.

tottenham maledizione
Northumberland Park, 28 gennaio 1899: Spurs vs Newton Heath (più tardi rinominato Manchester United)

A proposito di Nord di Londra, facciamo un salto alla stagione 2005/06. I tifosi dell’Arsenal devono aspettare l’ultima giornata di campionato per festeggiare il St. Totteringham’s Day – il giorno che sancisce ogni anno, per parte Gooners, l’arrivo matematico davanti ai cugini Spurs. Il Tottenham si trova un punto sopra i Gunners a 90’ dal termine della stagione, e si gioca con l’Arsenal l’accesso all’Europa. Agli Spurs basta vincere la propria partita contro un modestissimo West Ham, niente di così drammatico almeno sulla carta.

Se non fosse che la sera prima dell’incontro alcuni calciatori in divisa bianca avevano fatto indigestione di lasagne nella cena di gruppo al Marriott Hotel di Docklands. Il giorno dopo, tra lo stupore misto a sconsolazione dei tifosi Spurs, il Tottenham perderà 2-1 contro il West Ham, mentre l’Arsenal avrà vita facile con il Wigan (4-2) conquistando così l’Europa ai danni degli eterni (ed eternamente derisi) rivali.

«Una cosa del genere non mi era mai accaduta. Avremmo voluto posticipare il match di un giorno, ma non è stato possibile», dirà l’allora allenatore degli Spurs Jol, che evidentemente non conosceva bene la storia del Tottenham – mai stato in Champions, fino a quel momento. Alcuni tifosi dell’Arsenal, tra le risate e la gioia generali, dopo quell’episodio creeranno addirittura un magazine (una fanzine di cui abbiamo intervistato i fondatori qualche tempo fa) dal nome piuttosto chiaro: Poison Lasagna. La lista di assurdi eventi che hanno caratterizzato la storia del Tottenham è lunghissima e se abbiamo scelto i suddetti è solo per la loro esilarante particolarità. Andiamo ai nostri giorni.



Solo negli ultimi anni gli Spurs sono tornati ad alti – persino altissimi – livelli, sfiorando la vittoria in Premier League (persa contro il Leicester di Ranieri: in un’annata così fiabesca e particolare, non poteva che essere il Tottenham l’antagonista odiata e infine oscurata da tutti) e in Champions League (in quell’edizione celebre per aver ospitato la peggior finale degli ultimi 15 anni: Liverpool-Tottenham, ovviamente vinta senza patemi d’animo dai Reds). Con Pochettino, gli Spurs sono cresciuti tantissimo – anche qui, comunque, non sono mancati strambi incidenti di percorso. A livello di rosa, certo, ma anche di struttura. Il nuovo stadio (anch’esso maledetto, secondo alcuni) e il rinnovato organigramma societario hanno fatto presagire – nei nomi e nei fatti – un’epoca d’oro per gli Spurs, che però non solo hanno deluso le attese ma si ritrovano al momento con un conto in rosso tra i peggiori dell’intero globo calcistico.

Gli ingaggi di Mourinho e Conte avevano proprio questo obiettivo: invertire la rotta della storia, mutare il destino prendendolo a pugni sul volto. Ma il risultato è stato persino più disastroso. Come ha scritto Jack Pitt-Brooke su The Athletic, «niente è stato più corrosivo per la cultura del club che avere due allenatori tanto importanti da far pensare all’esterno che fossero capitati al Tottenham per puro caso».

Ma il punto è proprio questo: il fatto che due allenatori così vincenti e dittatoriali come Mourinho e Conte abbiano fallito al Tottenham ha reso ancor più solido il neologismo Spursy – da cui spursiness, ‘capacità di tradire le attese’ – coniato dai tifosi d’Oltremanica (e oggi presente nel dizionario Collins), sempre più divertiti dalle disavventure degli Spurs. Parliamoci chiaramente. Nella carriera di Mourinho non ci sono macchie. Ha vinto ovunque, sempre e comunque. Soprattutto, non ha mai fallito nel trasformare un gruppo di giocatori in uno spogliatoio d’uomini. Ma non al Tottenham:

“Questa è una squadra di bravi ragazzi, a team of nice boys, ma ciò che possono vincere a fine stagione è unicamente la Fair Play Cup. Una coppa che non ho mai vinto né ho interesse di vincere”.

E Conte? Dove ha mai fallito Antonio Conte? Risposta: mai, in nessun luogo, in nessun campionato e con nessuna squadra. Tranne una. “La società ha la responsabilità del mercato, gli allenatori vengono qui e hanno la responsabilità. E dove sono i giocatori? Non vogliono giocare sotto pressione. Non vogliono giocare sotto stress. La storia del Tottenham è questa, in 20 anni [15, ndr] non si è mai vinto qualcosa. Perché?”. Una domanda che sembra riprendere, a distanza di anni, l’osservazione di Giorgio Chiellini dopo il doppio confronto di Champions con gli Spurs: “Questa è la storia del Tottenham. Gioca grandi partite ma, alla fine, gli manca sempre qualcosa. E io credo nella storia”.

Il nuovo allenatore degli Spurs, Ange Postecoglou (foto Tottenham/Twitter)

Forse non a caso, allora, il patron Levy ha deciso di puntare nuovamente su un ‘generale’ dello spogliatoio, su un ‘uomo’ con le palle quadrate prima che su un maestro di calcio: Ange Postecoglou, 57enne greco-australiano dal carattere burbero e sincero. Non parliamo di un giochista, tutt’altro. Ange ha imparato ad amare – e a conoscere – il calcio attraverso il padre, suo unico maestro di vita. «Quando mi chiedono a quale filosofia di calcio mi ispiri, le persone rimangono molto deluse dalla mia risposta. Non mi ha ispirato il Barcellona, né il Liverpool, non mi ispiro né a Cruyff né a Guardiola.

La risposta sta invece in tre piccole parole greche: ‘Κάτω η μπάλα’, ‘metti giù il pallone’. Erano il mantra di mio papà».

Ecco perché, allora, Charlie Eccleshare ha parlato di vera e propria ‘scommessa’ del Tottenham nel puntare su di lui: «Le cose con Postecoglou potrebbero andare benissimo. Ma potrebbero anche andare malissimo. Alcuni allenatori vengono considerati ‘safe option’, Postecoglou invece è l’esatto contrario. È un visionario, è profondamente empatico. Ma allo stesso tempo è inflessibile (uncompromising). Segue i suoi principi con una dedizione quasi evangelica». L’ex allenatore di Celtic e Australia appare come un santone. Meglio, come un profeta. Tutto sta nel capire se ‘di sventura’ o ‘di salvezza’. Una cosa però è certa: solo uno così può invertire il corso della storia ‘spursy’ del Tottenham Hotspur. Che di un grande condottiero porta il nome, e che a un grande condottiero si affida nell’ora più buia per sconfiggere la propria maledizione.


[1] Nella cultura cristiana (occidente e oriente) il gallo è conosciuto soprattutto per l’episodio noto come ‘rinnegamento di Pietro’ (Mc 14,66-72; Mt 26,69-75; Lc 22,56-62; Gv 13,37-50; Gv 18,15-18.25-27), dove l’animale svolge una funzione tutt’altro che sussidiaria ai fini della Passione del Signore – un racconto nel quale tutto è sacro e attentamente ponderato a livello linguistico. Nella mitologia norrena, invece, che al pari del cristianesimo ha segnato la cultura anglosassone «il gallo si presenta non solo come simbolo di vigilanza guerriera e di annuncio dello scoccare dei momenti cruciali, bensì anche come animale collegato al regno dei morti, cioè alle tenebre di cui è dominatore perché ne conosce i segreti». G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, Longanesi, Milano 202117, p. 550.

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