Secondo il CT, anche noi avremmo 4-5 Bellingham.
«I Bellingham li abbiamo anche noi, ce ne sono almeno 4-5 per qualità e per livello. Senza fare nomi. Ce ne abbiamo di Bellingham ma gli altri hanno un approccio diverso, li fanno giocare. Se giocano, si vede». Così ha parlato qualche giorno fa Roberto Mancini, sprizzando fiducia e ottimismo sui destini e le risorse della Nazionale italiana. Il problema non sarebbe la carenza di talento di cui si è discusso tanto negli ultimi anni, bensì un ostacolo culturale per cui, qui da noi, i migliori giovani semplicemente non vengono fatti giocare – a differenza di quanto facciano altri. Una posizione che ha certamente il suo fondamento, vista la gerontocrazia strutturale del nostro calcio e la sua incrostazione risultatista (questa veramente e spietatamente risultatista) fin dai settori giovanili.
Eppure una lettura eccessivamente speranzosa, fino quasi all’illusione e distorsione della realtà, sulle attuali potenzialità italiane. Mancini dice che ci sono almeno 4-5 Bellingham in Italia, ovvero uno dei maggiori giovani talenti sul palcoscenico mondiale (si parla di un 2003, diciannovenne che già fa la differenza con club e nazionale). “Senza fare nomi”, aggiunge. Più che chiedersi chi siano questi 4-5, viene invece da chiedersi se il CT ci creda veramente, nel paragone che ha avanzato. Non è in fondo la prima volta che Mancini, soprattutto dal dopo europeo in poi, si lascia andare a dichiarazioni a dir poco ardite. Come quando, con gli spareggi all’orizzonte, disse in un’intervista alla Gazzetta:
«non solo ci saremo in Qatar, ma vinceremo il Mondiale».
Sia chiaro, Mancini sta provando a ragionare e comunicare da commissario tecnico di una grande Nazionale, e di un grande Paese che troppo spesso si butta giù: non lo sta facendo per megalomania o protagonismo, bensì per l’Italia del calcio e per il nostro movimento. Un presupposto senz’altro comprensibile, per una Nazione patologicamente esterofila e abituata a svilirsi, a sottovalutare il proprio ruolo (anche storico) e le proprie risorse. Ma anche un atteggiamento, quello del tecnico, che stona un po’ con la realtà dei fatti, quasi la deforma; che assomiglia a quello di Berlusconi e Renzi quando, sempre per lo stesso motivo, dispensavano un ottimismo a tratti velleitario che non aveva rispondenza pratica nel Paese reale. Ecco, ci auguriamo che Mancini . . .
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