Altri Sport
23 Ottobre 2021

La Marathon des Sables è una corsa leggendaria

Cosa significa partecipare alla danza del deserto.

«Sulle sabbie del deserto come sulle acque degli oceani non è possibile soggiornare, mettere radici, abitare, vivere stabilmente. Nel deserto come nell’oceano bisogna continuamente muoversi, e così lasciare che il vento, il vero padrone di queste immensità, cancelli ogni traccia del nostro passaggio, renda di nuovo le distese d’acqua o di sabbia, vergini e inviolate». Sono queste alcune delle parole che Alberto Moravia utilizza per descrivere il deserto del Sahara nei suoi anni di lavoro in Africa tra il 1975 e il 1981 come corrispondente. Un luogo inospitale, da cui non si può far altro che scappare per evitare di esser inghiottiti dal tempo e dalle forze naturali.

Uno scenario pericoloso in cui il rischio di rimanere intrappolati è sempre dietro l’angolo. Timori che qualche anno dopo non sarebbero stati minimamente presi in considerazione da Patrick Bauer. Il noto maratoneta francese nel 1984 attraversò a piedi e in solitaria il deserto del Sahara. Una corsa di 350km che riuscì a compiere in dodici giorni potendo contare solo sul proprio equipaggiamento e non imbattendosi in neanche una piccola oasi o comunità del luogo.

Al termine della sua impresa decise che quella traversata appena compiuta poteva diventare molto più che una semplice avventura da raccontare agli amici. Riuscì a renderla una vera e propria gara, che nel corso degli anni finì per essere soprannominata “La leggendaria”.

Tutti però la conoscono con il nome scelto dal suo fondatore, ossia Marathon des Sables. Una ultramaratona che si pone come obiettivo quello di attraversare il Sahara marocchino in sei giorni, per un totale di 251km. Una gara di resistenza, che ha visto con il passare degli anni sempre più corridori chiedere di poter partecipare. Nel 1986, alla prima edizione ufficiale della Marathon des Sables, erano stati 23 i corridori che avevano sposato il progetto di Bauer. Oggi invece sono migliaia ogni anno a inviare la propria domanda di iscrizione per confrontarsi con il deserto. Le richieste arrivano da ogni parte del mondo e sono molti gli atleti che chiedono di partecipare più volte. Non una sfida con il tempo o con sé stessi, quanto piuttosto un modo per vivere davvero in un luogo in cui la vita praticamente non esiste.



Diventare un tutt’uno con quei granelli di sabbia che non fanno altro che osservare lo scorrere del tempo e dei corridori, che si muovono in luoghi che resterebbero altrimenti immutati e silenziosi. Un’ossessione che ti costringe per un intero anno a pensare alla traversata. A come sarà il percorso. A quali condizioni si troveranno durante i sei giorni di gara e, cosa più importante, a quali variabili potrebbero obbligarti al ritiro. Si è da soli in questa avventura, ma sono solo fattori esterni a decidere la riuscita o meno della prova. Se si correrà dipenderà dalle condizioni atmosferiche prima ancora che dalla voglia dei maratoneti.

Perché in fondo ogni corridore nell’infinita messa in scena della danza del deserto non è che una piccola comparsa, costretta a muoversi per lasciare il centro della scena il più velocemente possibile.

Sperando che una tempesta non lo sorprenda costringendolo a fermarsi o che la temperatura non sia eccessivamente alta e che l’acqua finisca troppo rapidamente. Tra speranze e ossessioni, tra la voglia di vivere dei partecipanti e la morte rappresentata dall’ambiente di gara. È questa l’aria che si respira alla Marathon des Sables. Un concentrato di emozioni e adrenalina che non fa che alimentare il fuoco di poter arrivare fino in fondo e pensare immediatamente a come prepararsi al meglio per l’anno successivo. Un obiettivo che a lungo andare diventa l’esistenza di ogni atleta che vi partecipa.

Una corsa senza eguali

Una storia (anche) italiana


La Marathon des Sables ha anche un’anima italiana, che tramanda edizione dopo edizione atleti azzurri passati alla storia. C’è ad esempio la competizione femminile in cui in tre occasioni la prima classificata rappresentava il nostro Paese. Rosanna Pellizzari è la prima italiana a trionfare nella maratona nel 1997, compiendo un’altra impresa l’anno successivo e bissando il primo posto finale. A distanza di pochi anni nel 2001 è ancora un’atleta italiana, Franca Fiacconi, a salire sul gradino più alto del podio.

Per quanto riguarda la gara maschile ci si trova davanti a un dominio di atleti francesi nelle prime sei edizioni, alle vittorie dei russi, che hanno trionfato per tre anni consecutivi, e di un unicum con un maratoneta della Giordania. Ma la vera egemonia della competizione è del Marocco che ha portato a casa ben 25 edizioni, compresa quella di quest’anno. Eppure, nonostante nessun atleta italiano abbia mai ottenuto la vittoria finale, che non è il vero scopo della gara, sono molti i nomi che sono diventati leggende di questa competizione.

Tra queste figura ovviamente Marco Olmo, storico ultramaratoneta azzurro che ha sempre lottato per le prime posizioni al punto da meritarsi il soprannome di “Man of the desert”.

Questo nomignolo gli è stato attribuito sia per il numero di volte in cui ha preso parte alla Marathon des Sables, sia per la sua presenza in tutte le più faticose gare di ultra-marathon del mondo (Ultra Africa Race; Sahara Marathon; Desert Cup; Oman Raid). «Quando sono arrivato la prima cosa che ho detto è stata mai più alla Marathon des Sables. Fortuna che ho detto mai più, alla fine ne ho fatte venti». Sono queste le parole con cui Olmo raccontava la sua prima esperienza nel deserto del Marocco. Unica precisazione da dover fare, alla fine ha superato anche quota venti partecipazioni in carriera alla traversata del deserto.

Marco Olmo, Man of the desert

C’è un altro nome che però più di ogni altro è conosciuto e ha permesso di far conoscere questo tipo di competizione: quello di Mauro Prosperi. Noto pentatleta italiano, nel 1984 a Los Angeles conquistò l’oro olimpico. Grande appassionato di corsa, non a caso uno dei cinque sport da praticare nella sua disciplina, Prosperi nel 1994 scelse di prendere parte alla Marathon des Sables per la prima volta.

Ogni edizione è sempre diversa da quella precedente, sia il percorso che la distanza da percorrere nei giorni di gara viene infatti modificata. C’è solo un’unica costante, che è quella del quarto giorno. Il peggiore di tutti, visto che la distanza che si deve percorrere è la più lunga di tutte.

Un picco che se raggiunto permette a ogni atleta di svolgere la restante gara in discesa. Nell’edizione a cui Prosperi prende parte per la prima volta i commissari di gara organizzano una tappa di 70km, durante la quale però ogni maratoneta viene sorpreso da una pesante tempesta di sabbia. L’italiano sceglie di continuare a muoversi, ma la visibilità inizia a ridursi e il vento è sempre più forte. Il punto di riferimento per quel pezzo di percorso era rappresentato da piccole dune, che con lo svilupparsi della tempesta hanno iniziato a modificarsi e a spostarsi, diventando un pericolo per chi le attraversava.

La tempesta di sabbia dura otto ore e in questo lasso di tempo Prosperi non smette di muoversi. Una volta fuori dalle raffiche di vento e sabbia è stremato e sceglie di fermarsi a dormire per recuperare un po’ di energie. La mattina seguente con il sorgere del sole l’atleta riprende la sua corsa, ma si rende presto conto di non avere più i punti di riferimento che erano stati segnalati lungo il percorso e, cosa più importante, non individua nessun altro partecipante. Per almeno ventiquattro ore sulla sua via non c’è altro che sabbia. L’idea di essersi ormai perso inizia a fare breccia in lui e la speranza di incontrare qualcuno per poter segnalare la propria posizione diventa l’unico obiettivo. Il desiderio di farcela inizia a prendere forma quando in lontananza scorge quella che sembra essere una specie di fienile, che si rivelerà poi un santuario musulmano.

Mauro Prosperi, mattatore del Sahara

Il desiderio di mettersi in salvo diventa però incubo quando si rende conto che quel luogo è abbandonato da tempo. Non resta che attendere, sperando che qualche nomade passi da quelle parti. La direzione gara della Marathon des Sables intanto inizia le operazioni di ricerca, non riuscendo però a individuare il maratoneta scomparso sul percorso. L’elicottero della competizione inizialmente passa molto vicino a lui senza però accorgersi della sua presenza, nonostante il tentativo di farsi notare sparando un razzo di segnalazione. Sulla sua strada Mauro incontrerà anche un aeroplano. Proverà ad attirare la sua attenzione scrivendo sulla sabbia “Help me” e accendendo un fuoco con i propri abiti sintetici e il sacco a pelo. Un sacrificio necessario ma che lo costringerà a non avere più un giaciglio su cui dormire.

Nel momento in cui il fumo iniziò ad alzarsi il vento ricominciò a soffiare alzando la sabbia. Una doppia beffa. In pochi secondi un’altra tempesta aveva cancellato ogni traccia della sua presenza in mezzo al deserto. Essere forti mentalmente è necessario quando si prende parte a questi eventi, ma dopo tutto quello che era successo la disperazione non poteva che farsi largo. Mauro aveva resistito nel deserto bevendo la propria urina e una volta arrivato al mausoleo il suo unico cibo erano stati dei pipistrelli che aveva trovato al suo interno. La mente conta più di ogni altra cosa e quando sceglie di abbandonarti può accadere di tutto.

Non è possibile immaginare quello che in quegli attimi passi nella testa di un uomo al limite come Prosperi, che si ritrova a combattere con il deserto e sé stesso per rimanere in vita.

Una lotta che metteva in cima alle sue priorità quella di non morire disidratato. Ma quando la mente scegli di cedere può accadere l’impensabile, anche pensare di smettere di lottare. Nel buio del mausoleo così Mauro tentò il suicidio, tagliando le proprie vene e svenendo. Dopo alcune ore, però, il suo respiro non si era ancora fermato. Era ancora vivo. A causa della scarsità di acqua nel suo organismo e del caldo il sangue era diventato troppo denso: impossibile morire dissanguato. Una scintilla che riaccese la sua voglia di vivere ma soprattutto di combattere. Restare in quel luogo era inutile e per questo la sua unica speranza era quella di riprendere a camminare, come se fosse ancora in gara.

La sua Marathon des Sables personale stava per iniziare e mentre si rifocillava come poteva ripensò a una raccomandazione arrivata nei giorni precedenti all’evento da un gruppo di Tuareg. Qualora ci si fosse persi l’unica cosa da fare era dirigersi verso le prime nubi del mattino. Si fece coraggio, posò il primo piede fuori dalla pesante porta di legno e iniziò di nuovo a muoversi. In quella che sarà una lenta marcia verso l’ignoto, trasportato solo dalla speranza di superare una duna di sabbia e scorgere in lontananza qualcosa, un riflesso, una sagoma umana. La sua personale gara durò altri nove giorni, dove riuscì a sostentarsi a malapena, quando uscendo da una duna si imbatté in una ragazza.

La sabbia letale del Sahara

A entrambi mancò il fiato. A lui per aver finalmente trovato qualcuno nel deserto, alla ragazza per averlo visto sbucare così mal ridotto da dietro una duna. Questa corse a chiamare la sua famiglia. Prosperi venne soccorso: l’autorità militare del luogo subito lo trasportò in ospedale. Il suo aspetto era ovviamente cambiato dall’inizio della gara. Nel momento in cui i militari lo avevano trovato pesava 15kg in meno rispetto a quando era atterrato in Marocco. Solo che in quel momento non si trovava più in quel paese, ma in Algeria. Aveva percorso 300km da solo nel deserto sahariano ed era riuscito a sopravvivere.

Un miracolo, una fortuna, un evento casuale. Ognuno è libero di chiamarlo come vuole. Quel che è certo è che un’esperienza così ti segna, ti cambia per sempre. Per Mauro da quel giorno cambiò tutto. In Italia tutti i notiziari parlavano di lui. Ma non era la fama che lo interessava. Dopo un’esperienza così al limite tutto quello che si è soliti fare nella propria vita quotidiana inizia ad avere un peso diverso. È riuscito a scappare dal deserto, ma è come se la sabbia lo richiami a sé. Nella sua prima edizione della Marathon des Sables non riuscì ad arrivare al traguardo finale, ma non riuscì a non prendere parte all’evento ancora. Era più forte di lui, al punto che a oggi vanta ben sette partecipazioni.


Oltre la corsa


Dietro questa competizione si cela un mondo. C’è l’adrenalina dei partecipanti e la sfida che ogni anno si lanciano tra le dune, ma terminata la maratona il vero motivo per cui si corre resta proprio su quel territorio. Il settimo giorno, mentre il deserto resta immobile e i partecipanti tornano nei rispettivi paesi di origine, gli ideatori del progetto iniziano a ragionare sul da farsi. All’ordine del giorno non c’è ancora il prospetto della gara del prossimo anno, ma i progetti che dovranno essere sviluppati tramite l’associazione collegata alla maratona.

Questa vuole garantire che il messaggio dei camminatori del deserto vada ben oltre lo sport. Ogni anno dopo la Marathon des Sables vengono realizzati progetti che si prefissano l’obiettivo di aiutare la popolazione locale sahariana fortemente svantaggiata per ragioni economico-politiche. Nella terra di quelle popolazioni che sono spesso state aggettivate come nomadi, si cerca di donare della stabilità e dei beni capaci di durare nel tempo e di garantire migliorie in tematiche fondamentali come salute, educazione e sostenibilità economica.

Non capita di rado che gli stessi partecipanti, che già investono molti soldi per poter partecipare all’evento, scelgano di donare cifre o specifici oggetti alla popolazione della zona. Un esempio è un pozzo di acqua potabile fatto costruire nel deserto che, in alcune occasioni, è stato meta di passaggio per i corridori. La maratona diventa un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica, non solo i partecipanti, a prendere visione e contatto con quella zona del mondo che spesso viene dimenticata.



Il deserto può essere ricco e non solo insidioso. Tutto sta nel capire cosa si va cercando. Un luogo in cui difficilmente può nascere la vita si trasforma da ormai trentacinque anni in un palcoscenico che accoglie chi la vita la vuole vivere fino in fondo. Abbracciando ogni istante, anche quello in cui le difficoltà prendono il sopravvento. Un modo per mettersi alla prova, per conoscere i propri limiti ma soprattutto per apprezzarli, comprenderli fino in fondo e migliorarsi.

Così facendo sarà possibile far aprire gli occhi anche ad altri e far sì che giorno dopo giorno sia l’intero mondo a beneficiarne. Per questo motivo è così importante per Patrick Bauer essere presente ogni anno in quel deserto, per aiutare gli altri ad aprire gli occhi lì dove lui per primo ha portato a termine “La Leggendaria”. Precursore di terre poco conosciute, che anno dopo anno grazie anche al suo aiuto possono dire di riuscire a vivere. Un po’ come i maratoneti quando portano a termine la Marathon des Sables.

Ti potrebbe interessare

Wilma Rudolph, un esempio universale
Ritratti
Diego Mariottini
16 Novembre 2023

Wilma Rudolph, un esempio universale

Scrivere la storia contro tutto e tutti.
Sul tetto del mondo
Altri Sport
Vito Alberto Amendolara
02 Agosto 2021

Sul tetto del mondo

L'estate italiana non è mai stata così dolce.
L’ideologia del record andrà in crisi
Altro
Giacomo Orlandini
27 Aprile 2020

L’ideologia del record andrà in crisi

Quando non ci saranno più barriere da poter superare, l’atletica avrà ancora senso di esistere?
Emil Zátopek
Ritratti
Giovanni Pigozzo
21 Settembre 2018

Emil Zátopek

Il romanzo della locomotiva umana.