Perché abbiamo a che fare con un calciatore diverso dagli altri.
L’antica mitologia norrena racconta di un semidio, Loki fratellastro di Thor, generatore di strane creature animali: serpi acquatici divoratrici del mondo, lupi terrificanti, giganti nemici dell’ordine cosmico. A loro i vichinghi si rifacevano nelle più cruente circostanze della vita quotidiana. E il primo popolo europeo a farne le spese fu proprio l’Inghilterra, che oggi nel calcio della Premier League ospita e ammira due dei migliori prodotti del calcio scandinavo e norvegese: Erling Haaland e Martin Odegaard. D’altronde la storia, ci insegna quella teologia, è ciclica e si ripete.
Oggi vogliamo concentrare la nostra attenzione sul secondo. Odegaard è stato quest’anno l’autentico trascinatore dell’Arsenal di Mikel Arteta, la squadra che ha mostrato il più bel calcio in Inghilterra, forse anche più del City di Guardiola, al quale ha dato del filo da torcere in campionato. Il talento norvegese, che al Real sembrava diventato una meteora, in questa stagione ha abbinato ad una classe sopraffina (e nota) numeri da vero trascinatore (ben 15 gol in Premier, l’anno scorso erano stati appena 7). Ha così dimostrato di essere il leader tecnico e morale della squadra, di cui è stato nominato, non a caso, capitano all’inizio di questa stagione, per volere di Arteta.
Un leader in campo però non deve necessariamente possedere la fascia se viene riconosciuto come tale dallo spogliatoio. Proprio Arteta parlava così della leadership dimostrata dal 23enne scandinavo già la scorsa stagione: “Quando tutti iniziavano a tremare, lui ci ha dato stabilità e serenità col pallone e ha creato un’occasione dopo l’altra. Lo ha dimostrato fin dalla prima settimana. Il modo in cui entra in campo, vuole sempre la palla e comanda il pressing (…)sembra molto timido e umile, ma quando scende in campo mostra grande carattere”.
E il carattere e la personalità sono tutto ad alti livelli, tanto quanto il talento nelle gambe: è sempre la testa quella che fa muovere i piedi dopotutto. Anche Bukayo Saka in una recente intervista si è espresso in termini più che entusiastici su Odegaard definendolo proprio “un fantastico leader, è il giocatore che più di tutti dà l’esempio, sia fuori che dentro il campo”. La parola chiave in questo caso è “fuori dal campo”: perché un vero capitano è colui che dà l’esempio anche nello spogliatoio, durante gli allenamenti, quando tecnico e gruppo squadra si confrontano e dibattono, e il norvegese in questo senso sta svolgendo benissimo il suo ruolo.
Odegaard è uno degli ultimi a lasciare l’allenamento ed uno dei primi ad arrivare, ascolta sempre il parere di qualsiasi membro del team su qualsiasi argomento relativo alla squadra, sedendosi durante il pranzo a mangiare con una persona diversa ogni giorno, per allacciare rapporti con tutti senza escludere nessuno. Presi singolarmente questi potrebbero apparire come gesti più che normali, se non banali, ma sono proprio queste piccole cose a rendere un giocatore un punto di riferimento fondamentale in uno spogliatoio, a renderti un capitano vero appunto.
In campo Odegaard è contemporaneamente sia il cervello che il cuore dell’Arsenal: è il calciatore incaricato di distribuire il pallone e al tempo stesso di gestirlo, colui che da un lato si inserisce in area per trovare la via del gol, o in alternativa prova la conclusione personale da fuori e dall’altro, servendosi del suo sinistro sopraffino, cerca i corridoi migliori per servire i compagni in fase di smarcamento, con lanci lunghi o rasoterra, senza contare la sua eccellente capacità di saltare l’uomo, che compensa perfettamente alcuni limiti in velocità. Martin porta la 8 sulle spalle, ma tecnicamente parlando è un numero 10 purissimo, un giocoliere del gioco. Bello da vedere, elegantissimo, ma molto concreto, intelligente.
Così lo ha ben descritto Jorge Valdano: “Odegaard non deve più essere considerato una promessa, è un prodotto completo. Distribuisce, ha criterio calcistico, capacità di definire le giocate con passaggi filtranti, dribbling, tiro dalla media distanza. Un talento molteplice, pratico e attraente”.
Inevitabili i paragoni con grandi fenomeni del passato che hanno vestito la prestigiosa maglia rossa dei londinesi, con qualcuno che ha subito pensato ad una leggenda del club come Dennis Bergkamp per descrivere Martin, mentre qualcun altro ha parlato di Cesc Fabregas, quest’ultimo idolo dichiarato del norvegese, soprattutto se si pensa alla stagione clamorosa in termini statistici che realizzò lo spagnolo con i Gunners nel 2009/10 (quando realizzò lo stesso numero di reti di Martin in Premier, 15), e soprattutto al fatto che lo stesso Cesc venne proclamato capitano dell’Arsenal in giovane età, a soli 21 anni, due in meno di quanti ne aveva Martin alla sua nomina.
C’è anche chi ha fatto il nome di Mesut Ozil, con cui tecnicamente parlando Odegaard condivide sicuramente qualche caratteristica in comune (la visione di gioco su tutte). Ozil venne acquistato quando già si trovava all’apice della carriera (avendo disputato tre anni clamorosi col Real Madrid), mentre Martin era un calciatore ancora in rampa di lancio al momento dell’acquisto, anche lui comunque (altra cosa in comune tra i due) proveniente dai Blancos, dove però non era mai riuscito ad imporsi, passando da un prestito all’altro tra Olanda e Spagna.
Odegaard ha sempre avuto le stimmate del predestinato, anche perché quando a 16 anni hai già battuto tutti i record possibili del calcio norvegese per precocità (il più giovane ad esordire e segnare un gol in campionato, ed il più giovane ad esordire con la maglia della Nazionale) e soprattutto vieni acquistato dal Real Madrid, non puoi altro che avere sopra di te le aspettative del mondo intero. Al Real però come prevedibile Odegaard ha visto il campo solo nella seconda squadra (il Castilla), mentre nella prima ha giocato appena una singola partita in due anni.
E allora, dal 2017 al 2018, prestito all’Heerenveen e poi al Vitesse. A quel punto il Real volle testarlo in un club e in un campionato più allenanti: ecco che Odegaard finì alla Real Sociedad nel 2019. Nell’anno segnato della pandemia, Martin riesce finalmente ad imporsi anche nella Liga, contribuendo al sesto posto finale della formazione basca e anche alla vittoria della Copa del Rey (non prenderà parte però alla finale, rimandata l’anno successivo per via del Covid): nei quarti di finale della competizione segnerà uno dei 4 gol con cui i baschi elimineranno proprio il Real Madrid dalla Coppa.
Così il Real decise di riprenderselo, ma le cose per il norvegese non andranno affatto bene in terra madridista, data soprattutto l’eccessiva concorrenza in quel ruolo. Qui subentra l’Arsenal che lo preleva dai Galacticos in prestito con diritto di riscatto nel gennaio del 2021, per poi acquistarlo a titolo definitivo per 40 milioni di euro: soldi ben spesi. A Londra Odegaard non solo ha mantenuto pienamente fede al proprio potenziale, ma è riuscito ad andare addirittura oltre: diventare un calciatore forse anche più forte di quello che ci si poteva aspettare inizialmente.
Se non avrà gravi infortuni nei prossimi anni, si può già affermare con assoluta certezza che un calciatore col suo talento e soprattutto con la sua testa sarà destinato a fare grandissime cose nel calcio del prossimo futuro. Magari con un Arsenal più maturo ed esperto, e con il talentissimo norvegese al centro del progetto. Coi piedi e le geometrie, certo, ma anche con la testa. A quel punto il Principe diverrebbe Re.