Quando il 25 febbraio del 1995 la famiglia Moratti si ritrovò a cena era una sera come tante altre, ma non per Massimo. Tornato dal lavoro aveva cercato di comportarsi nella maniera più naturale possibile, quando ad un certo punto dovette esternare la sua gioia. Prese da parte suo figlio Angelomario e gli disse:
“Senti, ti confesso un segreto ma non dire niente alla mamma: abbiamo comprato l’Inter!”.
La leggenda vuole che la storia tra i Moratti e la Beneamata cominciasse (o meglio, ricominciasse) proprio in questa maniera, quasi di nascosto. Massimo aveva tenuto tutti all’oscuro della trattativa con l’allora presidente Ernesto Pellegrini, proprio come un bambino maschera una marachella per paura di farsi beccare dai suoi genitori. Ecco, quello che sarà il presidente nerazzurro più vincente di tutti i tempi non voleva farsi riportare da nessuno sulla retta via. Desiderava quel giocattolo che suo padre – qualche decennio prima – aveva costruito, e lo voleva a tutti i costi.
Se si dovesse raccontare l’uomo Massimo Moratti ad un ragazzino che si sta avvicinando al calcio, beh questa risulterebbe una delle “imprese” più difficili da compiere. Circondato da un mondo in cui conta solo il profitto ed il risultato (economico e sportivo, in questo caso), forse nemmeno quel bambino riuscirebbe minimamente a comprendere i tanti perché di un personaggio che ha dato e tolto moltissimo per amore di quella sua figlia acquisita. Sì, perché dopo Maria Celeste, Angelomario, Maria Carlotta, Giovanni e Maria avuti da sua moglie Emilia (in arte Milly), l’Inter è la sesta creatura di Massimo.
Eppure inizialmente si vociferava che fosse stato designato proprio lui, il quartogenito di Angelo ed Erminia, a prendere le redini della società perché, tra tutti i fratelli, era quello meno portato per gli affari. Insomma, per i Moratti veniva prima l’azienda di famiglia, la Saras, e poi i vizi tipici dei borghesi. Ma per Massimo l’Inter non era solo un capriccio, era qualcosa che andava oltre: da piccolo aveva osservato da fuori i trionfi della Grande Inter di papà Angelo e raggiungerlo era stato un chiodo fisso, un sogno. Figurarsi superarlo.
Il “fenomeno” e il “divin codino” a colloquio, stagione 1999/00
I primi tempi della sua presidenza, a dirla tutta, confermeranno in qualche modo quell’incompetenza che tanti gli attribuivano. Tutti i limiti della nuova dirigenza si dimostreranno nella scelta dei giocatori che indosseranno la maglia nerazzurra, molti dei quali spacciati per fenomeni salvo poi lasciare il capoluogo lombardo come scarpari. L’invaghirsi di calciatori incompresi caratterizzerà tutti i diciotto anni in cui Moratti è stato al vertice dell’Inter, ad iniziare da Paul Ince e Ciriaco Sforza, quest’ultimo divenuto famoso quasi esclusivamente per la maglia sfoggiata in maniera goliardica da Giacomo Poretti nel film Tre uomini e una gamba: “Si però anche tu, ti sembra il caso di dormire con la maglietta di Sforza?” “Eh, quella di Ronaldo era finita”.
Già, perché i vari Fresi, Colonnese, Galante o, appunto, Sforza facevano solamente da contorno ad una squadra composta da stelle (Zamorano, Bergomi, Djorkaeff, Zanetti, Recoba…), la cui punta di diamante era il brasiliano per il quale Massimo fece carte false. Si narra che, una volta definito il passaggio dal Barcellona, la moglie Milly gli fece notare di come avrebbe potuto devolvere tutti quei soldi in beneficenza, aiutare le persone in difficoltà piuttosto che acquistarci un solo giocatore. Rispose Moratti:
“Chi soffre più di un interista?”
Non si sa se queste furono le parole esatte pronunciate dal presidente nerazzurro, ma certamente incarnano a pieno la sua filosofia: fare follie, di qualsiasi tipo, non per soddisfare le proprie voglie ma quelle di un intero popolo. Paradossalmente, però, questo spendere e spandere (citando Rino Gaetano) in modo incurante, non gli ha risparmiato l’appellativo di presidente “di sinistra”. Cosa alquanto curiosa che anche lo stesso Moratti non si spiegò in quanto il suo voto, come quello di tutta la sua famiglia, era quasi sempre per la Democrazia Cristiana, al massimo per i Liberali:
“Per me è difficile vedermi di sinistra, sono petroliere, proprietario di una squadra di calcio, quello che tra i presidenti spende di più… ma la gente mi considera di sinistra”.
Massimo Moratti con la moglie Milly
Le testimonianze che documentano come l’Inter fosse il “giocattolo” preferito da Massimo (e guai a chi glielo toccava) le ritroviamo in particolari occasioni. Come facilmente comprensibile, il presidente nerazzurro è stato al centro di numerosi dibattiti riguardo il bilancio economico interno, soprattutto nel periodo in cui investiva con grande forza senza ottenere il benché minimo risultato. In un periodo, cioè, in cui sicuramente l’aiuto di qualche investitore non avrebbe nociuto alle casse interiste.
Moratti, però, sotto questo punto di vista non ci ha mai voluto sentire, né agli inizi quando Luciano Moggi si propose per entrare in società – e la risposta fu un no secco, giustificata più tardi dallo stesso Moratti per il carattere e la caratura morale troppo diversa dei due – né alla fine quando, prima di cedere all’indonesiano Erick Thohir la maggioranza delle quote, ci fu un tentativo dell’ex presidente Pellegrini di coabitare con colui che lo aveva succeduto. Tentativo vano, in cui emerse con energia la razionalità del patron nerazzurro.
Moratti comprese che, se si desiderava riprendere un vero progetto vincente, bisognava lasciare a chi avesse dei fondi molto maggiori rispetto a chi avrebbe messo sicuramente più cuore e passione, ma meno soldi.
L’abilità che ha avuto durante gli anni Moratti è stata quella di stringere rapporti con personaggi italiani di spicco che gli hanno permesso di avere degli introiti enormi, oltre al già immenso patrimonio di famiglia posseduto, ma questo sta più sotto la voce di fortuna che di bravura. L’amicizia duratura con Marco Tronchetti Provera è stata utilizzata anche, ovviamente, sotto l’aspetto economico: e così l’Inter passò dall’avere come sponsor Fiorucci al mostrare sulla sua maglia, proprio dal 1995 in poi, la casa degli pneumatici Pirelli, ancora attualmente usata e di cui l’imprenditore interista è amministratore delegato.
Come già accennato l’inizio dell’era morattiana non fu idilliaco, nonostante la vittoria a Parigi nella Coppa Uefa ai danni della Lazio: gli errori lo portarono a dimettersi nel 1999 salvo poi ritornare in sella poco dopo con ancora più determinazione, con l’obiettivo di costruire una grande squadra in grado di competere per lo scudetto. Alla prima cosa ci riuscì, alla seconda quasi. Qualche anno dopo il 5 maggio 2002, alla domanda su cosa si provasse a perdere uno scudetto all’ultima giornata e consegnarlo ai rivali di sempre, rispose:
“Un cazzotto tremendo […]. Rimasi impietrito. Mi venne voglia di chiudermi in una macchina e farmi seimila chilometri da solo senza fermarmi”.
Esattamente quello che avrebbe voluto fare qualsiasi tifoso interista. Veder trionfare la Juventus fu uno dei colpi più duri, insopportabili. Dopo il fatto di Iuliano e Ronaldo del 1998 le tensioni tra le due società si fecero sempre più intense. La tradizione di non andare a Torino ogni qual volta si giochi il derby d’Italia è iniziata proprio in quell’anno (salvo esser poi smitizzata dall’odierna dirigenza). Il 5 maggio è una ferita tuttora aperta per qualsiasi tifoso interista e difficilmente si potrà risanare, ma ecco la rivincita nel 2006.
Diego Milito e Massimo Moratti a Siena: Scudetto 2010
Dopo Calciopoli ha inizio il ciclo vincente interistache culminerà con il trionfo di Madrid nel 2010. Proprio come papà Angelo, anche lui aveva raggiunto il tetto d’Europa prima e del mondo poi. Anzi, fu il primo presidente di una squadra italiana a vincere il triplete; il lavoro di suo padre era a questo punto addirittura stato migliorato. Di certo, la coppa più bella di tutte rimarrà quella dalle grande orecchie, ma se gli domandaste quale sia il trofeo a cui tiene di più vi risponderà di certo“lo scudetto a tavolino”, come se volesse far godere ancora una volta i suoi tifosi.
Non si sa se quel ragazzino al quale si è cercato di spiegare la vita di questo attore sportivo sia rimasto ad ascoltare fino alla fine, oppure abbia preferito distrarsi con altre storie. Purtroppo non è facile far appassionare qualcuno a qualcosa che non ha vissuto, ma è importante ricordare una cosa: se il calcio italiano ha avuto quel periodo di splendore invidiato da tutti è solo merito di personaggi come Massimo Moratti e, come lui, di tanti altri. Presidenti sì, ma prima di tutto tifosi.
“Legarsi all’Inter vuol dire essere pronti ad una vita emozionante, costantemente emozionante. E’ come uno che fa un viaggio d’avventura, non è un viaggio comodo, è un viaggio che può essere scomodo ma che ti dà tante di quelle emozioni che ti rimane in mente. Questa è l’Inter. Il viaggio con l’Inter è di questo tipo”.