La signorilità esiste ancora nel mondo del calcio.
“Buonasera presidente, ci mette lei la faccia per tutti”, esordisce l’intervistatore di Sky Sport rivolgendosi a Maurizio Stirpe, presidente del Frosinone. “Come è giusto che sia”, replica lui provando ad abbozzare un sorriso. Poi, rispondendo sulla grande delusione sportiva, ovvero la retrocessione in Serie B della sua squadra maturata all’ultima giornata – o meglio negli ultimi 15 minuti della partita contro l’Udinese, e all’ultimo respiro in generale, quando l’Empoli con il gol del 2-1 al 93′ contro la Roma si è salvato condannando invece il Frosinone – Stirpe continua:
«Sicuramente questa era la partita più importante del Frosinone nella sua storia e purtroppo non siamo stati bravi a capitaizzare le tante occasioni che ci sono capitate, e come spesso succede nel campo se non fai bene tutte le cose che devi fare alla fine vieni punito. Ci sta, il calcio è questo, conosciamo bene le gioie e anche le delusioni che riesce a dispensare: questa sera è veramente una serata molto amara, che però bisogna accettare». E ancora, commentando la contestazione dei tifosi, l'”andate a lavorare” scandito a fine partita verso i giocatori, Stirpe ha replicato:
«Mi dispiace per i ragazzi perché probabilmente avrebbero meritato maggior fortuna, però ai tifosi non posso dire nulla. I tifosi sono sempre i proprietari del club e quindi, come sono belli i momenti in cui fanno i complimenti, è anche giusto saper accettare le critiche. Se noi siamo dei professionisti dobbiamo esserlo fino alla fine».
A questo punto anche Fabio Caressa non può fare a meno di intervenire e congratularsi con Stirpe per la sportività e soprattutto la signorilità – perché la sportività come valore in sè, astratto e vuoto, non esiste senza che ci siano qualità morali negli uomini, aggiungiamo noi –, in particolar modo in un momento così difficile. Quindi domanda a Stirpe come il club, secondo lui, reagirà alla retrocessione:
«Noi sapevamo che nella nostra vicenda sportiva ci sdarebbe potuta essere anche la retrocessione – ha detto Stripe – per cui abbiamo sempre lavorato con metodo e oculatezza e non ci faremo trovare impreparati per la B. Ci vorrà qualche settimana per metabolizzare quest’esito, per la modalità ancora più amaro di quanto già non sarebbe stato in altri modi, ma sicuramente ripartiremo dalle certezze che abbiamo nella nostra società e riproveremo a scrivere altre pagine nella piccola storia di calcio della nostra provincia».
Inevitabile a questo punto il passaggio sui giovani, i primi imputati quando non si riesce a difendere la categoria. Perché anche qui, editorialisti, commentatori, opinionisti sono sempre pronti ad invocarne l’utilizzo, a sciorinare statistiche impietose e avanzare confronti imbarazzanti con il resto del calcio europeo, laddove c’è molta più facilità a ‘buttarli dentro’ e farli crescere. Eppure, quando poi qualcuno si affida ai giovani e i risultati non lo premiano subito, come un riflesso incondizionato riemerge la mentalità per cui la categoria si difende con i giocatori esperti. Su questo Maurizio Stirpe ha le idee chiare:
«Guardate, eravamo consapevoli del lavoro che stavamo facendo e anche dei rischi che stavamo correndo. I giovani ti possono dare tanto: ci può essere anche il momento in cui fanno degli errori e loro hanno il diritto di sbagliare, proprio perché più giovani sono e più questo diritto aumenta. È evidente che a un certo momento noi abbiamo seguito un progetto e ce ne assumiamo tutte le responsabilità.
In tempi non sospetti dissi che se fossimo retrocessi le responsabilità sarebbero state tutte mie, se invece ci fossimo salvati i meriti sarebbero stati tutti dei ragazzi. Questa sera ribadisco questo concetto».
Può sembrare retorica, ma è per deformazione professionale che noi pensiamo sempre al peggio, alla più ipocrita delle interpretazioni. La verità è che Maurizio Stirpe, e non da oggi, è l’ultimo dei presidenti mohicani espressione del territorio, padri di famiglia del proprio club (con tutti i propri errori, con i vantaggi e gli svantaggi del caso). È un rappresentante fuori tempo massimo del calcio di provincia legato ai suoi luoghi e alle sue persone, e comunque la si pensi sul merito (i giovani, il tecnico, i prestiti, la costruzione della squadra) non si può non apprezzarne il metodo.
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Anche qui, ci si lamenta sempre che il calcio italiano non sa dare tempo, che specula, che l’unica legge è quella del risultato immediato anche a costo di interrompere lo sviluppo di un progetto. Il Frosinone è stato l’unico club tra gli ultimi che non ha cambiato allenatore, che ha deciso di andare avanti fino alla fine con Di Francesco. E anche qui, le parole di Stirpe sono esemplari: «secondo me Eusebio non merita l’epilogo di questa giornata. Mi dispiace tanto per lui, secondo me è un bravo maestro di calcio, una persona e un allenatore che può dare ancora tanto. Per cui no, non mi sono pentito di averlo avuto con me quest’anno anche se stasera siamo retrocessi».
Ripetiamo, non si parla del contenuto (ognuno può avere le proprie idee, essere più o meno d’accordo) ma della forma. Parole come queste riconciliano un po’ con il calcio, non solo per la ‘sportività’ di cui sopra, che significa tutto e nulla, ma proprio per lo stile, per le persone; perché fa capire che sono queste a fare la differenza e che è possibile fare calcio anche senza compromessi, a misura d’uomo e di realtà, restando fedeli a se stessi e al proprio mondo.
«Mai come questa volta siamo stati vicini a raggiungere l’obiettivo, purtroppo non ci siamo riusciti. Onore agli avversari, demerito nostro, bisogna ripartire». Così infine Maurizio Stirpe ha provato a metabolizzare il tutto, senza invocare responabilità altrui (la Roma ad Empoli, l’allenatore, i giocatori, gli arbitri) e commentando quella che, comunque sia, è stata la migliore stagione nella storia del Frosinone. Il nostro augurio è che presto ne viva una migliore, ma soprattutto che non rinunci mai al proprio stile. Ancor più importante delle categorie.