La rivoluzione del calcio tedesco. Come si costruisce una nazionale capace di classificarsi sempre sul podio.
Dopo la vittoria del mondiale di Italia ‘90, l’allora commissario tecnico della Germania Ovest Franz Beckenbauer pensò che da quel momento – grazie alla riunificazione delle due “Germanie” – la nazionale tedesca avrebbe vinto tutto per anni. Non fu una previsione azzeccatissima, considerato che nell’ultimo decennio del XX secolo i tedeschi vinsero solo l’Europeo del ’96. Nel mondiale di Francia ‘98 arrivò il primo campanello d’allarme, con la brutta sconfitta contro la Croazia ai quarti di finale per tre a zero. Nell’Europeo del 2000, la nazionale teutonica venne eliminata al primo turno, riuscendo a racimolare solo un misero punto nella partita d’esordio contro la Romania. Una delusione troppo grande da digerire per una nazione tre volte campione del mondo. Urgeva una rivoluzione totale, il calcio stava cambiando e la Germania rischiava di restare impantanata nel suo passato glorioso, fatto di forza fisica e aggressività. L’età media della rosa era troppo alta, i club non puntavano sui propri giovani, ma preferivano comprare stranieri. I tedeschi decisero di tirarsi su le maniche e dare vita ad un cambiamento che avrebbe fatto la storia.
Dopo la cocente delusione, la Federazione calcistica tedesca (DFB: Deutscher Fußball-Bund) decise di seguire l’idea che Berti Vogts aveva pensato già due anni prima. Venne lanciato un piano multimilionario per creare giocatori di caratura internazionale, decidendo di investire in maniera considerevole sul settore giovanile. Tutti vennero coinvolti, dalla Bundesliga ai dilettanti. L’obiettivo era quello di aumentare il livello del settore dilettantesco, migliorare le qualità degli allenatori, degli scout e costruire strutture all’avanguardia per permettere alle squadre professionistiche di modellare al meglio i propri talenti. Il piano pensato per i giovani prevede che i ragazzini (tra i 10-14 anni) vengano convocati in uno dei 366 punti di raccolta della Dfb – non più di 40 chilometri di distanza da casa per evitare possibili traumi – nei quali sono poi seguiti da allenatori professionisti (più di 1300) per migliorare tecnica, velocità e visione di gioco. Successivamente subentrano i club, che nei loro Leistungszentrum hanno il compito di fare del proprio meglio per trasformare il piccolo talento in un professionista. Con la consapevolezza che solo in pochi raggiungeranno il traguardo, si impegnano a dare a ciascuno di loro un’ottima educazione scolastica; i ragazzi passano infatti trenta ore a settimana nelle scuole presenti in ciascuna struttura. I centri sono sottoposti a controlli biennali con annesse valutazioni, in base alle quali le società ricevono un determinato contributo da investire nel settore giovanile. Il piano, una volta adottato, impose a tutte le società di Bundesliga e Zweite Bundesliga (corrispettivo della Serie B italiana) di avere una squadra in ogni categoria giovanile a partire dagli under 12. Il mancato rispetto di questo vincolo comportava addirittura la revoca della licenza di partecipazione al campionato. E per favorire la crescita dei giovani, ogni formazione dall’under 16 in su doveva avere in rosa almeno dodici giocatori candidabili a una maglia della nazionale di categoria. L’obbligo nei confronti delle squadre riguardava anche la costruzione di centri sportivi all’avanguardia, portando alla creazione, ad oggi, di 54 strutture moderne dotate delle migliori tecnologie. Suona come un grido di battaglia la frase di Jörg Daniel:
“Se il talento del secolo è nato in un piccolo villaggio dietro le montagne, da ora in poi noi lo troveremo”.
Durante queste prime fasi di innovazione la nazionale tedesca perse la finale del Mondiale nippo-coreano, traguardo raggiunto soprattutto grazie al facile percorso (Paraguay agli ottavi, USA ai quarti e Corea del Sud in semifinale) e nell’Europeo portoghese di due anni dopo arrivò un’ulteriore doccia fredda, con l’ennesima uscita al primo turno senza riuscire a vincere neanche una partita. Il 2004 risultò l’anno decisivo per la scelta del commissario tecnico. Dopo diversi rifiuti, la panchina venne affidata a Jurgen Klinsmann, alla prima esperienza da allenatore. L’ex attaccante di Inter e Sampdoria portò una ventata di aria fresca sul campo, modificò i programmi di allenamento e inserì nello staff preparatori atletici e psicologi. In diverse interviste Bierhoff afferma che il lavoro di Klinsmann è risultato decisivo per il processo di crescita e sviluppo del calcio tedesco, senza di lui nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Oltre a cercare di dimenticare in fretta le ultime delusioni, la squadra doveva prepararsi al meglio per il Mondiale di casa, altro evento che fu fondamentale per la rinascita. Il torneo venne sfruttato in maniera impeccabile, a partire dalla gestione delle spese. Non ci fu nessun conto in rosso, anzi, un surplus di 155 milioni sui costi per l’organizzazione dell’evento, con benefici riscontrati soprattutto dopo la conclusione della manifestazione. Sul campo, il sogno tedesco svanì a pochissimi passi dalla realizzazione, nella semifinale al cardiopalma di Dortmund contro la nazionale azzurra, che ebbe la meglio sui padroni di casa grazie ai gol di Grosso e Del Piero. Gli uomini di Klinsmann si consolarono con la vittoria della finale terzo/quarto posto ma, soprattutto, era appena iniziata una nuova era.
La DFB non dovette aspettare molto per vedere i suoi sforzi ripagati. Solo tre anni dopo, infatti, negli Europei Under 21 e Under 17, la nazionale tedesca si laureò campione. La rivoluzione stava iniziando a dare i primi frutti, per la prima volta nella sua storia la Germania vinceva questa competizione nella categoria degli U21. Leggendo le formazioni saltano all’occhio due cose: la prima è che in entrambe vi erano ragazzi che cinque anni dopo si sarebbero laureati campioni del mondo. Sei dell’Under 21 (Neuer, Höwedes, Boateng, Khedira, Özil e Hummels) e due dell’Under 17 (Götze e Mustafi); inoltre, punto fondamentale,quattro di loro sono oriundi o tedeschi acquisiti. Sia Khedira che Boateng hanno madre tedesca, mentre Özil e Mustafi hanno rispettivamente genitori turchi e albanesi. Se il mondiale giocato in casa era stato il miglior modo per dare vita alla rivoluzione, questa vittoria fece capire ai tedeschi che la strada intrapresa era quella giusta. Gli investimenti effettuati sui giovani, qualcosa come 100 milioni all’anno, erano stati ripagati e la Germania stava imparando a fare delle sue diversità la propria forza. Oltre ai quattro già citati, sono diversi i giocatori con origini straniere che negli anni hanno optato per difendere la maglia tedesca: Gundogan, Emre Can, Sané, Gòmez e Tah. Decisiva la modifica alla legge di cittadinanza nel 2002, con l’introduzione da parte del governo di Schröder di una riforma basata sul principio dello ius soli, che ha permesso ai figli degli immigrati nati sul suolo tedesco di acquisire la doppia nazionalità. Inoltre la Germania è stata in grado di superare le forti divisioni interne, in quanto formata da sedici Länder (regioni), che si differenziano molto sia dal punto di vista legislativo che da quello propriamente culturale e sociale. Basta vedere il caso della Baviera, che da anni sogna di diventare indipendente.
La rivoluzione può considerarsi riuscita, i risultati della nazionale parlano chiaro: secondo posto all’Europeo 2008, medaglia di bronzo al mondiale sudafricano, semifinalista all’Europeo 2012, campione del mondo nel 2014 e semifinalista nello scorso Europeo. Il tutto orchestrato da Joachim Löw. Del mondiale brasiliano rimarrà per sempre impressa la maestosa dimostrazione di forza contro i padroni di casa in semifinale; un successo, quello del 2014, al quale contribuì anche Guardiola, che l’anno precedente aveva accettato la panchina del Bayern Monaco e che aveva poi contribuito a modificare anche il calcio tedesco, condizionando il gioco espresso dalla nazionale. Passando all’aspetto individuale è necessario sottolineare la presenza dei calciatori tedeschi nelle migliori squadre europee: Kroos e ter Stegen in Spagna, Özil, Mustafi, Sané, Can, Gundogan e Schweinsteiger in Inghilterra, Khedira in Italia e Draxler in Francia. La volontà di puntare sui giovani continua, Kimmich e Weigl sono pronti a non far rimpiangere gli addii di Schweinsteiger e Lahm. L’età media della rosa attuale è di soli 23,5 anni. Facendo un confronto tra le ultime due formazioni campioni del mondo e basandoci soprattutto sul gioco espresso, si può comprendere a pieno quanto cambiamento ci sia stato in ventiquattro anni. Quella di oggi è una nazionale multietnica, che fa della tecnica e del possesso palla le sue armi principali; lontana anni luce dalla Germania fondata su giocatori 100% tedeschi, che vinceva grazie a solidità e forza fisica.
.
Altro tassello importante è stata la gestione della massima serie professionistica. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport di pochi anni fa, l’a.d della Lega tedesca Christian Seifert, rivelò i segreti della Bundesliga. Stadi moderni e sempre pieni, rigidità economica e settori giovanili dai parametri obbligatori per i trentasei club professionisti. L’enorme affluenza alle partite è facilmente comprensibile dalla tutela che la Germania ha nei confronti dei tifosi: determinante, in questo senso, l’orario delle gare. Una sola notturna al venerdì e no alla partita a mezzogiorno. Scelta importante la seconda, che preclude il mercato e i soldi asiatici, ma il tifoso di casa viene prima di tutto. Nella stagione 2006/07 la Bundesliga si trovava al 5° posto nel Ranking Uefa, nella stagione scorsa ha concluso al 2° posto. Dal 2009 un club tedesco ha sempre raggiunto le semifinali di Champions, e l’apice si è avuto nella stagione 2012/13 con la finale tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Inoltre la Bundesliga possiede il primato del campionato con la maggior affluenza di tifosi allo stadio, con una media di circa 42 mila spettatori per partita. Tifosi che detengono la maggioranza di ogni squadra – si discostano da questa regola Wolsfburg e Bayer Leverkusen, perché il coinvolgimento dei loro sponsor supera i 20 anni – mentre l’unico club ad essere riuscito a prendersi beffe di questa norma è il RB Leipzig. Investimenti, serietà e organizzazione: ecco come si conquistano risultati importanti a livello mondiale. Nessuno però ha intenzione di sedersi sugli allori, il lavoro continua, giorno dopo giorno. Mentalità tedesca.