Siamo usciti stanchi e nauseati da questa sessione.
Le porte dello Sheraton Hotel si sono chiuse alle 20 in punto. Poco prima le dirette no stop avevano snocciolato i nomi degli ultimi “botti” del mercato, tra vecchie conoscenze e giovani in cerca di gloria. Le trattative sono chiuse, le agenzie di procuratori ripongono i propri cavalli di razza nelle scuderie in attesa della finestra invernale di gennaio. Fino ad allora potremo tirare una boccata d’ossigeno e goderci finalmente il calcio giocato senza ansie e patemi partoriti dagli affari in corso. Perché diciamolo pure: iniziare il campionato a mercato ancora in corso dà fastidio a molti, allenatori in primis.
Quello che un tempo, quando sotto gli ombrelloni migliaia di appassionati sfogliavano giornali e riviste a caccia dell’arrivo del nuovo campione, era un conglomerato di sogni e aspettative per l’imminente stagione, si è trasformato in un pericoloso gioco perverso. Il calciomercato spopola tra i fantacalcisti, coloro i quali deviano la loro presunta passione per il calcio in un gioco precipitato in un’oscura dimensione patologica.
Il fantacalcio la fa facile e si lega alla pericolosa logica del malandato pallone moderno: il calcio è questione di numeri, medie aritmetiche impreziosite dai bonus e logorata dai temuti malus. Il calcio non è scienza e chi sostiene il contrario ha un serio problema con lo sport. Lasciamo ad altro l’astrofisica, caro Pep. Il mercato degli sceicchi e delle ricche scuderie di procuratori ha scavato un solco profondo con il calcio giocato. Il calciomercato dei petrodollari e le dirette fiume hanno inghiottito quel poco di romanticismo di cui si nutriva il calcio d’estate. Tutto è diventato frenetico, convulso, invadente. In un campo di gioco immaginario privo di tifosi in cui rotolano soltanto gruzzoli di denaro.
Il calciomercato che ha portato via dalla Serie A Ronaldo, Lukaku, Hakimi, Donnarumma e De Paul si è chiuso con qualche sussulto: Zaccagni alla Lazio, Messias al Milan, la solita rivoluzione del Genoa (presi Maksimovic, Fares, Touré e Caicedo al termine di una giostra di più di 50 operazioni tra entrate e uscite), il tris del Torino con Brekalo, Zima e Praet dopo la sfuriata di Juric, e gli ingaggi last minute di Keita Balde (finito al Cagliari) e Ciccio Caputo (approdato alla Sampdoria). “Colpetti” alimentati dalla spinta mediatica di giornali e TV, con cronisti d’assalto incravattati e affamati di scoop. Mentre all’estero il Chelsea strappava Saul all’Atletico Madrid e i Colchoneros si consolavano con il ritorno del figliol prodigo Griezmann.
Nonostante i piagnistei di Florentino Perez e dei paladini della Superlega, il mercato segnato dal Covid ha prodotto alcune operazioni che disegnano una nuova geografia continentale. I cambi di casacca di Messi e Ronaldo hanno impoverito Barca e Juventus ma rinvigorito le ambizioni di PSG e Manchester United. I parigini, gli unici a potersi permettere una riserva di lusso come Donnarumma e il tridente da capogiro Messi-Neymar-Mbappè, si apprestano a recitare il ruolo di superpotenza al pari del Manchester City (117 milioni per Grealish) e del Chelsea (115 milioni per Lukaku). Insomma, il mercato ha ampliato la forbice tra i club europei: ricchi ancora più ricchi, poveri ancora più poveri.
Ma la gioia per la chiusura del mercato va oltre ogni considerazione tecnica che soltanto il campo (giudice sacro e inappellabile) può smentire o confermare. Nel frattempo torniamo a godere il calcio nel nostro antico tradizionalismo di appassionati e tifosi. Dopo mesi di tormentate trattative, sondaggi e corteggiamenti, ne avevamo proprio bisogno.