Ritratti
09 Ottobre 2020

Mesut Özil, contraddire il talento

Gli assist in campo, gli autogol nella vita.

Der Rabe. Oppure The Raven, come direbbero a nord di Londra. Non tanto per una questione di apparenza, nemmeno per referenze cinematografiche. Ma solo perché il corvo, nell’immaginario comune, rappresenta un uccello scaltro, opportunista, preciso. Per molti, uno svolazzare molto simile a quello che sul campo mostrava Mesut Özil ai tempi di Brema col suo Werder.

La sua traiettoria però comincia a Gelsenkirchen, dove è nato e cresciuto da genitori emigrati dalla Turchia per terra e mare, come altri due milioni e mezzo di connazionali, alla ricerca di una vita migliore. Un ragazzo minuto, timido e introverso, ultimo di quattro fratelli, che però col pallone tra i piedi si trasforma sviluppando una vera e propria ossessione per il gioco del calcio. Joachen Herrmann, vice direttore della scuola media di Özil, definisce il rapporto del ragazzo con il calcio “un po’ autistico”, aggiungendo:

«Ho sempre avuto la sensazione che si portasse il pallone anche a letto».

Dalla finestra della sua classe delle superiori Özil scorgeva la Veltins-Arena, stadio di casa dello Schalke 04. Non a caso la scuola di Gelsenkirchen – tra le più grandi del paese – ha stretti legami con la Bundesliga, tanto da sfornare gente come Manuel Neuer, Julian Draxler, Benedikt Höwedes e Joël Matip. Özil viene ricordato come uno studente riservato, ma è durante gli allenamenti e le partite che emerge la sua personalità: “Quando ho visto Mesut per la prima volta, ho dovuto controllare la sua età”, dice Krabbe, ex professore di Mesut.

«Era molto piccolo, tranquillo, introverso fuori dal campo. Ma nel rettangolo di gioco era il giocatore più forte. La nostra superstar».


È stato proprio in quel periodo al Gelsenkirchen College che Özil ha capito di potercela fare; è lì che ha visto per la prima volta la via di uscita dalla povertà, la strada per diventare la prima star internazionale immigrata del paese. Certo questa strada era in salita, soprattutto per un ragazzo, come detto, così impacciato e diffidente fuori dal campo; eppure i mezzi tecnici di Ozil erano talmente straordinari da far passare in secondo piano, o meglio da rimandare, qualsiasi ulteriore discorso.

«Mesut non era lo studente che poteva affrontare la folla. Era davvero timido, parlava a stento con i compagni. Ma a vederlo sul campo era un’altra persona – racconta l’allenatore del club della scuola Ralf Maraun –. Era piccolo, per qualcuno debole, ma sparava bordate da 25 metri, correva più veloce degli altri e capiva il gioco in maniera più avanzata. Era quel tipo di giocatore che ti faceva vincere una partita 12 a 0. E lui ne segnava 10.

Una volta l’allenatore della squadra avversaria mi prese da parte per dirmi: ‘la prossima volta, il ragazzo migrante lo lasci a casa‘».

Il padre Mustafa gli fornisce un’educazione musulmana piuttosto stringente, ma ben presto si rende conto di avere in casa un’eccezione, un talento in grado di stravolgere l’ordinaria amministrazione. Mesut viene caricato fin da giovane di queste responsabilità e per lui, un giovane immigrato musulmano che esce dal distretto di Bismarck, a quasi totalità turca, il calcio diventa non solo una passione e una naturale predisposizione, ma anche un modo per non affrontare una vita potenzialmente assai complessa (tra complicate condizioni di partenza e personalità “problematica”). Così Özil si convince di essere il primo erede di tradizione turca a poter dare un finale diverso alle storie di immigrazione tedesche.

Entra prima nelle giovanili della nazionale per poi approdare allo Schalke 04, ma è il prestito biennale al Werder Brema che cambia per sempre la percezione del giocatore. L’eleganza e il tocco di palla ricordano quelli dei grandi del gioco; il talento emerge a prima vista, esplode in biancoverde (dove si afferma come miglior assistman d’Europa) e trova il suo coronamento nel mondiale 2010 con la Germania di Löw, in seguito al quale viene prelevato dal Real Madrid di José Mourinho.

Un giovane Ozil con la maglia del Werder, esattamente dieci anni fa (Photo by Friedemann Vogel/Bongarts/Getty Images)

In maglia merengue Özil deve affermarsi tra i grandi, e tecnicamente non si può dire non ci sia riuscito. Nonostante il numero elevatissimo di assist però (più di 1 ogni 2 partite), e malgrado il Bernabéu soddisfi ampiamente con il tedesco i propri standard estetici, qualcosa all’interno dell’equazione sembra non tornare. Così, quasi a sorpresa, Florentino approva il trasferimento all’Arsenal a fronte di €50M.

A Londra, tuttavia, Özil sembra non trovare mai una dimensione capace di proiettarlo al livello che gli spetterebbe. Troppo spesso è vittima di se stesso, alternando giocate sublimi a prestazioni impalpabili; sembra quasi un balcanico, per la sua strutturale mancanza di continuità sportiva. Lungo la stagione, così come all’interno della stessa partita, Özil sembra attaccare e staccare la spina in un circolo vizioso di ciò che, oggi, appare in maniera prepotente sotto forma di incompiutezza. Quasi una mancanza di ambizione, di fame, di rabbia agonistica.

Un giocatore capace di essere fondamentale in ogni squadra in cui gioca, senza mai dare la sensazione di essere decisivo davvero. Un paradosso reso anche dai numeri (nel triennio 2015-2018 colleziona 36 assist e 18 gol in 94 partite di Premier), ma questi non riescono a nascondere una carenza caratteriale che pregiudica l’espressione del suo purissimo talento. Quello stesso carattere che invece, fuori dal campo, lo ha reso un personaggio sempre più controverso. Özil passa così dalla timidezza giovanile a pesanti prese di posizione politiche, fin troppo accentuate.

Özil arsenal
Nel Nord di Londra pioveranno assist e critiche in una discontinuità di prestazioni pressoché unica (Photo by Mike Hewitt/Getty Images)

La discendenza turca è un vanto che l’ex nazionale tedesco non ha mai nascosto, e che lo ha portato addirittura ad abbandonare la nazionale 4 volte campione del mondo. La polemica con la nazionale d’adozione durò mesi e cominciò con una fotografia scattata a Londra nel maggio 2018, in cui compariva insieme al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Il momento storico, con il governo Erdoğan sotto torchio mediatico per via della repressione curda e per le atrocità avvenute durante il golpe del 2016, favorirono così un’escalation degli eventi fin troppo rapida.

Fu proprio quella foto a rischiare di spezzare un equilibrio politico, già molto labile, tra la cancelleria di Angela Merkel e il presidente turco. La federazione tedesca, DFB, e la stessa Merkel si sentirono costretti a prendere le distanze dal gesto lasciando, di fatto, il giocatore sotto il fuoco incrociato della stampa tedesca e della critica internazionale. Qualche mese più tardi, dopo una serie di attacchi che criticavano il reale sentimento di Özil verso i colori tedeschi, la decisione di abbandonare la nazionale, con tanto di lettera pubblica di più di 2000 parole diretta a Reinhard Grindel in persona, presidente della DFB. Qui ricorda:

“Nel 2004, quando eri un membro del Parlamento tedesco, dicesti che il ‘multiculturalismo è in realtà un mito e una eterna bugia‘, votasti contro una legge per la doppia nazionalità e per punire la corruzione, e dicesti che la cultura islamica era diventata troppo radicata in molte città tedesche. Questo è imperdonabile e non si può dimenticare”.

Resta difficile da capire come questi concetti si configurino in un discorso che non condanni, in primis, le azioni dello stesso Erdoğan con il quale invece, in «segno di rispetto e buona educazione per la provienienza della mia famiglia» – parola di Özil – vengono pubblicamente scambiate foto e maglie. Ma è pur vero che mettersi pubblicamente contro il presidente turco non è mai una decisione facile: chiedere a Enes Kanter e la sua azione di resistenza politica per credere.


La nostra intervista esclusiva a Enes Kanter


Tuttavia non c’è solo l’appartenenza turca. A dicembre del 2019, Özil pubblica un altro tweet che mette in difficoltà i rapporti, questa volta della Premier League, con le emittenti cinesi. Il centrocampista dei Gunners si schiera infatti contro la persecuzione degli uiguri, minoranza musulmana che Pechino reprime con forza, continuando a ricevere numerose critiche anche internazionali. Per tutta risposta, il governo cinese sospende l’emissione in Cina del match di Premier League dell’Arsenal, e il giocatore non comparirà mai nell’edizione cinese del videogioco PES 2020.

Forse stavolta la brutta figura non la rimedia il turco/tedesco, ma passiamo oltre.

Si fa fatica, in realtà, a comprendere a pieno tutte le sfaccettature e le contraddizioni che fanno di Özil la figura che è diventata oggi. Non si tratta più di una scommessa sicura per brand come Mercedes e Adidas, che hanno deciso di abbandonarlo dopo le troppe controversie che lo hanno coinvolto. E sono queste stesse controversie che si riflettono, in qualche modo, sul suo modo di giocare così discontinuo, così assurdamente opposto di prestazione in prestazione.

Non siamo certo a favore dei giocatori-burattino, con risposte preconfezionate, che non pestano mai i piedi a nessuno. Perché prima di essere star internazionali si è uomini, e prima di essere un calciatore Mesut Özil ha dei valori, degli ideali e un trascorso pesante alle spalle. Tuttavia sembra che egli stesso non abbia piena consapevolezza di quei valori che sì offrono al mondo una panoramica sulla crudele repressione musulmana, ma solo dopo aver chiuso un occhio sulla repressione di diritti che avviene in Turchia.

Due facce, mai così opposte, di una stessa medaglia: sul campo l’estro e il talento cristallino, che non lasciano mai spazio alla continuità; fuori dal campo, le prese di posizione e la difesa pubblica dei propri “ideali”, che non lasciano spazio alla coerenza. Un enigma difficile da sciogliere, che più passa il tempo e più si infittisce: un enigma, innanzitutto calcistico, che risponde al nome di Mesut Özil.

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