Per intensità, ritmo, qualità. La partita dell'anno.
Edin Dzeko e Zlatan Ibrahimovic. Due fuoriclasse, senz’altro, ma anche 75 anni in due. Troppi, per incidere fisicamente e mentalmente su una partita che è sembrata venire dal futuro, da un’epoca lontana eppure incredibilmente presente. Milan-Inter è stata stracittadina vera, combattuta, intensa. Piena di colpi di scena e di emozioni, trasferite dagli spalti al campo. Con una frenesia che si direbbe ordinata, mai caotica, ma sempre armoniosa. Quella che caratterizza in una parola i big match del calcio mondiale.
C’è tanta qualità in campo, almeno per il nostro campionato.
Mario Sconcerti, Corriere della Sera 8.11.2021
Milan e Inter ieri se le sono date di santa ragione, in quella che è stata forse la migliore partita della Serie A 2021/2022. Da parte sua Inzaghi, al termine della gara, si è ritrovato un “bicchiere mezzo vuoto”, ed ha anche ragione. Il Milan in fondo rimane a +7, e si lecca i baffi aspettando lo scontro diretto tra Inter e Napoli del prossimo turno, ma soprattutto sono stati i nerazzurri ad avere le palle gol più nitide: il rigore sbagliato da Lautaro (o meglio parato da Tatarusanu, in pochi ci avrebbero creduto ma in un derby succede anche questo) e poi le occasioni di Barella e Vidal, entrambi a colpo pressoché sicuro – ma un po’ molli – ed entrambi stoppati dai muri umani dei difensori rossoneri (i giocatori di Pioli si getterebbero nel fuoco per il risultato, questo è evidente).
Il Milan continua a sorprendere, soprattutto per l’impressionante reazione degli ultimi 15 minuti. Complici i cambi, in particolar modo gli inserimenti di Saelemaekers e Rebic, i rossoneri hanno ritrovato gamba, fiducia, ritmo; rabbia e convinzione, entrando letteralmente in trance agonistica. Da qui la punizione di Ibrahimovic respinta da Handanovic, e soprattutto il palo di quel fantastico gregario (nel senso migliore del termine) di Saelemaekers stesso, con respinta sprecata da Kessie (non la sua miglior partita, per usare un eufemismo).
In fondo, e ci perdonerete la constatazione non certo ingenerosa ma anzi ammirata, come stretti valori individuali il Milan è abbastanza lontano dai campioni d’Italia: se si giocasse alle figurine, ruolo per ruolo, la partita sarebbe decisa in partenza. Eppure il calcio è uno sport di squadra e, lo scrivevamo pochi giorni fa, in Italia il Diavolo sta un passo avanti a tutti: quella rossonera è un’orchestra perfetta, ultra contemporanea, di gran lunga superiore alla somma dei suoi strumenti e che anzi si ravviva con i cambi in corsa, chiunque (o quasi) entri.
Pioli, con la sponda della società e di un gruppo disponibile (oltre che disposto a faticare e a mettersi in discussione), ha costruito una squadra davvero “indiavolata”: che attacca in sei uomini, difende alta ed aggressiva, pressa forsennata a tutto campo, gioca gli uno contro uno in ogni zona del rettangolo verde senza paura. Ma soprattutto, che ha acquisito una fiducia nei propri mezzi – e nei propri obiettivi – sorprendente per una rosa così giovane: la settimana scorsa Kjaer parlava di un Milan difficile da battere per chiunque, e ieri gli ha fatto eco Tomori:
«Sento che quest’anno possiamo vincere qualcosa».
Insomma, sopravvissuto a ieri sera e anzi uscito in crescendo (i rossoneri stanno bene anche fisicamente), il Milan è pronto per arrivare fino alla fine. Probabilmente più del Napoli, che gioca un bel calcio, a volte troppo bello per essere concreto davvero. Dall’altra parte l’Inter, che ha dimostrato come ci siano più modi di mettere intensità e qualità in una partita. Oggi Arrigo Sacchi, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ha parlato di una stracittadina scontro di stili: il Milan dai ritmi europei, e l’Inter “paziente e furba”.
«Quella nerazzurra – ha continuato – è una squadra molto italiana. Il motto è chiaro: primo non prenderle. E poi si va via in contropiede. Ha elementi di ottima qualità e di buone qualità fisiche, alla lunga risultano decisivi. Però dovrebbe vere più coraggio».
Al di là della conclusione di Sacchi, fin troppo ideologica come spesso accade, per cui «una squadra, il Milan, ha cercato di promuovere il calcio e l’altra, l’Inter, ha cercato di fregarla», in realtà sono i nerazzurri a poter recriminare di più: Inzaghi ha preparato un’ottima partita, rispolverando quelle transizioni offensive fulminee e di grande qualità che aveva mostrato anche alla guida della Lazio. Con interpreti e cifre diverse, certamente, ma non arenandosi mai in un possesso palla sterile, anzi: evidenziando una capacità di aggressione e di andare in verticale tanto intelligente quanto a tratti devastante, subendo per giunta molto poco in difesa fino al rabbioso assedio milanista dell’ultimissima fase di gara.
Anche qui, i dati parlano chiaro: a vedere le statistiche il Milan ha tirato di più, sia verso la porta che nello specchio, ma l’esperienza sensibile ci dice altro (considerato pure che il gol rossonero è maturato per un’autorete, e soprattutto le clamorose palle gol interiste). Insomma, l’Inter ha tirato meno ma molto meglio: è stata più chirurgica, ha giocato per larghi tratti da grande squadra – “dominando”, per rifarci alle parole del suo tecnico – ed ha avuto più occasioni reali. Eppure, e forse proprio in virtù di ciò, che il Milan sia rimasto sempre in gara, tornando con forze inspiegabili nel finale, la dice lunga sullo stato fisico e psicologico della squadra di Pioli. Il campionato è ancora lungo, ma intanto alcune certezze le abbiamo già acquisite.