Se il serbo va in Arabia, non è solo per soldi.
Quanto ci piace giudicare, straparlare, sentenziare. Stabilire le forme del giusto o dello sbagliato, e con esse i comportamenti che gli altri dovrebbero assumere. Questo è capitato nel caso di Sergej Milinkovic-Savic, bersaglio delle bordate di tanti ‘sportivi’ d’Italia per aver accettato la corte araba. Sportivi che hanno prontamente srotolato il solito campionario di facili giudizi. “Ha una mentalità da perdente”, la tesi centrale, con a cascata il giudizio a minimizzare una carriera: “peccato, poteva fare grandi cose con i suoi mezzi”. Così si crucciano migliaia di utenti sui social. E poi tutti coloro che lo accusano di essersi “venduto ai sauditi già a 28 anni”.
A parte che, se non si dispiace Savic di non approdare in un grande club, non si capisce perché debbano farlo così tante altre persone. Ma qui vogliamo ragionare su un punto, confidando sull’onestà intellettuale dei tifosi della Lazio: perché se un calciatore come Milinkovic Savic, uno dei centrocampisti potenzialmente più forti della sua generazione, è rimasto per 8 anni alla Lazio… beh, per quanto sia bravo Lotito a tessere reti e trame, e per quanto la Lazio sia una società importante (che ha vinto negli ultimi anni anche diversi trofei) un motivo ci sarà.
Di certo si è trovato bene a Roma, si è affezionato al club, ai compagni e via dicendo. Ma evidentemente per Milinkovic Savic, uno che nei top club internazionali avrebbe potuto tranquillamente essere titolare e decisivo, vincere non è l’unica cosa che conta, anzi. Evidentemente per lui tutti gli stimoli che hanno i più grandi calciatori del pianeta, vincere ma soprattutto competere nei più prestigiosi palcoscenici continentali – in questi 8 anni la Lazio si è qualificata una sola volta ai gironi di Champions League – , non sono stimoli primari. In questo è l’anti-Mbappé, che pochi giorni fa ha dichiarato
“a me interessa solo vincere, non dove o con chi”.
Insomma, diciamocelo: Milinkovic Savic non è un calciatore così ambizioso, e difatti non ha mai orientato la propria carriera con la bussola delle possibili vittorie – ma non da oggi, già da anni. È questa la cosa che proprio non ci va giù. Eppure non tutti dobbiamo avere le stesse priorità: non tutti devono essere ossessionati dai record, dai titoli, dalla storia. E non si capisce proprio perché dobbiamo essere noi a decidere cosa debba fare un grande giocatore con il suo talento, come debba gestire la sua carriera.
Cedendo alle sirene arabe, Milinkovic ha lanciato un messaggio chiaro innanzitutto: non quello di essersi venduto ai soldi, come riassumono i faciloni da tastiera (anche, chiaramente, ma non è questo il nucleo della questione); il vero punto, per chi non si ferma con un po’ di invidia e frustrazione ai 20-30 milioni annui, la vera notizia è che a Milinkovic Savic gliene frega poco e niente di vincere in Europa e di mettersi alla prova con i migliori. Ha altre priorità di vita e, per la miseria, saranno fatti suoi.
Con questa mossa situazionista, con questa uscita di scena dal grande calcio europeo, Milinkovic certifica il fatto di essere un calciatore non analizzabile con la matematica e con i numeri: per chi vuole, per chi vede il calcio con occhi che non siano semplicemente quelli della statistica e degli albi d’oro europei, lui rimarrà uno dei migliori centrocampisti degli ultimi anni; uno che avrebbe potuto, ma se ‘solo’ avesse voluto, vincere trofei e scrivere la storia; per tutti gli altri beh, poco importa: lui non ha bisogno di dimostrare nulla, a se stesso come alle persone. Prendere o lasciare.
Un’insostenibile bellezza serba la sua, che lo avvicina un po’ a Jokic e al suo poetico menefreghismo di tutto lo show biz che lo circonda – con la sola differenza che Jokic ha vinto e voluto vincere, sebbene questa, per sua stessa ammissione, non fosse la priorità della sua vita. Sergej invece ha preferito i soldi alla gloria, ma non perché sia ossessionato dai soldi (altrimenti nella sua carriera avrebbe fatto altre scelte) bensì perché, al contrario, non è mosso dalla gloria, se ne frega di scrivere la storia del calcio europeo.
Vuole flirtare con il proprio talento, dissiparlo, distribuirlo un po’ a caso, in omaggio ad una antica tradizione balcanica. Magari fugge le pressioni, o la fatica, o non ci crede fino in fondo, o riesce a rendere solo laddove si sente apprezzato.
Affari suoi. Tutto ciò ai nostri occhi lo rende solo più interessante. Con quel suo incedere indolente, quella sua prepotenza in campo silenziosa, quel talento intermittente a cui basta così poco per decidere una partita. Milinkovic è, ed è stato, un campione a cui non importava di essere tale. E allora, pur comprendendo che possa dare fastidio che un giocatore del genere vada in Arabia, soprattutto perché dà fastidio l’espansionismo saudita nel calcio a colpi di petrolmilioni e contratti faraonici, cerchiamo almeno di inserire nella questione un secondo piano di lettura.
Altrimenti finiamo con le ricostruzioni semplicistiche (e un po’ paracule) alla Lotito: «Non so se sia un problema di stimoli, se uno vuole andare in Arabia lo stimolo sono solo i soldi». Il problema è che noi ormai ragioniamo esclusivamente con i ‘solo’, e con le ricostruzioni più sbrigative e immediate. I soldi sono allora il dito che tutti vedono, e nessuno li nega. Ma dietro il dito c’è la luna nella questione Milinkovic Savic: e la luna è che lui, dei tipici stimoli di un top player, se ne frega. È la storia di una carriera. Sarà pur liberò di farlo senza che, per questo, migliaia di persone lo liquidino solo come un perdente e mercenario.